Per Mario…

Foto: archivio Paolo Carradori





E’ un anno che Mario Schiano ci ha lasciato. Un silenzio assordante, con poche eccezioni, ci circonda. Anche il silenzio possiede un suo valore comunicativo. Al di la di commemorazioni o nostalgie, che Mario restituirebbe al mittente con un sorriso, per ricordarlo ho allora pensato di dare voce a chi con lui ha suonato, avuto rapporti professionali, di amicizia o altro. Il coro che propongo di seguito, anche se numericamente inferiore ai destinatari della mi proposta ma non è il caso di fare statistiche, ci fa capire, con le sue diverse sfumature ed impostazioni quanto Schiano fosse amato soprattutto per i suoi caratteri umani prima che musicali e d’artista nel senso totale del termine quale era. Una polifonia che forse ci può aiutare ad uscire da un certo immobilismo, una pigrizia mentale ed operativa che lui ha sempre combattuto con tenacia. Mi sono accodato anche io al coro giocando a fare il poeta, spero Mario mi perdoni.


“E A MARIO”?


I necrologi non sono il mio forte, tanto più se a scoppio ritardato. Sarei capacissimo di esprimere ai congiunti del dipartito “le mie vivissime condoglianze”, il che avrebbe fatto schiattare […si fa per dire…] Mario dalle risate.

Eppure Mario teneva nei riguardi della morte un atteggiamento quantomeno contraddittorio : da una parte non mancavano al solo pronunciarla infornate di scongiuri, corna e cornetti; dall’altra gli poteva capitare di non resistere alla tentazione di scherzarci sopra come quando, in occasione della registrazione del brano “Squilli di Morte” [dalla Suite “Il Maestro Muratore”] con la Italian Instabile Orchestra, dedicata all’anarchico Schirru, fucilato in quanto accusato di aver attentato ala vita del Duce, simulò il canto del gallo con il suo vecchio e fidato Cohn perché “ogni fucilazione che si rispetti si rappresenta all’alba […vedi Tosca…] e all’alba il gallo canta”.

Per fortuna dobbiamo essere sintetici, così potrò raccontarvi il resto nei prossimi anni, a meno che non mi capiti di raggiungere Mario da qualche parte.

(Bruno Tommaso)


“Quando penso a Mario Schiano mi viene da ritornare ai miei anni ’60 a Roma. A quell’epoca Mario era un personaggio imprescindibile di quell’affresco di formidabile umanità che io ho trovato là in quell’epoca. Era un animatore delle iniziative musicali più rischiose e avventurose. E al contempo una persona deliziosa con uno speciale senso dell’umorismo unito a una profondità di pensiero.

Nell’archivio di “Siena Jazz” si custodisce una serie di fotografie di Mario. Una di queste ci ritrae insieme durante un duetto di sassofoni (a quell’epoca suonavo anche il sax soprano). Questa foto per me è quasi una metafora del rapporto che ho avuto con lui.”

(Franco D’Andrea)


Mario Schiano era uno spirito libero oltre che un pioniere del jazz più informale e, naturalmente, un amico.

Citando Eric Dolphy:

“When the music is over, it’s gone, it’s in the air and you can never capture it again”

(Daniele Cavallanti)


Arrivato a Roma per lavoro, Mario Schiano s’era piazzato fisso al Folkstudio col suo sassofono. Gli feci compagnia e durò decenni. Portava da Napoli la musica del Sud e l’ironia di uno che alla vita ha dovuto chiedere più del troppo. Ci tuffammo, lui anche con tutto il suo corpo, in un’impresa nuova, sonora, non solo musicale. Di battuta in battuta, di ferocia in risata, si traduceva il jazz tradizionale in un suono più vicino, lo trascinavamo fuori dalla conventicola. I suoni incuriosirono, gente veniva a sentire e a discutere. Lasciavano a casa le collezioni e restavano naso all’insù, fuori e dentro dal Folk, un po’ seduti al bar e un po’ in piedi davanti all’improvvisazione free. Di giorno, poi, Mario mi faceva al telefono le imitazioni perfette di tutti. Un ammiccare continuo. Non eravamo mostri di tecnica. Cercavamo un modo nostro. Inventammo il Gruppo Romano Free Jazz.

