Finnish Jazz. Intervista. Eero Koivistoinen

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Intervista a Eero Koivistoinen


Recensione a X-Ray

Jazz Convention: Partiamo da X-Ray. Puoi descriverci il progetto che è alle spalle del lavoro?


Eero Koivistoinen: Ho registrato molti dischi di funk jazz con diverse sezioni ritmiche. Per X-Ray ho composto nuova musica e ho voluto includere alcuni brani più vecchi con un nuovo arrangiamento. Abbiamo cominciato la prima session con una band composta da sei musicisti. Dopo di che, ho scritto altri brani e ho cominciato a sentire il bisogno di impiegare in modo più corposo il colore della sezione fiati e a sentire il bisogno di impiegare delle voci. In qualcuno dei nuovi brani, ho pensato che fosse stimolante poter avere due batteristi. In questo modo l’intera confezione ha cominciato a crescere… Avevo già usato il nome Eero Koivistoinen Music Society negli anni settanta, quando avevo messo su dei gruppi molto numerosi con un personale collettivo. In questo modo la costruzione della band è un po’ più elastica. Mi piace pensare a X-Ray come a uno show radiofonico con i generi musicali che amo e nel quale io sono il dj. Nei concerti, dal momento che ci sono meno ospiti, l’attenzione converge maggiormente sul suono della band: quando suoniamo dal vivo, ci sono almeno cinque elementi, a volte sei con un tastierista, e, a seconda delle situazioni, abbiamo sul palco con noi il rapper Redrama come special guest.



JC: Nelle note di copertina, dici che X-Ray prende ispirazione dalle origini del funk jazz. Questo è il punto di partenza…


EK: Io amo moltissimi generi musicali: il jazz, la musica classica, la musica etnica e il funky. Quando ero più giovane, suonavo abitualmente con gruppi di blues e di soul e continuo ad amare questi generi. Mi piacciono, inoltre, i cantanti “with a soulful expression”. In X-Ray, ho voluto sperimentare con le cose che amo e che non suono così spesso nei contesti più tipicamente jazzistici. Inoltre, questa musica contiene in modo naturale il feeling della danza, come la musica africana: è la radice di questa musica ed è una cosa splendida. In particolare, nelle situazioni dal vivo abbiamo spesso, come dicevo, come ospite rapper Redrama e, nella prossima estate, suoneremo sul palco principale del Pori Jazz Festival con alcuni dei più famosi gruppi funk, come The Roots e Sly and the Family Stone.



JC: Il disco è eclettico ed omogeneo allo stesso tempo. Dal punto di vista musicale, il lavoro continuo della sezione fiati e la varietà delle soluzioni utilizzate dai solisti, in particolare tu e Teemu Viinikainen, sono i due aspetti peculiari del lavoro.


EK: Sono d’accordo, quando hai a disposizione una sezione fiati, lo stile dell’arrangiamento e il colore della musica sono gli elementi portanti del disco. Inoltre lo stile di Teemu è sempre molto bello.



JC: Con la Eero Koivistoinen Music Society tu avevi già prodotto un disco nel 1973, Wahoo!. Parliamo delle differenze e dei punti in comune tra i due gruppi e i due dischi.


EK: Wahoo! è stato fatto nel 1973, molto tempo fa. Avevo studiato al Berklee College of Music a Boston e avevo sentito dal vivo un sacco di ottima musica funky. Avevo visto Miles Davis, Weather Report, molti artisti soul. Tutto questo ha avuto un riscontro sul mio mondo musicale. L’idea dei due batteristi l’ho avuta assistendo ai concerti di diverse funk band newyorchesi. Nel disco c’erano anche due bassisti e due chitarristi contemporaneamente. Il gruppo che ha suonato su Wahoo! non ha mai dato vita ad un concerto, è stato messo insieme solo per il disco. Su X-Ray ci sono brani con due batteristi e con due tastieristi insieme. Questo da molte possibilità compositive, ma devi essere attento e devi arrangiare la musica per bene dal momento che nella formazione ci sono così tanti strumenti armonici. I batteristi devono, inoltre, riuscire a trovare un terreno comune e comprendere il concetto ritmico. Con le persone che sono nel disco tutto è andato liscio. L’uso della sezione fiati è comune nei due lavori, mentre in Wahoo! non c’erano parti vocali e il solo gruppo rap che avessi sentito all’epoca erano i Last Poets… che, a mio avviso, hanno dato vita all’intero fenomeno…



JC: Tu hai usato, sempre nelle note di copertina, il verbo “update”, aggiornare…


EK: Con questo termine, ho messo l’accento sulle nuove composizioni presenti nel disco, ma anche sull’uso del campionatore e di altre nuove tecnologie, sull’utilizzo di elementi hip hop.



