Finnish Jazz. Intervista. Timo Lassy

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Intervista a Timo Lassy


Recensione a The Soul and the Jazz of Timo Lassy

Jazz Convention: The Soul and the Jazz of Timo Lassy. Cominciamo dalla formazione e dai suoni che hai scelto per i tuoi brani.


Timo Lassy: Beh, l’album porta il mio nome sulla copertina così, in pratica, devo mantenere le promesse: e quindi nel disco sono presenti il mio stile nel suonare il sassofono e c’è molto spazio per le improvvisazioni. A me piacciono, allo stesso modo, il ritmo funky della batteria e il suono latin carico di swing: ho portato questi elementi nelle composizioni, insieme al groove e ad una atmosfera gioiosa. Una volta composti i brani, ho chiamato tutti i miei musicisti preferiti e, per fortuna, ho potuto averli tutti nella realizzazione di questo mio CD. Il calore della sezione fiati è una componente essenziale al buon jazz come la grappa in un caffé corretto.



JC: Nelle note di copertina si parla dei salutari elementi latin e percussivi… immagino che lavorino in questa direzione…


TL: La musica Latin e Afro hanno alla base il ritmo e sono, a loro volta, la base per il ritmo che voglio esprimere: spero che la mia musica faccia muovere le persone sia dentro che fuori.



JC: Sul tuo sito web, dichiari le tue influenze: da Sonny Rollins a James Brown, da Cannonball a Duke Pearson e Horace Silver. Come si manifesta nella tua musica questo ampio spettro di influenze?


TL: A me piacciono i musicisti che mettono “;soul and spirit”; nel loro modo di suonare. Penso che i nomi che hai citato, abbiano sempre fatto questo nella loro musica. Non posso certo affermare di aver ascoltato questi musicisti con l’ottica di suonare come loro o di aver riascoltato nel mio modo di suonare una particolare influenza dell’uno o dell’altro… e, d’altronde, se parliamo dei grandi maestri, la lista potrebbe essere senza fine. Dal mio punto di vista io sento nel mio suono potente moltissimi vecchi cantanti di R&B… Infine, per quanto riguarda Duke Pearson e Horace Silver, sono musicisti che reputo importanti per il loro modo di comporre e di arrangiare: sono entrato in contatto con la loro musica in un momento successivo.



JC: L’influenza di The Five Corners Quintet nella musica di The Soul and the Jazz of Timo Lassy e, al contrario, l’influenza della musica che hai composto e suonato per questo lavoro nei concerti più recenti di The Five Corners Quintet.


TL: C’è di sicuro l’influenza di The Five Corners Quintet, ma credo che quest’album abbia uno stile differente. The Five Corners Quintet è più cool e attento allo stile, il mio disco è più funky e soul. Non posso dire se ho cercato di realizzare un album che fosse specificatamente diverso da uno di The Five Corners Quintet, ma, d’altro canto, cerco di fare cose sempre diverse le une dalle altre, di non renderle tropo simili tra loro.



JC: È possibile, secondo te, delineare un percorso dagli U-Street All Stars, a The Five Corners Quintet e a The Jazz and the Soul of Timo Lassy?


TL: ISi. U-Street è, in un certo senso, il punto di partenza di tutto il filone. È stato il primo gruppo in cui ho suonato professionalmente del jazz e ho imparato moltissimo dalla partecipazione a quel progetto. Ho cominciato a pensare e pianificare il mio album solista appena finita l’esperienza di U-Street. The Five Corners Quintet è stato il passo successivo: credo che, nei brani e nel suono di The Five Corners Quintet, ci sia una gran parte del mio modo di pensare la musica e molto del mio stile. E inoltre, lavorare con The Five Corners Quintet mi ha reso chiara la direzione da seguire per arrivare a realizzare il disco e per essere il musicista che sono oggi.



JC: Nel disco, ci sono anche due brani, Universal Four and Love Moan, differenti dalle atmosfere generali del disco. Due altri lati del tuo jazz e della tua anima?


TL: Non posso non essere d’accordo. Sono brani che hanno una visione maggiormente spirituale e hanno anche un ritmo differente, non si possono impiegare in una pista da ballo.



JC: Il groove è un aspetto importante del tuo disco e credo che il lavoro di Georgios Kontrafouris e Teppo Makynen sia determinante in questa direzione.


TL: Si potrebbe dire che amo i musicisti che hanno un forte senso del groove e Georgios e Teppo sanno assolutamente ciò di cui c’è bisogno per creare il groove. Non bisogna dimenticare il grande lavoro di Antti Lötjönen al contrabbasso: Antti è l’ancora di tutto quanto accade. Credo che tutti i musicisti presenti nel disco siano bravissimi e, soprattutto, sono capaci di passare senza difficoltà da uno stile all’altro, da un ritmo all’altro. Sono estremamente soddisfatto del modo in cui hanno lavorato a Soul and Jazz.



JC: Sia con questo disco che con quello di The Five Corners Quintet, avete stabilito un contatto tra il jazz e la musica da ballare.


TL: Vorrei ricordare a tutti i lettori che il jazz nasce originariamente come musica da ballare: negli anni trenta e quaranta, nell’era dello swing, le big band erano le “;pop-bands”; del periodo e suonavano di fronte a un pubblico enorme di persone che volevano ballare. Perciò quello che facciamo noi non è proprio una novità assoluta. È stato bello scoprire che alcuni dj hanno voluto utilizzare questa musica e l’hanno portata di nuovo nella scena dei club e delle discoteche – anche perché si tratta di persone che hanno la sensibilità di ascoltare questa musica. Il mainstream jazz degli anni ’60 risulta avere il suono che meglio si presta per questo tipo di approccio. Credo sia perché in quella musica ci sia il funky, ci siano moltissimi accenti latini… E, di questo, sono molto felice, dal momento che si tratta dei miei suoni preferiti, dei ritmi che amo di più.



JC: Qual è il tuo punto di vista sulla scena jazz finlandese?


TL: Si può anche definire scena jazz, ma lasciami dire che accade molto poco. Abbiamo diversi grandi musicisti e il contributo nel movimento jazz della Sibelius Academy è senz’altro eccezionale, ma si esaurisce tutto qui. Avremmo bisogno di molti posti in più dove suonare ma, in una nazione con soli cinque milioni di abitanti, è un puzzle difficile da risolvere. Inoltre la durezza dell’inverno, le grandi distanze e la tradizione culturale finlandese non sono le migliori basi per creare una scena groove. Ma, negli ultimi anni, la nuova generazione sta mettendo un impegno sempre maggiore nel rendere visibili le proprie attività e nel creare un pubblico. Gruppi come U-Street All Stars e The Five Corners Quintet hanno fatto un ottimo lavoro per portare un nuovo pubblico giovane a vedere i concerti. E vedo, sempre più spesso, progetti molto interessanti: perciò, spero che le cose si muovano verso una direzione migliore. Ovviamente, lavorare come musicista jazz in Finlandia non è una delle cose più semplici e quindi creare dei legami forti è importantissimo… la sopravvivenza del più forte, se si vuole… E la nostra è una famiglia con legami molto stretti: fratelli e sorelle che condividono una forte passione per il jazz e, in generale, per la musica.