Finnish Jazz. Intervista. Niklas Winter

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Intervista a Niklas Winter


Recensione a Live in Stockholm

Jazz Convention: Partiamo da Live in Stockholm: parliamo della formazione e dei brani che avete suonato.


Niklas Winter: I due concerti che abbiamo tenuto al Miller’s Café sono stati registrati alla fine di novembre 2004. Riascoltando la musica in un secondo momento, abbiamo visto come il materiale registrato catturava l’energia e il calore di quelle due serate. Il novanta per cento dei brani che abbiamo messo sul disco proviene dalla prima serata. Il Miller’s Café è un piccolo e accogliente jazz bar nel centro di Stoccolma dove, grazie alla buona acustica del locale, vengono realizzati moltissime registrazioni dal vivo. Il Niklas Winter Quartet è un quartetto formato da due musicisti finlandesi e due musicisti svedesi: il batterista Markku Ounaskari è finlandese e il sassofonista Fredrik Nordström e il contrabbassista Filip Augustson sono svedesi. Fredrik aveva già suonato, dal 1996 al 2002, nel mio precedente quintetto, il Winter’s Jazz Workshop: il gruppo ha realizzato due dischi Hypnosis e Saknad. Markku Ounaskari è uno dei migliori batteristi in circolazione in Finlandia, é stato naturale, perciò, volerlo nel gruppo e suoniamo insieme anche in altri formazioni. Filip, infine, mi é stato presentato da Fredrik ed é uno dei più richiesti contrabbassisti di Stoccolma: sono davvero fortunato ad averlo nel mio gruppo. Dei sei brani presenti nel disco, quattro sono originali (tre mie composizioni e una di Fredrik Nordström), un brano é di Keith Jarrett e uno di Tomasz Stanko. Black, il primo brano, era stato originalmente scritto per un disco che ho realizzato nel 2000 con la Jan Simons Band insieme a Kenny Wheeler: è dedicato a Edward Vesala, il grande batterista finlandese. New Rag è una vecchio tema di Keith Jarrett che ho suonato per molto tempo, mi piace suonarla, intervenendo sul ritmo e credo che questa versione sia più interessante e naturale da suonare. Markku Ounaskari è il protagonista di From Greenhills di Tomasz Stanko: noi suoniamo il tema e poi lasciamo spazio a Markku. Jungle Boogie è un brano di Fredrik: parte con una improvvisazione di sax aperta che, a poco a poco, lascia filtrare il groove del brano, a me ricorda il passo degli elefanti (nell’originale “;heavy elephant-like groove”; – n.d.t.): un brano assolutamente divertente da suonare. The Troubadour è una ballad che io dedico a tutti i menestrelli ancora in giro. Downhill è un brano giocato sull’accostamento di parti in 4/4 e 3/4: è un’ottimo pezzo per chiudere i concerti.



JC: Un aspetto importante nella vostra musica è l’equilibrio tra libertà e tradizione, tra rigore melodico e invenzione.


NW: È difficile delineare i confini tra tradizione e libertà: si corre facilmente il rischio di dire cose scontate, di percorrere dei clichés, sia se il tuo suono è tradizionale sia se è moderno. Non ho nulla contro i clichés e le tradizioni, voglio soltanto evitare i patterns mentre suono, evitare di suonare cose già sentite. Ovviamente, quando suono non penso a questo e la strada attraverso cui la musica viene fuori dipende da tantissimi fattori…



JC: La scelta del brano di Keith Jarrett e di quello di Tomasz Stanko, in un certo senso, esemplifica questo percorso.


NW: Questi due brani fanno parte da anni del mio repertorio. Li amo moltissimo sia come composizioni sia per il feeling che producono quando le suoniamo. È difficile spiegare esattamente perché mi piaccia ancora, dopo tutti questi anni, continuare a suonarle. Scegliere questi due brani tra le nostre composizioni è anche un modo, semplice, per rendere un tributo ai due fantastici musicisti che le hanno scritte.



