Giovanni Guidi – Indian Summer

Giovanni Guidi - Indian Summer

CamJazz – CAMJ 3301-2 – 2007




Giovanni Guidi: pianoforte

Dan Kinzelman: sassofoni

Francesco Ponticelli: contrabbasso

Joao Lobo: batteria






Il disco si fa notare per le composizioni molto aperte e ricche di suggestioni poetiche più che di “sanguigno” approccio. Ne viene fuori un insieme rilassante e rarefatto, con qualche spunto ironico (dove per ironia in musica intendiamo, l’uscita dallo “stilema” realizzata con soluzioni spiazzanti, vedasi ne Il campione) di ottimo effetto e di già definita sensibilità espressiva.


In diversi casi nel suo pianismo, Guidi sembra contare tanto sulla “nota” quanto sulla sua assenza: il fraseggio appare “franto”, la costruzione armonica, progressiva, pur in una logica raffinata, fatta di una serenità di fondo intervallata con tensioni sottotraccia. Sicuramente una musica radicata nel jazz, ma aperta verso soluzioni contemporanee, tanto in taluni accenni “fast” (Round trip, O.C.E.R.) che in quelli più rilassati (September never comes): la cifra di fondo mi sembra “l’inatteso”, la variabile imprevista, l’irregolarità logica, la sospensione che porta allo squarcio energico in un sistema complessivamente rasserenante. Il tutto nella logica del “free”, ma abbondantemente filtrata da ragionevolezza tutta europea e da una conoscenza della musica colta contemporanea.


D’altro canto, se un limite può esserci in questo disco, lo si può individuare nella sua logica molto “pensata”, nell’approccio forse troppo teso ad illustrare le cifre inequivocabili del “poetico” vagamente “new age”, mentre un’indubbia qualità dell’insieme è che, tra le righe di questo mood poetizzante, si esprime una complessità e una intelligenza originale e nient’affatto scontata della composizione.


Sinceramente trovo molto interessanti proprio i brani “fast” (purtroppo rari) dove ci si muove in logiche innovative di fraseggio che toccano suggestioni free e più coerentemente jazzistiche e “d’insieme”. Anche in esse comunque si mantiene un certo approccio intellettualistico che tende a raffreddare più che coinvolgere. È strano perché l’”indian summer” ha una varietà tutto sommato gioiosa ed emotiva dei colori mentre qui l’insistenza é sull’iconografia autunnale un po’ caricata: più legata all’idea di un “indian summer” è l’apparente fusione di vita e di “freddo” che sta dentro la suggestione ambientale del termine.


In conclusione mi sembra un disco che, pur presentandoci un indubbio talento compositivo ed esecutivo, soffra un pochino di “intenzionalità”, cioè di eccessivo concettismo: non mancano comunque sprazzi veramente belli e certe intuizioni nelle frasi o nell’apertura della composizione ci permettono di immaginare strade interessanti. Complessivamente, una buona prova per un quartetto che genera belle aspettative.