(Franco Pecori)


Mario, ovvero Mariolino come lo chiamavo affettuosamente, è una figura di primo piano della musica libera del secondo novecento italiano.

Non è soltanto una, per me, memoria incancellabile ma è presenza per quanto è stata la sua umanità, modello raro di intelligenza e di vis umoristica, di sofferta partecipazione spinta al sublime creativo e di leggerezza scanzonata rivelatrice di più profondi sentimenti d’affetto e di nostalgia.

Con lui ho vissuto anni di sincera amicizia e di reciproco rispetto e stima costellati da intrecci musicali che ci hanno visto molto vicini nelle stesse audaci prove, come ad esempio la registrazione del disco per “Jazz a confronto” della Horo Record nel 1974. Ci incontrammo per la prima volta a Roma, direttamente in studio di registrazione e senza prove registrammo in duetto, pianoforte e saxofono, “Canto ritrovato” e “Unità”, due miei temi appena nati. Qualche tempo dopo Mario mi invitò al suo festival romano “Controindicazioni”. Le nostre strade si avvicinarono ancora anni dopo con la partecipazione alla “ITALIAN INSTABILE ORCHESTRA” con la quale, nell’arco di cinque anni, realizzammo i miei lavori “PIERROT SOLAIRE” e “SKYES OF EUROPE”. Ovvero nel periodo d’oro dell'”INSTABILE”. Tutto ciò rafforzò il nostro rapporto di amicizia e di collaborazione creativa.

Mario, o meglio, Mariolino è ancora qui con noi, ed io mi aspetto che risuonino la sua voce, il Suo Suono lirico-astratto, le sue espressioni straordinarie.

E mi tengo stretto il patrimonio di umanità che ci ha donato.

(Giorgio Gaslini)


L’improvvisazione come forma musicale aperta, come anti-genere, anti-stile. Un modo di usare i suoni e i non- suoni, lo scontato e l’inusitato , il bello e il brutto, quello che fila e quello che si inceppa. Suonare quello che si vuole, quello che si pensa, fingendo di essere liberi. Una tromba, un sax, un corno francese, un flicorno, un pianoforte ed un organo Hammond da usare per inventare un GOSPEL”.

(dalle note di copertina di “GOSPEL” del 1977 in duo con Mario)

(Guido Mazzon)


Mario Schiano mi manca sempre di più, ad un anno di distanza dalla scomparsa. Con me – come con tanti giovani jazzisti e jazzofili – Mariolino è stato prodigo di musica e parole, di calore umano ed ironia. Conoscerlo di persona negli anni ’80 e frequentarlo nei decenni seguenti è stato un grande onore e mi ha aperto nuovi orizzonti. Schiano era un comunicatore straordinario, un uomo di sensibilità rara, un fine intellettuale ed un musicista dalle idee chiare. Quando ridiede vita alla rassegna “Controindicazioni” nel 1988 voleva mutare il segno di un jazz che tornava ad essere imitativo e passatista. La sua sembrava un’operazione di revival free mentre era un “serrare le fila” di più generazioni che non volevano piegarsi al marsalismo trionfante. Nella rassegna romana passarono gli avanguardisti di tutta Europa, dall’Olanda all’ex.Urss. Schiano, felice, sorrideva in platea quando non incrociava il suo sax in imprevedibili sedute di improvvisatori. Così mi piace ricordarlo…

(Luigi Onori)


