Trelilu: musicisti con il vezzo dell’idioma

Foto: Franco Bello





Trelilu: musicisti con il vezzo dell’idioma.

“Cos’è il genio? E’ fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione” Attraverso questa battuta, mutuata dal primo “Amici Miei”, si può iniziare a parlare di questo gruppo di grandi musicisti: jazzisti e blues-men con il vezzo dell’idioma, utilizzato in questo particolare contesto come espressione altissima dell’amore per il proprio territorio – che spesso dà origine a tentativi di strumentalizzazione politica, puntualmente disattesi dai Nostri che sono invece scevri da ideologismi -. Veri artisti, e puri di cuore.


Trelilu (più Peru, il D’Artagnan della situazione) alla prima esperienza con un dvd. Esilarante la presentazione alla Regione Piemonte, con Carlin Petrini e una cospicua delegazione di Slow Food a presenziare all’evento, diverse autorità politiche, scrittori. Tutti schierati davanti a un’enorme recipiente pieno sino all’orlo di una meravigliosa cremina di gorgonzola, e tutt’attorno mazzetti di rubatà (grissini tipici piemontesi), mentre sullo schermo scorrevano le immagini di una giornata tipo di quattro giovanotti piemontesi su una Prinz verde d’epoca, un po’ goliardia un po’ Commedia dell’Arte, un clarinetto tipicamente jazz e i sottotitoli disponibili nelle quattro lingue europee, tradotte dal dialetto delle Langhe… Che giornata.


Tutto ciò che viene riportato – e naturalmente si parla anche del concerto di qualche giorno dopo – ha probabilmente una valenza non ripetibile nel tempo, ma tutto parla di grande divertimento, intelligenza, profondo senso del teatro e, in fin dei conti, un’esperienza alla quale non ci si può accostare se non con uno stupore di tipo adolescenziale.


Spesso i loro spettacoli si dipanano davanti a una platea completamente esaurita, con vari angoli dei locali a fare da appoggio ai molti per cui le “cadreghe” non sono sufficienti. Pippo, Bertu, Franco e Peru riescono sempre a dare origine a una performance completamente diversa da qualunque altra cosa, non codificabile certo in alcun genere preciso, ma con una generosità, uno slancio e una spontaneità veramente difficili da trovare attualmente su un palcoscenico.


Vivono, attraverso la bellissima voce di Pippo (dalla mimica perfetta, che richiama i fasti del grande teatro comico), personaggi e situazioni tra ingenuità e furbizia, tra perplessità e vessazione, tra senso del tempo e straniamento. Bertu fa da contrappunto con la sua chitarra e il canto, Franco indossa in scena tutti i suoi improbabili cappelli e suona il contrabbasso con la stessa poesia di quando frequenta altre musiche, Peru suonando vari strumenti a fiato origina suoni quasi “vocali” che intersecano alla perfezione i testi recitati e cantati da Pippo.


E c’è una qualità in questa musica, e una dignità rispetto alla tradizione che fanno di questo gruppo uno dei più amati sulla piazza. Tutto, a dispetto dell’immagine folcloristica e della ribadita semplicità, è molto profondo, studiato nei minimi particolari e parla al pubblico dell’amore per la propria terra. Il tutto, naturalmente, giocato in una chiave musicale estremamente raffinata e jazzistica, come è naturale per la formazione di questi artisti. Davvero, questa volta, i superlativi non andranno sprecati.