Finnish Jazz. Intervista. The Five Corners Quintet

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Intervista a Jukka Eskola e a Teppo Mäkynen – The Five Corners Quintet


Recensione a Chasin’ the Jazz go by

Jazz Convention: Cominciamo con la storia di The Five Corners Quintet… presentiamo il gruppo e i membri della formazione…


Jukka Eskola: Tutto è cominciato da un idea del produttore Tuomas Kallio e di Antti Eerikäinen, un grande appassionato di jazz, che hanno fondato l’etichetta Ricky-Tick Record. Sono stati loro a pensare che la musica jazz potesse conquistare il dance-floor, in modo che un pubblico più giovane potesse ballare al ritmo del jazz. Il sogno è diventato realtà quando Tuomas ha realizzato un EP, nel 2002, campionando materiale da diversi dischi e chiamando me e Eero Koivistoinen a suonare in studio sulle basi che aveva realizzato. La storia del gruppo è cominciata così: le persone hanno amato subito il sound e i deejay hanno suonato tantissimo il disco. Dopo questo primo exploit, il progetto è cresciuto e sono stati chiamati gli altri musicisti per formare una band che potesse eseguire dal vivo i brani e che potesse registrare un intero CD.



JC: Come diceva Jukka, siete giunti a registrare un CD completamente suonato. Quale è stato l’approccio al materiale che ha formato il disco?


Teppo Mäkynen: Tutto il materiale presente sul disco è stato composto e arrangiato da Tuomas Kallio. I brani sono il risultato della sua idea originaria, ma in Chasin’ the Jazz go by abbiamo registrato anche alcuni brani di Eero Koivistoinen e un mio brano, Three Corners. Tuomas ha focalizzato le sue idee intorno al suono del gruppo, costruendolo passo dopo passo: difficilmente eravamo in studio assieme e, in un certo senso, il lavoro è stato costruito in un modo più vicino a come viene messo su un progetto di musica elettronica e risdpetto al modo in cui venivano realizzati i dischi di jazz negli anni ’60 con il gruppo in studio a registrare insieme. Questo è stato un aspetto diverso nell’avvicinarsi al disco. L’idea era quella di realizzare un suono molto vicino a quello dei dischi degli anni ’60, ai dischi della Blue Note.



JC: Sia nel disco che, come al Tampere Jazz Happening 2005, ci sono molti musicisti che hanno partecipato al progetto oltre ai cinque membri del quintetto. In che modo si estende la formazione del quintetto per accogliere ospiti e musicisti?


JE. Soprattutto all’inizio di questa esperienza abbiamo voluto che i musicisti che avevano partecipato al disco condividessero con noi anche il palco nei nostri concerti. Abbiamo suonato con Mark Murphy e, come dicevi tu, con Okou e Severi Pyysalo e, ancora, con Eero Koivistoinen al sassofono. Nel corso del tempo, con il moltiplicarsi dei concerti, è diventato più semplice per noi esibirci in quintetto: in questo modo abbiamo avuto modo di evolvere il nostro suono. A volte capita di ospitare Okou, ma la maggior parte delle volte suoniamo in quintetto: suonare insieme, rende più facile far crescere l quintetto e, inoltre, è più facile viaggiare e ci da tanti altri vantaggi pratici.



JC: Nel corso del concerto di questa sera, ho potuto sentire diverso materiale nuovo e, allo stesso modo, si notano nuovi aspetti nel suono e nella costruzione dei brani. Parliamo del’evoluzione del suono del quintetto.


TM: Il mio sogno è far sì, come diceva Jukka, che questo gruppo suoni sempre più spesso insieme e sempre con gli stessi elementi e possa sviluppare un suono proprio. Questa è una delle cose più importanti per una formazione jazz: penso al quintetto di Miles Davis che ha suonato dal vivo quasi sempre gli stessi per anni e in questo modo ha trovato un suo stile, la maniera per suonare la propria musica e renderla interessante. Lo stesso mi piacerebbe che accadesse a noi: suonare insieme è la sola maniera per crescere e progredire. Cerchiamo sempre di trovare un nuovo modo di suonare qualcuno dei nostri brani, per cercare di non cadere in un cliché, in modo da trovare idee più fresche e sempre valide per i brani. Questa è la cosa piú importante per me come musicista.


JE: Credo che Teppo abbia centrato il punto, il concetto più importante per una live band. Il fatto di suonare insieme, di crescere insieme, di divertirsi sul palco e, di conseguenza, far divertire il pubblico, fare ogni volta qualcosa di differente: sono queste le nostre più grandi speranze.



