Finnish Jazz. Intervista. Raoul Björkenheim

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Intervista a Raoul Björkenheim


Recensione a The Sky is Ruby

Jazz Convention: Cominciamo con The Sky is Ruby. Puoi presentarci i brani e il lavoro che hai fatto per realizzare il disco?


Raoul Björkenheim Parte della musica presente nel CD mi era stata commissionata nel 2000, per un concerto che aveva come solista Pepa Päivinen, il sax baritono della UMO Jazz Orchestra. In the Green Light e Lost Love sono state scritte, invece, per questa registrazione e Fiery Flight è un brano che ho composto nel 1999. C’è voluto veramente molto lavoro per mettere insieme il disco: non sono mai stato un compositore che scrive con facilità e velocità, anzi, prendo tutto il tempo necessario per riguardare ogni piccolo dettaglio. Quando si scrive per big band, il metodo più comune è quello di partire con un tema supportato da una chiara sequenza armonica e, in seguito, di orchestrare il tutto. Io, invece, quando scrivo, sviluppo simultaneamente melodia, armonia e orchestrazione e spesso mi occupo prima della struttura. Ad esempio l’accordo iniziale di The Bloody Fields l’ho concepito con degli overtones, un suono che dovrebbe poter buttar giù le mura di Gerico, per la sua intensa energia vibrazionale. Volevo esprimere, con quel suono, la mia rabbia profonda per tutti le morti provocate dalle guerre alimentate dall’avidità, dall’ambizione e dalla sete di potere. Quando termina l’accordo, il tamburo si avvia con un ostinato dal suono militare, per essere raggiunto presto dalla bellissima voce del sax tenore che contiene la furia e la disperata tristezza di tutte le madri che perdono i loro figli nelle guerre. In altre parole, penso alla drammaturgia e ai contrasti e, per questo, ho bisogno di così tanto tempo. Ho una buona padronanza della teoria musicale, ma trovo che, spesso, soluzioni teoricamente corrette non abbiano necessariamente un buon suono oppure non sempre giocano il ruolo che vorresti assegnare loro nel tuo dramma musicale. Stravinskij racconta che, una volta, si era bloccato alla ricerca di un accordo di passaggio e quando finalmente lo ha trovato, la sua massima sorpresa fu quella di vedere che si trattava di un semplice Re Maggiore! Uno dei miei brani preferiti in The Sky is Ruby è Questions. In questo brano ho voluto costruire una sequenza di 12-tone chords e di orchestrarli in modo da nascondere le dissonanze più stridenti. Ogni sezione dell’orchestra suona una parte dell’accordo e ciascuna parte è armonicamente consonante, così, quando suoniamo tutti insieme, l’accordo diventa molto ricco e denso. Quindi ho scritto delle melodie che suonassero bene con ciascun accordo e ho usato semplicemente l’istinto per fare questo, come se gli accordi non avessero altra funzione che avere un suono magnifico… per questo brano mi sono ispirato molto a Edgar Varese e Duke Ellington.



JC: Tu hai scelto di realizzare un lavoro orchestrale. Parliamo degli aspetti principali di questa esperienza


RB: Abbiamo provato il materiale per quattro giorni nell’aprile del 2006 e abbiamo suonato dal vivo in un rock club di Helsinki chiamato Tavastia Klubi. In origine, avevamo in programma due concerti e l’idea era di registrarli entrambi e scegliere le migliori takes per il disco. Invece abbiamo deciso di fare un solo concerto e di andare in studio per diversi giorni. È stato un lavoro duro: lo studio non è l’ambiente migliore per la libertà che spero che la mia musica abbia, ma l’orchestra è stata concentrata, molto intensamente, sui brani: conosco tutti i musicisti da lungo tempo e c’è un rapporto fatto di rispetto reciproco. Una volta soddisfatti di quanto avevamo registrato, ci sono volute settimane per ascoltare tutto il materiale e scegliere quali takes mettere sul disco. In particolare, per In the Green Light c’è stato bisogno di un gran lavoro di editing e ho passato diverse notti nel mio home studio a lavorare sulle varie possibilità di combinare le tracce e di creare un piano di missaggio. In agosto abbiamo missato il materiale con Markku Veijonsuo: abbiamo utilizzato metodi molto creativi per trovare i suoni che volevo. Un esempio del lavoro necessario per realizzare The Sky is Ruby è il seguente: la batteria in Bloody Fields, ad esempio, non aveva risonanza sufficiente: abbiamo suonato ogni tamburo attraverso un monitor rivolto verso un tamburo ben accordato delle stesse proporzioni e abbiamo registrato le risonanze che si creavano in questo modo. Abbiamo registrato la grancassa varie volte con diverse accordature e abbiamo combinato i tamburi registrati in questa maniera con gli originali per ottenere le risonanza che desideravamo. Solo questo procedimento ha portato via un intero giorno di lavoro. Abbiamo affrontato l’intero processo con molta ispirazione e con un approccio innovativo, anche se, così, è stato necessario molto più tempo di quanto non ce ne venga normalmente concesso: Petri Haussila. che ha prodotto il cd per la TUM, è stato paziente e partecipe e lo ringrazio moltissimo per la sua disponibilità. Come dicevo, penso che i colori dell’orchestrazione e i cambi drammaturgici siano altrettanto importanti degli aspetti armonici e melodici. Per esempio, il fatto che i legni dell’UMO suonano tutti diversi strumenti, mi ha portato ad immaginare il suono di un ensemble costituito da flauti e clarinetti e l’ho combinato con l’arpa in Lost Love… In questo caso, l’orchestrazione è venuta prima di tutto il resto.