Dignità e giocosità


Mario Schiano mi ha regalato un momento di dignità e riconoscimento musicale, del quale gli sono grata e che rimarrà sempre nel mio cuore. Avendomi sentita suonare una volta in una registrazione, subito mi ha voluta conoscere perché, diceva, il mio modo di suonare gli ricordava il suo entusiasmo da ragazzo. Mi ha invitata ad un incontro sulla musica free a Roma al quale ho partecipato con piacere e mi ha proposto di far parte di alcune formazioni italiane di musica jazz e free jazz. Poi le cose sono andate come sono andate ma resta il senso di dignità col quale sono stata trattata e col quale è stata trattata la mia musica. Cosa rara nell’ambiente jazz e non solo. La musica è sempre stata parte della mia vita e lo rimane anche adesso che sono madre di due figlie e suono solo per loro e pochi intimi… Per una donna e madre fare della musica un mestiere è molto difficile…di lui avrò sempre il ricordo di una persona vera, viva e aperta, che non ha paura di conoscere e confrontarsi e che non dimentica la dimensione giocosa del tutto. Per questo lo ammiro e lo saluto col cuore e per questo vorrò farlo conoscere presto anche alle mie figlie!

(Paola Pieri)

Eravamo in Francia, con l’Orchestra Instabile. Non ricordo esattamente il luogo, comunque in Francia. Poco prima del concerto, una sera, attraversavo il corridoio in cui si trovavano i camerini. Nessuno in quel momento si trovava in camerino, tranne Mario, che vedendomi passare mi chiamò. Per molti anni il suo posto sul palco era davanti al pianoforte e tra un pezzo e l’altro spesso si girava verso di me e commentava con il suo inimitabile stile tagliente qualche particolare del brano appena terminato o l’aspetto curioso di qualcuno presente in sala. Mi chiamò, come dicevo, nel suo camerino. Mi disse “vorrei lasciarti un ricordo di me, vorrei che avessi questo”. Mi diede un libro suo, sul quale scrisse una dedica che ancora conservo gelosamente. Abituato com’ero al suo umorismo, al sarcasmo, all’ironia talvolta spietata era come se improvvisamente Mario mostrasse la sua veste autentica, vale a dire di un uomo che improvvisamente sentiva il bisogno di lasciare un segno, un messaggio, sentiva forse che stava per arrivare la fine di un capitolo. Così, poco tempo dopo, salutandolo al termine di un concerto (per lui sarebbe stato l’ultimo in assoluto, ma nessuno di noi lo avrebbe immaginato) mi avvicinai, lui mi strinse il braccio e sussurrò “caro maestro, ci siamo: stavolta siamo arrivati”.

(Umberto Petrin)

BLUES FOR MARIO

Il lampo blu dal suono argento squarcia il grigio fumo umido dal sapore acre di viaggio lontano nel futuro vecchio di storie sconosciute

flusso doloroso che scarna misteri nella sorpresa del sorprendersi del guizzo colorato nel silenzio del caos del nulla che ti porta se chiudi gli occhi

il sorriso è per dire che sappiamo ma non possiamo schiavi di noi nel creare quel segno indecente che nessuno capirà per fortuna

nemici che lottano contro la vita battaglia immane contro la paura di essere che tu ami nel grande disegno incerto delle scorribande libere

pulcinella che salti ironico dal sax graffiato contorto che non suona più rimani vicino a noi basta un gesto un suono il frusciare fresco del tuo ventaglio per respirare

(Paolo Carradori)


‘O VERO FREE’ *

“Me ne jeve ‘na sera mmieze ò mare

cantanne free cù nostalgia

e penzave, guardanne stì lampare

ca nun ce stà cchiù musica ‘a quanne è muorte ‘o free


‘O vero free era chillo ‘e ‘na vota, tuccava ‘o core ‘o vero free

pure l’Americane s’o cantavano,

pè miezz’e nire ieve chella museca

ma mò ca e tiempe belle so fernute

‘o core mie fernesce ‘nzieme ‘o free


‘O vero free era chilo ‘e ‘na vota, tuccava ‘o core ‘o vero free

ma ‘a tristezza cchiù grossa che m’accide

è ca ‘sti piscature ‘e Margellina

nun canteno cchiù free ma sule rock

ma sulamente ‘o rock”.