JC: La vostra musica è stata concepita per essere ballata, ma, allo stesso tempo, è ricca di groove e divertente ed è possibile per il pubblico ascoltare e stare bene con la vostra musica…


TM: Ovviamente sono molto serio mentre suono e molto serio nel mio approccio alla musica, ma mi piace suonare della musica che abbia delle buone vibrazioni. Mi piacciono i colori e il tipo di musica che ti fa stare bene: a volte può essere il ritmo, altre il tema… Mi piace che il pubblico si diverta e che le persone, quando vengono a vedere un nostro concerto, tornino a casa contente. In un certo senso, a volte la musica jazz è troppo seriosa; non voglio stabilire quale debba essere l’umore del jazz, questo è il modo in cui noi suoniamo e stiamo sul palco, e le cose che dico, quando presento i brani, non vogliono avere chissà quale profondità, sono legate in qualche modo alla nostra musica e alla situazione che si crea sul palco.



JC: Il concetto stesso della vostra musica conduce al ballo, a Tampere c’erano molte persone che ballavano sotto il palco: credo che questo aspetto sia importante nel vostro modo di condurre i concerti…


JE: L’idea di base del nostro gruppo e dei nostri brani è quella del dance-floor, come dicevo prima, ma la forza del quintetto è quella di poter cambiare ed adattarsi a situazioni diverse: possiamo suonare in modo da spingere le persone a ballare, puntando sul groove e sul ritmo, oppure se suoniamo, come stasera, in una sala da concerti, puntiamo maggiormente sugli spazii che possiamo concedere alla musica, o quando suoniamo, come accadrà domani, in un jazz club sarà ancora differente. Il gruppo può suonare in ogni contesto ma mantiene una sua identità: questo è molto importante per noi, teniamo conto del fatto che i brani siano stati concepiti in una deteminata maniera, ma possiamo modulare l’impatto del gruppo.



JC: Ci sono diverse persone in Europa e negli Stati Uniti che lavorano in una dimensione simile alla vostra, ognuno con le proprie motivazioni e il propri obiettivi. Come vi rapportate a queste altre esperienze?


TM: Non seguo moltissimo quello che le altre persone fanno nella nostra stessa area musicale. Sono molto più influenzato dal jazz degli anni ’50, ’60 e ’70 e dalla musica elettronica. Spesso la musica che chiamano smooth jazz è troppo perfettina per me, non c’è sudore. Mi piace la sensazione di passione, la carica che aveva Art Blakey quando suonava. A me piace la bellezza di quel suono potente, che se ne frega della perfezione.



JC: Parliamo degli altri progetti nei quali siete coinvolti, come musicisti…


JE: Io ho un quintetto a mio nome, lo Jukka Eskola Quintet, dove suonano diversi membri dei Five Corners Quintet: la musica è molto simile, anche se è diverso il mood della musica. Come sideman ho collaborato con molti musicisti finlandesi e ho lavorato come musicista professionista in tv e in teatro. Ma i due progetti in cui sono maggiormente coinvolto sono The Five Corners Quintet e lo Jukka Eskola Quintet e con questo quintetto avremo alcuni concerti al Pori Jazz Festival, dove sarò presente anche con altre formazioni.


TM: Ho collaborato anch’io con molti musicisti jazz finlandesi, come il sassofonista Jukka Perko o il pianista Sid Hille e il suo Platypus Ensemble. Ho anche pubblicato un cd, con un mio progetto chiamato Teddy Rok Seven e con il quale abbiamo fatto dei concerti: Teddy Rok Seven fa una musica totalmente diversa da quella di The Five Corners Quintet.



JC: Potete dirci il vostro punto di vista sulla scena jazz finlandese?


JE: Credo sia davvero difficile rispondere a questa domanda. Per quello che vedo quando viaggio in Europa, credo che la nostra scena sia sicuramente valida: ci sono molti bravi musicisti, ci sono gruppi molto diversi tra loro e alcuni di alto livello e che lavorano spesso in Europa. È difficile parlare in generale di una scena: ci sono aspetti positivi e altri negativi, ci sono punti di forza e cose che è meglio dimenticare, ma, in questo momento, i giovani hanno cominciato di nuovo a sentire il jazz. Secondo me la scena finlandese vive, tutto sommato, un buon momento…


TM: Per certi versi, la scena finlandese è molto stimolante perché ci sono molti musicisti bravi e di talento, il livello dei musicisti è molto alto: c’è stato un ottimo lavoro dal punto di vista didattico. Ci sono anche molti gruppi e orchestre importanti e che suonano bene. L’aspetto negativo viene dal fatto che la Finlandia sia un paese piccolo e non ci sono abbastanza spazi dove suonare questo tipo di musica: ci vorrebbero più club dove far suonare i musicisti, dove fare delle jam session, dove possano succedere delle cose, dove un gruppo possa evolvere e progredire. Vengono pubblicati molti ottimi dischi, in Finlandia, ma non ci sono molti club dove suonare: il nostro gruppo, l’anno scorso, ha suonato settanta concerti e questo è il massimo che un gruppo possa realizzare da noi in un anno.


JE: In Finlandia, siamo sicuramente molto fortunati ad avere molte persone che si occupano della promozione e di tutto il lavoro che c’è da fare intorno alla musica, dietro le quinte. Il musicista è interessato a suonare e non vuole e non dovrebbe occuparsi di questi altri aspetti.