JC: L’UMO è, se vogliamo, la nazionale del jazz in Finlandia. Lavorare con un’istituzione del genere rende le cose più semplici oppure si avverte il peso della responsabilità?


RB: L’UMO è una squadra nazionale, ma non è la sola squadra nazionale. Quando compongo per loro, sento la stessa responsabilità che sento nelle altre mie produzioni musicali: cerco di lavorare al meglio delle mie possibilità, sempre! Ho lavorato con l’UMO sin dal 1982 e ho anche sentito i loro primi concerti nel 1975. Conosco da sempre molti dei musicisti che ne fanno parte sin dai tempi di Edward Vesala: in un certo senso abbiamo molta storia in comune. Grazie a tutto ciò, sia io che l’UMO ci siamo sentiti vicendevolmente responsabili ed entrambi abbiamo lavorato al massimo.



JC: Tu hai scelto due tra i più importanti solisti della scena jazz finlandese, Iro Haarla e Juhani Aaltonen.


RB: Nel 1984, ho scritto una pièce per l’UMO, intitolata Some, e, già in quell’occasione, il solista era Juhani. La sua partecipazione, fece suonare eccezionalmente bene la musica, nonostante la mia goffa scrittura giovanile. Ho ascoltato Aaltonen moltissime volte e so che lui è uno dei più influenti e ispirati musicisti finlandesi, amo i suoni che riesce a tirar fuori dai suoi sassofoni e dai suoi flauti. Conosco il lavoro di Iro molto bene, avendo suonato con lei per molti anni nel gruppo Sound & Fury di Edward Vesala. Iro è celebre per le sue ballate delicate: in questo disco ho voluto darle la possibilità di suonare “;jazz”; e ho apprezzato moltissimo il risultato!



JC: Nelle note che hai scritto per il CD, affermi in modo preciso i punti si partenza dei brani che hai composto: Coltrane, Mingus, Ellington, Edward Vesala. Parliamo del tuo rapporto con la tradizione e la storia del jazz


RB: Il jazz, come molti altri campi dell’arte, tende ad essere diviso in tanti sotto-generi mutuamente esclusivi: be bop, Hard bop, fusion, mainstream, free jazz e via discorrendo… e ci sono ascoltatori che permettono a loro stessi di ascoltare solamente uno o due di questi sotto-generi. Personalmente, a me piace ascoltarli tutti, come puoi non ascoltare la bellezza di Miles Davis che suona “;Round Midnight”;? o di Coltrane che suona “;Venus”;? Come puoi, se parliamo di batteristi, escludere qualcuno tra Art Blakey, Jo Jones, Max Roach, Elvin Jones, Tony Williams, Jack de Johnette, Paul Motian, Edward Vesala, Rashied Ali, Hamid Drake, Joe Chambers… e la lista potrebbe proseguire all’infinito. A prescindere dalle differenze stilistiche, ciascun musicista ha contribuito alla storia. Io non penso al jazz come a uno stile, credo piuttosto che sia un processo costantemente alla ricerca di soluzioni nuove ed innovative. Quando Bird ha iniziato a suonare be bop con i suoi musicisti, loro stavano sperimentando nuove idee ed è per questo che la loro musica suona così viva ed eccitante, anche se tutto veniva fuori dalla tradizione dello swing. Ornette Coleman non avrebbe potuto essere possibile senza Charlie Parker, allo stesso modo Cecil Taylor senza Powell. Allo stesso modo, io non avrei potuto scrivere nessuno dei brani di questo CD senza la guida ispirata di questi maestri.



