Finnish Jazz. Intervista. Pepa Päivinen

Foto: Maarit Kytoharju










Intervista a Pepa Päivinen


Recensione a Tiram Num

Jazz Convention: Cominciamo con il parlare del titolo del disco e di alcuni brani, come Plutoona, Yellow Roses for Mr. G.W.B., Frans Efraim… La scelta dei titoli è, spesso, un momento difficile per il jazzista, tu come lavori in questo senso?


Pepa Päivinen: Tiram Num… il titolo, letto al contrario, in finlandese significa “Marit mia” ed è, perciò, dedicata a mia moglie. I titoli Plutoona e Frans Efraim, che sono i due brevi frammenti presenti nel disco, vengono dalla guerra civile del 1918. Plutoona era un gruppo di soldati Rossi (gente povera, di origini contadine o operai nelle industrie), mentre Frans Efraim era il nonno del padre di mia moglie Marit che ha combattuto nelle schiere dei Rossi, contro i Bianchi, ed è stato giustiziato alla fine della guerra. La sua vedova, con sei bambini, viveva in un villaggio vicino Tampere che è stato uno dei posti più tormentati dalla guerra civile. Yellow Roses for Mr. G.W.B. (Rose gialle per Mr. G.W.B. – n.d.t.) è dedicata a George W. Bush. In questo caso, le rose vogliono significare i “fiori” lasciati dai cani sulla neve, durante l’inverno… The secret word mi porta a ricordare Frank Zappa: l’ho visto, per la prima volta dal vivo, ad Helsinki nel 1973 ed è stata davvero un’Esperienza. Era un genio e ha influito molto anche sulla mia musica, credo. Spesso è davvero difficile trovare i nomi per i brani perché risultano facilmente banali. In questo disco sono abbastanza soddisfatto dai titoli, perché significano qualcosa, almeno per me…



JC: Parliamo della musica, dei suoni e del gruppo con cui hai lavorato nel disco.


PP: Ho dato vita al mio trio nel 1998 e abbiamo realizzato due dischi con questa formazione: Umpsukkelis nel 1999 e Fun Faraway nel 2002. Nel 2004 abbiamo unito Timo Kämäräinen al trio. Mi sembrava che il percorso del trio stesse volgendo al termine e ho voluto aggiungere nuovi colori e nuova forza per quanto riguarda le improvvisazioni. Timo è un musicista perfetto per questo gruppo ed è stato immediatamente chiaro, fin dalla prima sessione in cui abbiamo suonato insieme. É un musicista molto sensibile per quanto riguarda i suoni e la costruzione degli assolo. Ville Huolman ha sostituito Hannu Rantanen che non poteva più suonare con noi a causa dei suoi numerosi impegni, soprattutto con i Värttinä, un famoso gruppo di musica etnica che suona parecchio in giro per il mondo. Mikko Hassinen è nel mio gruppo dall’inizio ed è stato un grande supporto per me. Tra l’altro, è un grande compositore e scrive musica per grandi orchestre. Con Mikko Hassinen and Ville Huolman ho suonato anche nella UMO Big Band, di modo che, ora, suoniamo molto spesso insieme.



JC: Ascoltando il disco, ho avvertito che i brani presenti in Tiram num hanno molte influenze rock, soprattutto negli aspetti ritmici, e sperimentali e di avanguardia, per quanto riguarda i suoni.


PP: Non sbagli… Io ascolto musica rock fin da quando avevo sette, otto anni, dall’inizio degli anni ’60. Ho cominciato a suonare il flauto quando avevo dodici anni, suono un po’ anche la chitarra e, nel mio quartiere, viveva un batterista che mi ha insegnato molti aspetti basilari del rock e della musica in generale. Sono sempre stato un grande fan di band come Jethro Tull, John Mayall Bluesbreakers, Jimi Hendrix, Led Zeppelin e via dicendo. Ho cominciato ad ascoltare il jazz, seriamente, all’età di diciassette anni, quando ho sentito le prime cose del Miles elettrico. Quando ho cominciato ad ascoltare il jazz, non mi sono dato nessun confine: ho ascoltato tutto, dal dixieland alle avanguardie. Sono sempre molto curioso di sentire cosa accade e cerco sempre di tenere la testa e le orecchie aperte per apprezzare i diversi “mondi” musicali. Per questo motivo, puoi ascoltare nel disco e nella mia musica influenze così diverse.



JC: Una caratteristica particolare di Tiram Num è la costruzione di alcuni brani. Una specie di drammatizzazione musicale… penso, ad esempio, alla parte centrale di A little bit like… o allo svolgimento di Aquarian. Combini elementi differenti e modi diversi di interpretare la musica come personaggi di un dramma. É vero? É una maniera plausibile per descrivere la tua musica?


PP: Mi piace inserire elementi drammatici nella mia musica, hai ragione. Nei brani che hai citato ci sono alcuni passaggi netti, dei cambi improvvisi di luce come negli spettacoli teatrali. Penso che la composizione debba essere come una storia con delle altre storie al suo interno, gli assolo.



JC: Tu hai lavorato per molto tempo con Edward Vesala, nel suo progetto Sound & Fury. Puoi parlarci della tua esperienza con lui?