* Testo di Mario Schiano, interpretato sul disco “Swimming Pool Orchestra” dal mitico Trottolino, nome d’arte di Umberto D’Ambrosio, tratto dal libro intervista “Un Cielo di Stelle. Parole e musica di Mario Schiano” di Pierpaolo Faggiano (Manifestolibri 2003)


Mario Schiano. Zio Mario.

Mar – io. Io e il mar – e

il mare di Bacoli. Profumo di legno

e di grasso dei remi.

Zio Mario, gambe sottili e remate poderose di braccia potenti.

Zio Mario che ride mentre io scendo sul fondo

di scogli e di erbe marine,

torno a galla spruzzando vincitore

sui ricci spinosi. Riccio maschio si mangia riccio femmina si ributta nell’acqua.

Mario 50 estati. Le risate di mio padre e le cene copiose della sua adorata Tilde.

Mario e Rita io e Valeria.

Rita bionda da un film hollywoodiano predatrice di arche (linguistiche) perdute.

Valeria che pesca e fa a gara con Mario. Estate

Ricorrenze festose nella villa di Punta Pennata. Tutti intorno a Pasquale onorevole zio marito di Clara.

La loro casa di un tempo perduto al profumo di fiori d’arancio. E le voci… tante voci, squillanti Di Meo, un po’ roche le Schiano

E poi ancora di nuovo sul balconcino stretto di casa De Rosa 38, Mario imita, Babbo d’oro che ride….

Estati calde di sole e di affetto. Indimenticabili.

Ciao Mario, zio Mario. Spero tu mi stia leggendo mentre lì in Paradiso stai soffiando nel sax come il mago nel cilindro illudendo chi guarda con colombe e conigli.

(Vincenzo Salemme)


E’ conficcata nella mia memoria, e mi commuove, la cara e buona immagine paterna di mio zio Mario, che portandomi in barca a remi, nel mare solitario e malinconico del tramonto, m’insegnava il sapore segreto del riccio, del pane fresco, del rosso pomodoro. E senza farmene accorgere mi contagiava la passione per il ritmo nascosto nel nostro cuore profondo e nel fuoco sotterraneo dei Campi Flegrei. Il passare del tempo, e l’avanzare della corruzione, rendono sempre più preziosi i momenti passati insieme, come un vino possente che trasporta nel freddo dell’inverno il fuoco sacro dell’estate.

(Ernesto Salemme)


Conservo gelosamente tanti ricordi di Mario, legati soprattutto ai nostri pomeriggi passati insieme nella sua casa di via dei Panieri, nella Roma trasteverina, tra il novembre del 2002 e il luglio del 2003. Interi pomeriggi trascorsi a riannodare le fila di un vita intera, tra emozioni privatissime e pubbliche, pervasa da un amore viscerale per l’informale e da un’istintiva esigenza di diffonderlo senza un attimo di respiro. Stava nascendo “Un cielo di stelle”, libro che Mario aveva voluto fortemente e che in qualche modo gli rendeva giustizia, collocandolo in una posizione centrale nella storia del Jazz italiano. Ricordo quando gli feci vedere in anteprima la prima copia del libro, fresca di stampa. Era la fine di giugno del 2003. Mario era in attesa di essere operato ed era temporaneamente ospite dell’ex moglie, Rita, a Fregene. Con l’amico di sempre Pasquale Innarella decidemmo di andarlo a trovare. Alla vista del libro si emozionò come un ragazzino. Lo sfogliò avidamente con occhi lucidi e alla fine esclamò: “Abbiamo fatto proprio un bel lavoro, cazzo!”. C’era tutta la sua vita in quel libro e Mario lo sapeva. E per un crudele scherzo del destino quel libro veniva licenziato proprio mentre Schiano usciva forzatamente di scena per motivi di salute. Credo che questo sia stato per lui motivo di grande dolore: il non poter condividere con nessuno la gioia di un libro che raccontasse la sua esperienza umana e artistica. Un libro nato quasi per gioco, che riflette l’immagine di un intellettuale sui generis, pratico, sanguigno.