JC: … e, di conseguenza, come hai mescolato le tue idee e le tue intenzioni con queste influenze?


RB: Oltre al mio amore per il jazz, io ascolto musica da camera e sinfonica, rock and roll, musica classica indiana (suono con una certa regolarità con un suonatore di tabla) e, in genere, musica folk di ogni parte del mondo. Tutti questi elementi si combinano nelle mie composizioni e, in ogni brano, varia la misura con cui ciascun riferimento è presente nella mia musica… non ci sono metodi precisi o stabiliti.



JC: In The Sky is Ruby, uno degli aspetti principali è la combinazione di ordine e libertà.


RB: Per come la vedo io, improvvisare spesso rende più importante la performance rispetto alla composizione. Il mio obiettivo è che i miei brani suonino come se fossero stati appena composti, mantengano la loro freschezza. Quando improvviso, voglio che il risultato sia ben concepito, inevitabile e, insieme, pieno di sorprese. Per questo progetto non ho imposto nessuna combinazione di accordi ai solisti: confidando nel loro buon giudizio, ho voluto lasciare loro la libertà di suonare il miglior assolo possibile, solamente usando il loro orecchio e il loro sentimento.



JC: Come si collega The Sky is Ruby con gli altri lavori per ensemble orchestrali che hai scritto nel corso degli anni?


RB: Ho inciso un solo CD per un ensemble largo con mie composizioni: Apocalypso, un lavoro per due chitarre elettriche soliste, trentotto chitarre, otto bassi e quattro percussionisti. C’era meno libertà e maggior controllo rispetto a The Sky is Ruby ed era un progetto maggiormente orientato verso l’hard rock. Speravo davvero di avere un riscontro importante, almeno tra i chitarristi, ma, con mio disappunto, è passato in sordina: sicuramente non lo aiutato il fatto di esser pubblicato il 18 settembre 2001, una settimana dopo l’attacco alle Torri Gemelle, e di essere intitolato Apocalypso… Nel 1991 abbiamo registrato una pièce che ho scritto per l’UMO chiamata Primal Mind: una ambiziosa suite in nove parti, con una chitarra solista à la Hendrix, elettrica e selvaggia, e la sezione ritmica dei Krakatau. La libertà era ben bilanciata con delle parti scritte e il concerto è andato molto bene, ma, sfortunatamente, la registrazione non mi è sembrata di altrettanto buon livello e, perciò, non è mai stato pubblicato un disco di quella esperienza. Ho scritto tre pieces per orchestra sinfonica e l’ultima delle tre è molto bella, ma ci sono alcuni problemi di orchestrazione che non mi hanno mai permesso di registrarla come si deve: suona come se fosse stato scritto da un compositore di jazz influenzato da Bartok e Stravinskij.



JC: Nella tua biografia, ho letto che la tua “;strada verso il jazz”; è partita dal blues e dal rock di Jimi Hendrix e B.B. King e che hai raggiunto John Coltrane attraverso Frank Zappa e John Mc Laughlin.


RB: Ho cominciato ha suonare la chitarra nel 1969 e la prima canzone che ho imparato a suonare è stata Long Black Veil di the Band. In quegli anni, io e i miei compagni di scuola ascoltavamo Jimi Hendrix, B.B. King, Alvin Lee, Jimmy Page, Johnny Winter, Eric Clapton, Jethro Tull e Janis Joplin: la musica ci mostrava un nuovo stile di vita meno legato ai soldi, allo status sociale e al successo. Noi avvertivamo anche gli aspetti ideologici di quelle canzoni, non solo la parte musicale. Quando ho imparato a suonare meglio, si sono evoluti anche i miei gusti e ho cercato di sentire quanta più musica possibile. Il primo assolo che abbia trascritto da un disco è stato un assolo di B.B. King e questo mi ha portato ad imparare molti brani dei miei chitarristi preferiti. Ho amato l’atteggiamento irriguardoso di Frank Zappa verso l’establishment e le buona società e mi elettrizzavano i suoi assolo folli. Ho sempre amato Jimi Hendrix e Band of Gypsis era costantemente sul mio giradischi. La Mc Laughlin’s Mahavishnu Orchestra mi ha completamente fatto impazzire e credo ancora che sia una delle musiche più esaltanti che io abbia mai ascoltato. Ho studiato scale e accordi, ho anche studiato diversi anni a Berklee e ho lavorato su nuove idee ogni giorno. Amo suonare la chitarra: è la mia forma favorita di auto-intrattenimento ed è anche il mio metodo per mantenere la concentrazione. Suono brani classici di Bach, Brouwer, Villa Lobos e Tarrega ogni giorno per mantenere in forma la mia tecnica sullo strumento. Ma, allo stesso tempo, ho imparato a suonare di recente Brown Sugar dei Rolling Stones per poterla insegnare a un mio studente e non posso fare a meno di suonarla. Quando compongo un brano nel quale dovrò suonare, spesso scrivo per prima la parte della chitarra e questo metodo mi ha portato allo sviluppo di alcune tecniche chitarristiche estremamente complesse



