Stefano Bollani – Småt småt

Stefano Bollani - Småt småt

Label Bleu – LBLC 6665 – 2003





Stefano Bollani: pianoforte, fisarmonica, voce






Småt småt si compone di quattordici piccoli frammenti nei quali Stefano Bollani recupera e esplora i mille aspetti dei suoi interessi musicali: la bossa nova e il tango, la canzone d’autore e il jazz, la musica classica e il rock. L’idea che informa e muove il lavoro è proprio quella di costruire intorno a dei nuclei semplici, piccoli – småt in danese significa piccolo – un percorso di suoni e intuizioni: usando gli strumenti, cantando, quando serve, sovraincidendo voci che armonizzano, tirando fuori i suoni dal centro della canzone, rimescolando le carte con gli arrangiamenti. Ne viene fuori un disco che non è un piano solo ma il ritratto di un musicista che digerisce e reinterpreta lo scibile musicale in una sorta di compendio; questa maniera di procedere era già possibile riscontrarla nelle più recenti registrazioni del pianista, soprattutto i Fiori Blu, ma anche il concerto di Montreal in duo con Enrico Rava: la citazione, l’ironia, la capacità di tirar fuori a ogni battuta una invenzione nuova, originale, la capacità di sorprendere al primo ascolto e far apparire naturale la stessa cosa al secondo passaggio. L’amore per molti temi e molti suoni, che facevano capolino nei dischi precedenti, qui trova spazio per venire alla luce in modo completo e deciso e la scanzonata esibizione di folle maestria permette rovesciamenti di ottica, come, ad esempio, una rilettura all’insegna del ritmo di Pierino e il Lupo e una visione classicheggiante di Ugly Beauty, spogliata delle più evidenti sottolineature dell’originale, che però si possono ravvisare in Social smoker, una delle composizioni originali presenti in Småt småt, che è una ballata lirica e appassionata.


I quattordici brani sono tutti di breve durata e rappresentano un insieme di compositori quanto mai vario e disparato: si va dai Beatles a Frank Zappa, passando per Ginastera, Monk e Prokoviev, Barbosa, Marco Parente e Villoldo, oltre, ovviamente a diverse composizioni originali. L’unità del tutto, e la cifra più importante del lavoro, risiede nel legame costituito dall’interpretazione data ad essi da un musicista che ha amato questi brani e questi autori fino a farli propri, che esegue Monk o i Beatles dopo aver approfondito la musica classica e rilegge Prokoviev alla luce degli anni passati al servizio del jazz, che utilizza un brano come Trem das onze per inserirvi dentro le proprie capacità istrioniche.


Il disco che ne viene fuori è un concentrato di sorprese e di soluzioni dirette a rendere vivo il brano, a tenere alto il livello dell’esecuzione, a trasmettere l’emozione per mezzo della musica; sin dall’apertura di Norwegian wood, si intuisce quale sarà la natura di questo entrare, vivere e riuscire dalla musica: si capisce che il brano è Norwegian Wood, ma che non sia più il brano dei Beatles è altrettanto ovvio, tanto diversi sono l’andamento, la tensione, l’armonia; e lo stesso trattamento è riservato al brano di Zappa, dove, con un atteggiamento che richiama quello del chitarrista americano, si affacciano citazioni e richiami (l’ouverture del Peer Gynt di Grieg, echi delle musiche di Gershwin). Ancora la lettura di Pierino e il Lupo che si apre come un movimentato e nervoso tempo veloce nel quale, dalla prima nota, è presente la melodia e lo sviluppo del celeberrimo brano nascosto in un turbine di note e accordi, che, poco a poco, tra una variazione e l’altra, si svela sempre più fino a manifestarsi nella forma che siamo soliti ascoltare. La rilettura di Villoldo e Ginastera è più attinente alla lettura tradizionale, ci sono meno sorprese, inserti e sconfinamenti.


I brani cantati? Tra i due sicuramente Trem das onze è più vicina alle precedenti esperienze canore del pianista: ironica, teatrale, giocata anche sull’accostamento del testo portoghese a quello in italiano; drammatica e appassionata, invece, l’interpretazione di Il mare si è fermato, più sorprendente proprio perchè meno attesa: ma Bollani canta bene, non è un cantante ma, come tanti altri grandi musicisti, usa la voce bene perchè è dentro il pezzo in modo assoluto, totale, appoggia la propria voce all’andamento del pezzo e allo stesso modo funziona l’inserimento della fisarmonica in Mr. O’Malley.


I brani scritti da Stefano Bollani per questo lavoro si muovono in modo analogo: una costruzione stratificata di temi, trame, suoni che si sedimentano per creare il giusto canale per l’improvvisazione e l’ironia, per la scrittura e l’emozione. In un certo senso queste tracce raccordano gli spunti di partenza del ragionamento musicale e rivelano alcuni passaggi di questo percorso: se, come dicevamo prima Social smoker, si pone come tappa intermedia tra l’esecuzione canonica di Ugly beauty e quella presentata da Bollani in Småt småt, Giroconlon, con il suo passare attraverso atmosfere differenti, dal tango ai pianisti di musica leggera come Billy Joel o Bruce Hornsby, rappresenta il passo successivo a Let’s move to Cleveland. Come si può intuire, nei solchi di Småt småt ci sono mille letture possibili, alcune delle quali, suppongo, sono sorte anche semplicemente al momento dell’esecuzione, in modo naturale e senza premeditazione: cosicché ogni nuovo ascolto fa apprezzare particolari nuovi, cose che non si era riusciti a focalizzare nell’ascolto precedente, qualcosa che viene suggerita al di sotto della melodia portante e che poi emerge nel riandare con la mente a quel brano. Il suono, e il lavoro sui suoni, in Småt småt è uno dei risultati più rilevanti di questo disco: innanzitutto per il discorso della sovraincisione di più linee di pianoforte che viene gestito in modo talmente naturale al punto che, da una parte, si fa fatica a distinguere i momenti in cui questo artificio viene operato e, dall’altra, si perde presto l’interesse nel sapere che quel particolare passaggio viene effettuato da due o tre pianoforti; si pensi al risultato: il finale di Figlio unico, in cui ci sono più voci, più pianoforti e percussioni, raggiunge il suo effetto e non ci si cura più di come è stato realizzato. La scelta di aggiungere suoni su altri suoni si pone in modo simile a quella di sovrapporre temi e melodie, serve a creare emozione e a dare sfogo alle invenzioni del pianista; di conseguenza, il crescendo e l’arresto improvviso in Norwegian wood, i suoni che creano lo sfondo ne Il mare si è fermato, il ritornello di Let’s move to Cleveland, la parte finale della Danza de la Moza Donosa, con le voci, il fischio e i pianoforti, rappresentano solo alcuni delle manifestazioni di una sapiente regia che si mette al servizio della musica con naturalezza e spontaneità.


Concentrare tutto questo, in una serie di brani brevi e di provenienza diversa, è impresa tutt’altro che piccola piccola; ma Stefano Bollani, con l’estro, con le capacità, sia musicali che recitative, con la passione, il gusto e la cultura di cui dispone, ci sta piacevolmente abituando a operazioni di questo genere.