(Pierpaolo Faggiano)


Il sax contralto fa parte del su corpo

Pensa e sona frigezze

“lo conosci Mario Schiano?”

“ce n’è tanti di Schiano qui, forse di vista…”

L’occhialetti ridono ‘npo’ offesi e ‘npo’ pietosi pe sto gnorante.

Ma so che Paolo c’imbrocca col gezze e li do’ na mano volentieri.

Anche la Gusma Guaisce di contentezza

li sbattono addosso soni d’indipendenza… finalmente…

Da quelle note inaspettate pe mme abituato al “tono”

escono tre note di “o sole mio”

portate dal venticello di canti e di berci da ‘n vicolo di Forcella

dal porto e da rumori dei clacson napoletani.

Mario Schiano ‘npo esse ‘n sassofonista di fila

co i su occhietti che sanno anche di neghellese

insieme al sono ringrazia i vicoli e i maestri dell’Alto Volta.

‘nn’è mai successo che quando c’intruppamo

‘nsi parli di lui.

(Gianni Ferrini)


Caro Paolo,

grazie per la tua voglia di ricordare Mario e per aver saputo raccogliere degli amici che hanno voluto dedicargli ancora un pensiero, restituendolo per un momento alla vita.

Vorrei riservare a me il compito di porre l’accento su alcune costanti, da tutti riscontrabili, di una figura ineguagliabile.

La prima cosa che mi viene in mente è la sua gioiosa gentilezza, da tutti sperimentata, così connaturata e profonda da non poter essere esemplificata senza banalizzarla (ma questo è un aspetto che riguarda ogni descrizione di Mario!): fino all’ultimo è rimasta nella luminosità dei suoi occhi intelligenti, disincantati, benevoli; nel suo sorriso, quando la sua risata contagiosa si è perduta.

La seconda cosa è il gusto del bello che lo ha sempre accompagnato: sapeva coglierlo, goderne e parteciparne in ogni espressione di creatività artistica. Anche nella quotidianità, accanto alle grandi categorie di musica (questa inestricabilmente connessa ad ogni momento della sua vita), cinema, teatro, con pari cura coltivava altre piccole passioni: una vera cultura del cibo aveva finito per dotarlo di un’eccezionale -ed alquanto condizionante!- raffinatezza di palato. Quando, con sicuro istinto, riconosceva nelle persone i tratti della bellezza interiore, della ricchezza vitale, della generosità, del coraggio, era capace di mettersi in gioco totalmente per alimentare l’intensità del rapporto, e scopriva la sua parte più profonda e difesa, offrendo uno spessore di sensibilità senza pari: ne derivavano relazioni che sopravvivono alla sua scomparsa.

L’ultimo aspetto che vorrei ricordare è l’assoluta mancanza di convenzionalità che ha informato ogni suo comportamento e che ne faceva il più piacevole dei conversatori: è il tratto più marcato della sua personalità, non disconoscibile da alcuno, e dà la misura della sua intelligenza, della solidità della sua forza, del suo coraggio propulsivo. Naturalmente – e a Mario non dispiacerebbe.

non posso non porre queste qualità in relazione con la grande tradizione culturale della borghesia meridionale, perché penso che da quella siano discese, nutrendosi di intelligente disincanto, di forza e di tolleranza, di impegno e di leggerezza, di benevolenza.

Quel disincanto, quella benevolenza, quell’elegante leggerezza del tratto io riconosco come cifra di Mario e mi sembra che, uniti alla testimonianza di straordinario coraggio della sua vita, disegnino un profilo irripetibile.

(Rita Cosma)


Nota: la foto in bianco e nero ritrae Mario Schiano a Saint Vincent nel 1960; la foto a colori ritra Schiano in compagnia di Paolo Carradori, in una pausa della registrazione di “Skies of Europe” per ECM dell’Italian Instabile Orchestra a Firenze nel maggio del 1994 (la foto è di Paola Albani).