JC: Una curiosità riguarda Jack D…. puoi spiegarci la storia di questo brano?


EK: Ho dato una pila dei miei vecchi trentatré giri in vinile a DJ LBJ, al secolo Jonas Verwijnen, che stava lavorando in un altro studio nello stesso edificio dei Seawolf Studios. Jonas stava creando nuovi disegni sonori prendendo dei campioni dalle mie vecchie composizioni. Così, tra gli altri dischi, c’era anche Picture of three Colours, registrato al Vanguard Studios di New York; in questo disco c’è un brano, Kindergarten, nel quale Jack De Johnette suona uno spettacolare assolo di batteria. Jonas ha ottenuto un campione davvero interessante usando l’assolo di Jack come base. In un secondo momento abbiamo sovrainciso il piano e il sassofono sopra la batteria di Jack De Johnette. Ne viene fuori una scarica di energia, una chiusura futuristica per l’intero lavoro.



JC: Il tuo lavoro con la musica etnica. Puoi parlarci di Senegalese Drum, il disco che hai registrato nel 1998, e dei concerti e dei dischi che hai fatto con altri musicisti africani…



EK: Ho lavorato molto tempo fa con dei musicisti senegalesi insieme ad Hasse Walli, che aveva una band africana chiamata Asamaan. Qualche anno più tardi, abbiamo messo su una band con quattro batteristi senegalesi, tastiere e sassofoni. Nel 1998 ho viaggiato per la prima volta nell’Africa Nera e in Mozambico. Dopo di che sono stato coinvolto nella produzione di tre dischi in Mozambico e uno in Sudafrica per l’etichetta Naxos World: Mozambique Relief, Eduardo Durao Timbila Orchestra, Venancio Mbande and Alexandra Youth Choir. Da quel momento sono stato sempre più spesso in Africa e in diverse nazioni: Mozambico e Sud Africa appunto, ma anche Benin, Togo, Senegal e Ghana. Sono stato anche coinvolto nell’organizzazione di scambi culturali con studenti e docenti tra la Sibelius Academy of Finland e l’Università del Ghana e l’Università di Città del Capo, in Sud Africa. Recentemente, ho scritto un racconto, chiamato Journey Within, sulle mie esperienze africane per Point of Departure, (www.pointofdeparture.org), il web magazine di Bill Shoemaker.



JC: Tu hai aperto una biblioteca musicale a Maputo. Puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza?


EK: Maputo è una delle mie città africane preferite: ci sono stato già sette volte. Ho avuto l’idea di una biblioteca musicale con il precedente Capo del Dipartimento Musicale della Eduardo Mondlane University. C’era bisogno di una biblioteca musicale con dischi, DVD, libri di musica e così via in modo che gli studenti e i musicisti di Maputo avessero la possibilità di conoscere ciò che succede negli altri paesi. Ci sono moltissimi studenti e musicisti di talento a Maputo, persone che hanno voglia di imparare sempre cose nuove: abbiamo tenuto dei seminari in città con dei musicisti locali. Questo progetto è stato sponsorizzato dall’Ambasciata di Finlandia a Maputo…. e Maputo, dalla prima volta che ci sono stato, è diventata una città davvero più vivibile.



JC: In modo analogo. possiamo parlare di Utu e Suomalainen, due lavori ispirati dalla musica tradizionale finlandese…


EK: Sono finlandese e, ovviamente, cerco di usare anche le mie tradizioni. La musica folk finlandese e, in particolare, alcuni brani della tradizione funzionano molto bene, e in modo del tutto naturale, in un contesto jazz…. così, perché non usarli? Andremo in studio alla fine di questo mese per registrare il seguito naturale di Suomalainen, con Johanna Iivanainen, una cantante fantastica. Ho anche scritto nuovi brani per big band usando come materiale di partenza musica folk dei paesi nordici.



JC: Torniamo indietro nella tua carriera… Tu hai cominciato, insieme a Edward Vesala e Pekka Sarmanto, dando vita ad un trio rivolto alla musica di avanguardia… tre musicisti che hanno ricoperto un ruolo importante nella prima generazione del jazz finlandese. Parliamo del lavoro che avete fatto, anche pensando alle strade che avete aperto per i musicisti delle generazioni successive, sia in Finlandia che all’estero.