JC: Sintesi e riferimenti. Parliamo delle tue influenze più importanti e del tuo lavoro per creare il tuo linguaggio personale.


NW: Come chitarrista, è davvero difficile sottrarsi all’influenza di chitarristi come i come John Scofield, Pat Metheny, John Abercrombie, Bill Frisell e moltissimi altri. Allo stesso tempo, mi piace moltissimo lo stile di vecchi chitarristi come Wes Montgomery e Jim Hall. Keith Jarrett, è un riferimento importante per me, soprattutto per quanto riguarda le introduzioni e i finali, per quanto riguarda suonare free prestando attenzione agli aspetti melodici. L’umiltà di Kenny Wheeler rappresenta un’ulteriore fonte di ispirazione: il suo stile, la sua capacità di articolare le frasi mi hanno spesso portato a sganciarmi dagli stilemi soliti dei chitarristi.



JC: Il suono è l’aspetto più tradizionale del tuo lavoro e del lavoro del gruppo…


NW: È vero: cerco di mantenere intatto il suono della mia chitarra semiacustica. Questo non vuol dire che non possa diventare sporco, cattivo!… Cerco di trovare nuove maniere di fare musica con la chitarra suonandola in modo differente, non aggiungendo nuovi effetti alla chitarra.a.



JC: Live in Stockholm rappresenta, se vogliamo, un ponte tra la scena finlandese e quella svedese.


NW: Da molto tempo, nelle mie band sono presenti musicisti dei diversi paesi nordici. Probabilmente, le persone che vivono nell’Europa del Sud possono pensare che noi nordici siamo tutti uguali: non è così, ogni paese è molto differente dagli altri. Collaborare con musicisti che hanno un background diverso porta nuove idee e nuove vibrazioni nella mia musica: ho sempre avuto questa semplice idea alla base della mia scelta di collaborare con dei musicisti non finlandesi.



JC: Il tuo lavoro sulla composizione. I tre brani presenti in Live in Stockholm creano tre atmosfere diverse tra loro: è come se avessi voluto creare tre scenari diverse per l’espressione del quartetto.


NW: In un certo senso, è vero… sebbene Black fosse stata scritta in precedenza e per un’altra band, gli altri due brani sono stati scritti per questo quartetto: nella musica, mi piace portare sia la bellezza che la cattiveria ed è un vantaggio, dal vivo, avere entrambi questi colori da utilizzare a seconda dei momenti. E poi, alla fine, quello che passa attraverso la musica dipende dai musicisti e dal pubblico e da tantissimi altri fattori…



JC: Negli altri dischi come hai lavorato sulla composizione?


NW: Ho scritto molte più parti negli altri dischi. Ad esempio, in io, in Piae Cantiones, l’ultimo lavoro realizzato prima di Live in Stockholm, è stato totalmente differente: dei salmi religiosi, registrati nella Cattedrale di Turku. La formazione era composta da un quartetto vocale e da chitarra acustica, violoncello, sax tenore e vibrafono. A parte le improvvisazioni, il materiale era quasi tutto scritto in precedenza. La maggior parte delle volte, scrivo sulla chitarra e le composizioni vengono fuori dalla ricerca di nuovi voicings di nuove strutture ritmiche: la melodia e le strutture armoniche le scrivo simultaneamente.



JC: Il tuo prossimo lavoro sarà The Osaka Session. Sarà registrato con la stessa band? Puoi anticiparci qualcosa sulla musica presente?