PP: Ho suonato in Sound & Fury per dieci anni e questa è, forse, la ragione più importante per cui, ora, sono in grado di mettere insieme e condurre un mio gruppo. Edward Vesala è stato un grande artista, un visionario. É stato lui a suggerirmi di realizzare il mio primo disco, Saxigon, ed è stato lui a comporre le musiche per quel lavoro. Ho imparato moltissimo da ogni istante che abbiamo suonato insieme, dal modo in cui si rapportava alla musica. Spesso suonavamo ore ed ore, improvvisando liberamente, prima di cominciare a lavorare ai brani composti da lui. É stata dura, ma ricordo con gioia ogni momento. Lavorare con Edward non è mai stato facile. Lui pretendeva tutta la tua attenzione quando suonavi con il suo gruppo e ti poneva continuamente delle sfide: la sua musica contiene elementi tipici della musica contemporanea e Edward ti portava a suonare quella musica attraverso un atteggiamento rock o totalmente libero. Il ruolo di Iro Haarla è stato molto importante nella musica di Edward. Iro è stata l’arrangiatrice della musica di Edward e ha annotato anche molte delle sue idee.



JC: Tu ed Iro Haarla avete anche formato un duo…


PP: É stato Edward a proporre l’idea di creare un duo con Iro e me. Dapprima abbiamo suonato la musica di Edward, in un secondo momento abbiamo scritto dei brani nostri che hanno composto il disco Yarra Yarra, che è stato coronato da un buon successo. Si potrebbe definirla “free chamber music” e, devo dire, ho imparato moltissimo suonando in duo con Iro.



JC: Edward Vesala è una figura molto importante nella scena e nella storia del jazz finlandese. Puoi presentare al pubblico italiano, l’importanza della sua personalità, la sua particolare influenza sui musicisti che hanno lavorato con lui e sui musicisti che ne hanno seguito il cammino?


PP: Il ruolo di Edward nella musica finlandese è enorme, fondamentale… É stato un maestro per moltissimi musicisti che, dopo essere stati in contatto con lui, hanno trovato il proprio suono e il proprio stile. Aveva opinioni molto forti riguardo moltissimi argomenti e persone e, devo ammetterlo, non sempre ero d’accordo con lui. Ma nella sua musica, Edward era onesto e non faceva mai compromessi. Il suo spirito continua a vivere e molti giovani musicisti hanno già scoperto le sue idee musicali: questo è molto importante perché nella musica di Edward Vesala puoi sentire l’intero spettro dei suoni della vita.



JC: Ho letto, nel tuo sito web, di Saxperiment. Cosa avviene in questo gruppo? Sia per quanto riguarda i suoni che per il repertorio che viene eseguito…


PP: Il Saxperiment quartet è stato formato nel 1988 da Seppo “Baron” Paakkunainen. Abbiamo suonato, per la maggior parte, i suoi arrangiamenti basati su musiche ugro-finniche. Anche io e Janne Murtoho abbiamo scritto dei brani per questo gruppo. Il quarto membro del gruppo si chiama Pentti Lahti. Abbiamo suonato anche i flauti, rendendo il Saxperiment quartet un vero e proprio quartetto di legni. É stato davvero un gruppo interessante con cui lavorare, io ho suonato quasi sempre il sassofono basso nel Saxperiment quartet e penso che fosse la cosa più appropriata per dare colore al mondo sonoro del quartetto.



JC: Tu hai dato vita a un tour exchange con dei musicisti francesi. Immagino sia stata un’esperienza significativa sia dal punto di vista musicale che per la possibilità di creare contatti e conoscenze condivise tra musicisti di paesi differenti.


PP: Il primo tour francese del mio trio è stato realizzato nel 1998, in collaborazione con un quartetto francese, chiamato Kartet. Da quel momento in poi, ho collaborato spesso e con regolarità con i musicisti francesi, soprattutto con il sassofonista Guillaume Orti, che compare anche nel mio cd Fun Faraway. Ho imparato molto suonando con loro, confrontandomi con le loro individualità. Ognuno di loro ha il suo proprio suono, sia nel comporre che nell’improvvisare, e conoscono molto bene la tradizione del jazz. Sono davvero contento che abbiamo avuto la possibilità di cooperare con i musicisti francesi e sono molto grato a Charles Gil che ha reso possibile l’incontro. Sono dieci anni che lavora in Finlandia e i risultati sono davvero straordinari.



JC: Il tuo punto di vista sulla scena jazz finlandese.


PP: Il livello dei musicisti jazz finlandesi è cresciuto molto negli ultimi venti anni grazie all’istituzione dei corsi di formazione musicale che sono sorti nei primi anni settanta presso l’Oulunkylä Pop-Jazz Conservatory e negli anni ottanta presso il Jazz Deparment della Sibelius Academy. Come è ovvio la formazione è un buon bagaglio, ma questo non garantisce un aumento immediato del numero dei musicisti con un proprio stile, con un proprio suono. La responsabilità è nelle mani degli insegnanti ed è una grande responsabilità. Penso che la miglior qualità di un insegnante sia quella di aprire le porte ai nuovi mondi, di introdurre linguaggi e dialetti musicali diversi. La parola chiave è CURIOSITÀ. In Finlandia abbiamo, al giorno d’oggi, circa trenta festival che si riferiscono al jazz. Penso che dieci tra loro possano effettivamente essere definiti tali, mi sembra che molti organizzatori di festival non abbiano una visione artistica particolarmente profonda. Troppo facilmente i festival diventano enormi e perdono l’atmosfera intima con cui erano partiti. Inoltre non c’è un gran numero di buoni ingaggi, specialmente per i giovani musicisti. Per fortuna, negli ultimi anni, è cresciuto il sostegno per i gruppi che lavorano anche al di fuori dei confini nazionali e credo che questo sia il più importante aiuto per i musicisti che lavorano per cercare il proprio suono e la propria musica.