EK: Si, quella è stata la prima band a mio nome. Cercavamo di suonare in modo molto moderno, a quei tempi. Nel corso degli anni, poi, io mi sono rivolto un po’ più alla tradizione, mentre Edward Vesala ha avuto una bellissima carriera con la sua musica, rivolta alle avanguardie più moderne. Io ho studiato musica classica alla Sibelius Academy prima di studiare per tre semestri al Berklee College of Music di Boston. A Berklee ho avuto modo di frequentare grandi musicisti come Ron Mc Clure, John Scofield, con i quali ho spesso avuto occasione di suonare nel corso degli anni e di studiare con Herb Pomeroy che è stato un insegnante molto importante per me nell’arrangiamento e nella composizione. Dopo di che, sono tornato in Finlandia e ho basato il mio lavoro qui.



JC: Tu hai avuto un ruolo importante anche nella crescita delle istituzioni del jazz finlandese, in particolare, sei stato uno dei membri fondatori dell’UMO. In che modo queste istituzioni si sono evolute negli anni e quanto è stato importante il loro ruolo nella scena musicale finlandese?


EK: La UMO Jazz Orchestra è molto, molto importante per il jazz finlandese. Esko Linnavalli ha avuto il ruolo più importante nella creazione della UMO Jazz Orchestra; io ho fatto parte del gruppo che ha dato l’avvio al progetto, ma senza Esko, probabilmente, non sarebbe mai diventata quello che è diventata ora. I quindici anni che ho lavorato con la UMO Jazz Orchestra sono stati per me un periodo molto importante. La UMO Jazz Orchestra è un’istituzione che ci da la possibilità di imparare come si suona in una big band. Siamo stati molto fortunati ad avere insegnanti di altissimo livello come Dizzy Gillespie, Thad Jones o Mel Lewis. In particolare Thad Jones è stato molto presente nella vita dell’UMO Jazz Orchestra, dal momento che viveva in Danimarca. Con la UMO Jazz Orchestra ho avuto la possibilità di lavorare con molti altri musicisti leggendari come Gil Evans, Clark Terry, Bob Brookmayer, Mike Gibbs, Bill Holman, Louie Bellson, Peter Erskine, Eddie Lockjaw Davis, Jim McNeely, Mario Bauza, George Russell e via dicendo. Negli anni novanta, ho anche lavorato, per due anni, come direttore artistico dell’UMO Jazz Orchestra. Oggi come oggi, non c’è più una disponibilità economica tale da avere, come nei precedenti anni, ospiti famosi. L’UMO Jazz Orchestra è sempre migliorata negli anni e la sua professionalità ha uno standard altissimo: tutti i musicisti leggono a prima vista e si miscelano insieme a meraviglia. E, negli ultimi tempi, hanno realizzato interessanti progetti suonando anche nuove composizioni di musica classica.



JC: Nella tua cartella stampa, si legge: “Eero Koivistoinen ha costruito, passo dopo passo, nel corso di trent’anni, uno stile che ha preso forma molti anni fa. Da quel momento in poi lo ha semplicemente affinato per renderlo sempre più perfetto” e “Sempre vitale e nelle sue espressioni e gentile nel suo atteggiamento, Eero Koivistoinen ha lavorato per mantenere una curiosità fanciullesca in tutte le sue attività musicali.” Prima di tutto, sei d’accordo con le due definizioni? E, inoltre, entrambe mettono in evidenza la continua ricerca che hai portato avanti nella tua carriera, in ogni direzione musicale, la volontà di aggiungere, giorno dopo giorno, nuove espressioni alla tua musica.


EK: È difficile per me commentare queste definizioni. Posso dire che, in ogni caso, sono sempre stato interessato da moltissimi generi musicali. Ho cominciato con la musica classica da bambino, all’epoca non c’era in Finlandia un percorso educativo specifico per il jazz; dopo di che sono stato a Berklee per studiare jazz… Sono sempre stato interessato alla musica etnica di molte parti del mondo. Dopo di che c’è stato l’amore per la musica funky. Il mio gusto musicale è sempre stato molto diversificato: questo non è mai stato un problema per me, anzi, mi ha tenuto attivo in direzioni diverse. È ovvio, si corrono dei rischi quando le espressioni musicali di una persona hanno troppe direzioni e non sono concentrate verso una qualche direzione particolare,,. Ma il mio obiettivo è stato sempre quello di miscelare insieme le mie passioni e, in questo senso, la mia voce ha uno spazio molto grande per esprimersi.



JC: Qual è il tuo punto di vista sulla scena jazz finlandese?


EK: La scena musicale finlandese è molto vitale al giorno d’oggi. ci sono molti musicisti giovani di grande talento e altri ne stanno emergendo. Il nostro sistema scolastico è molto efficiente per quanto riguarda la musica. L’unico problema è trovare spazi sufficienti per far lavorare tutti i nostri musicisti di talento nel nostro piccolo e, per alcuni versi, ancora isolato paese.