NW: Il disco sarà pubblicato a nome del me del Niklas Winter Quartet, ma con una formazione diversa. Il quartetto sarà probabilmente rinominato in futuro Niklas Winter Japan Quartet. Nel disco ci sono mie nuove composizioni originali che suono con il batterista finlandese Toni Portén e con due musicisti giapponesi: il pianista Ken’ichiro Shinzawa e il bassista elettrico Hideyuki Shima. Il disco verrà pubblicato tra l’estate e l’autunno del 2007. La musica nel disco è più melodica rispetto a Live in Stockholm. The Osaka Session, inoltre, è il primo disco in studio di questa formazione: abbiamo registrato i brani nel 2004 e sono molto felice che finalmente possano essere pubblicati. Nel disco io suono sia la chitarra elettrica che l’acustica. Questa band ha già compiuto tre tournée in Giappone e, tra maggio e giugno, faremo otto concerti in Giappone; spero di portare presto anche il mio quartetto svedese, quello presente in Live in Stockholm, in Giappone.



JC: Puoi parlarci del progetto Piae Cantiones?


NW: La Diocesi di esi di Turku mi ha commissionato l’arrangiamento di antichi salmi in occasione del Giubileo del 2000. Ho scritto gli arrangiamenti e composto alcuni brani originali perché venissero eseguiti nella Cattedrale di Turku all’inizio del 2000. Il progetto è rimasto attivo e abbiamo continuato ad esibirci nel corso degli anni ed è un piacere, in particolare, poter suonare con Severi Pyysalo, il vibrafonista della formazione. La musica di Piae Cantiones è davvero difficile da catalogare, ma, in ogni caso, è più vicina alla musica classica che al jazz.



JC: In particolare, come hai lavorato per intrecciare la parte classica e il jazz, sia per quanto riguarda la composizione che la line-up della formazione?


NW: Fondamentalmente ho lavorato sugli arrangiamenti dei vecchi brani presenti nella raccolta ccolta Piae Cantiones. L’ensemble vocale rappresenta l’elemento divino, il quartetto gli aspetti terreni della vita: l’intero disco è un dialogo tra le due componenti. Le parti dell’ensemble vocale sono totalmente scritte ed arrangiate mentre il quartetto suona sia parti scritte ed arrangiate sia passaggi liberi. Ho riarmonizzato i salmi in modo che potessero suonare in modo più moderno e che potessero legarsi il più possibile con il suono del gruppo.



JC: Parliamo di Abovoice, l’etichetta che hai fondato. Come vivi questo aspetto particolare del tuo lavoro nella musica?


NW: Abovoice è una piccola etichetta di jazz scandinavo moderno. È anche la piattaforma ideale per realizzare esattamente ciò che voglio, dal punto di vista musicale. Ho fondato Abovoice nel 2000 e, a tutt’oggi, abbiamo pubblicato dieci produzioni differenti con numerosi artisti in catalogo. Sono stato molto fortunato ad avere la possibilità di avere musicisti del calibro di Kenny Wheeler, Marc Ducrét, Anders Jormin, Arve Henriksen ed Edward Vesala nei dischi di Abovoice. In particolare, sono molto orgoglioso del disco di Kari Heinilä, Lill Lisa: è stato l’ultimo disco registrato come sideman, nel 1999, da Edward Vesala e la musica presente nell’album è semplicemente fantastica. Il sito dell’etichetta è www.abovoice.com.



JC: Puoi dirci quali sono, per te, le differenze nel lavorare come produttore di un tuo disco e nel lavorare come produttore del disco di un altro artista?


NW: Io cerco di non interferire molto nella parte musicale, quando produco il disco di un altro artista: la libertà di ciascun artista è molto importante per me. Quando lavoro ad un mio disco cerco di non pensare molto al processo che seguirà la registrazione, ma è veramente molto difficile da fare. Al momento, per me è molto più facile lavorare ai dischi degli altri musicisti che non ai miei.i miei.



JC: Qual è il tuo punto di vista sulla scena jazz finlandese?


NW: La scena finlandese gode di ottima salute; abbiamo musicisti di ottimo livello e numerosi festival dove poter suonare. Il vero problema è che i finlandesi sono pochi, solo cinque milioni: questo comporta che la scena jazz sia, in pratica tutta nelle regioni meridionali del paese. Per fortuna c’è tutto un mondo là fuori e, oggi, è più facile che mai poterlo raggiungere!