JC: Questa apertura mentale ti ha permesso di portare il tuo stile in contrasti estremamente diversi tra loro come, ad esempio, il duo con Lukas Ligeti e il progetto Helium di Eero Koivistoinen.


RB: Ho suonato in molti contesti: ho suonato il basso in una band senegalese di M’Balax e in una rock band, la chitarra acustica per produzioni teatrali, mi sono esibito con musicisti tradizionali indiani, con musicisti di flamenco, con musicisti classici. Questo riflette semplicemente la mia sete di grande musica, senza nessuna esclusione di genere. Non sono molto ferrato sui gruppi i testa alle classifiche, ma solo perché non sempre mi piace la musica che fanno.



JC: Negli anni ’80, hai lavorato con Edward Vesala, figura centrale nella scena jazz finlandese…


RB: Edward Vesala è stato, per me, uno dei maestri più importanti. L’ho sempre ammirato dal momento che l’ho sentito suonare in duo con Tomasz Stanko, nel 1974, e che ho visto i suoi concerti per sole percussioni. Nel 1982 la Finnish Jazz Federation ha organizzato un music camp per giovani musicisti ed è stata un’esperienza elettrizzante suonare, per la prima volta, con lui. È stato l’avvio del suo progetto Sound & Fury e ho lavorato con lui per circa tre anni. Il suo modo di suonare la batteria era al di là di qualunque cosa avessi sentito fino a quel momento e, forse, è per questa ragione che, ancora oggi, sono tanto esigente per quanto riguarda la scelta dei batteristi. Lui pretendeva moltissimo dalle persone che suonavano con lui e, spesso, assumeva dei toni molto aspri, quasi dittatoriali, ma credo che lui volesse solamente aiutarci a diventare i suoi seguaci nella musica free, a diventare musicisti migliori di quanto non immaginassimo noi stessi. Se lui diceva “;play fast free”;, noi cominciavano a suonare e dovevamo mantenere quell’intensità per un’ora e anche più e questo era un lavoro davvero duro… oppure capitava di suonare una ballad per ore ed era altrettanto difficile. Uno dei miei contributi al suo progetto è stato quello di trascrivere le parti per i musicisti dalle sue partiture: questo mi ha permesso di imparare moltissimo sul suo modo di comporre. Abbiamo registrato moltissima musica, spesso andando negli studi della radio finlandese a lavorare alle colonne sonore dei film. Il primo disco in cui sono apparso era un suo lavoro con l’UMO, Juhani Aaltonen e Tomasz Stanko, intitolato Bad Luck Good Luck. Il progetto più eccitante che abbia mai fatto con Edward è stato il suo album per ECM, Lumi, nel quale ho diretto diversi brani. Quando ho avuto la notizia della sua scomparsa prematura, ero a Dublino per suonare un concerto con il gruppo Krakatau: è stato un concerto davvero intenso.




JC: Qual è il tuo punto di vista sulla scena jazz finlandese?


RB: La scena finlandese è in salute, ci sono molti buoni musicisti con un suono personale. Molti conservatori hanno programmi jazz, il più importante è la Sibelius Academy, dove insegno quando sono in Finlandia. L’unico problema è che la Finlandia è un paese davvero molto piccolo e quindi non ci sono abbastanza ascoltatori. In questo momento, ad Helsinki non c’è un vero e propio jazz club e i musicisti devono trovare le loro opportunità all’estero, cosa che non è sempre facile. Una delle cose più importanti è che in Finlandia gli artisti sono sostenuti con sovvenzioni e questo permette di registrare molti progetti: ad esempio, grazie al supporto delle istituzioni finlandesi, ho potuto registrare il mio primo disco con i Krakatau nel 1988 e porre le basi per sviluppare tutta la mia carriera in seguito.