Eurojazz Ivrea 2009

Foto: Ferdinando Caretto





Ivrea “la bella” è un luogo particolare di mille fermenti culturali. Una di quelle piccole città dove dapprima sembra che tutto ruoti intorno a una realtà industriale, a un’istituzione. E invece.


Qui è dal 1980 che si parla di jazz: una volta sola all’anno, senza grandi ripercussioni sul resto delle stagioni – purtroppo, e ci si potrebbe lavorare per cambiare le tendenze – ma quando arriva l’Eurojazz tutto nelle strade parla di questa musica che prende i sensi e il cuore. Dietro, a muovere i fili e le fila, l’esperienza di Sergio Ramella e d’altro canto l’intento innovativo dell’Ivrea Jazz Club con la supervisione del bravissimo batterista e percussionista Massimo Barbiero. Genie diversificate, e i risultati pagano.


Quest’anno il palinsesto è stato quanto mai composito e interessante, con qualche concerto davvero originale e spiazzante in senso altamente positivo. E come avviene solitamente, accanto al cuore della manifestazione gravitavano nei giorni centrali di marzo alcune iniziative culturali come lezioni musicali nelle scuole e invitanti aperitivi in jazz per conoscere alcuni piccoli, preziosi luoghi sul territorio, come enoteche oppure chiese sconsacrate e adibite a luoghi di incontro: come Santa Marta, raro esempio di acustica perfetta in un luogo magico al centro della città, dove la performance complessa del sassofonista Carlo Actis Dato insieme al contrabbassista spagnolo Baldo Martinez ha avuto picchi di rara intensità e purezza stilistica. Nella stessa ambientazione, la sticomitia divertente e partecipata dei giornalisti Guido Michelone – in veste di presentatore non particolarmente ingessato – e Alberto Bazzurro a presentare il suo libro di interviste “Parlami di Musica” (Editrice Zona, 2008). Sullo sfondo le belle foto dell’artista autoctono Paolo Dezzutti.


L’incipit della rassegna è affidata al chitarrista Maurizio Brunod: un concerto in solo che il bravo strumentista, anche tra gli organizzatori della manifestazione, conduce in un ambiente rilassato e familiare all’interno del restaurato Teatro di Chiaverano – gran bella borgata a lato della cittadina eporediese – infiammando poi il pubblico con una splendente versione di Naima, il cui tema tradotto per chitarra acustica acquista una poesia davvero unica.


La sera dopo è protagonista un concerto di una qualità lontana eppure magnifica. Il contrabbasso di Miroslav Vitous, distaccato e magico, incontra la tromba di Franco Ambrosetti in un concerto unico che potrebbe apparire ad un’analisi affrettata un tantino distante e invece è un florilegio di ricerca di suoni, meravigliosi finali, respiro drammatico e rese evanescenti che riescono però a ricondurre sempre l’attenzione sull’assoluto valore di questa musica. Preferibile in duo puro che quando agisce sui campionatori, Vitous arpeggia con il contrabbasso, ha un estro incredibile e partecipa con grande comunicativa allo sviluppo del concerto. Ambrosetti vira un aspetto vagamente azzimato e composto con le impennate favolose della sua tromba, tira la nota al massimo, ha un sound emozionale e una tecnica perfetta. Si evocano naturalmente Miles e Chat, eppure tutto qui ha una valenza originalissima.


Al Salone Multifunzionale di Banchette, la sera successiva, un concerto molto seguito e di grande atmosfera: il vibrafono di David Friedman insieme alla chitarra di Ferenc Snétberger. Un concerto composito e splendidamente creativo sul quale Massimo Barbiero ha puntato molto.


La prima serata al teatro Giacosa è omogenea ancorché sdoppiata in due set: nel primo protagonista è il suono, assai amato dal pubblico, dell’organo Hammond, qui interpretato spesso in modo perfetto da Alberto Marsico in formazione simmetrica con l’organista ceco Ondrej Pivec e il batterista Giò Rossi, che gigioneggia volentieri, va di controtempo anche se all’inizio in modo un po’ duretto, percuote con le mani uno dei tom ottenendo un suono molto adatto all’uopo. Peccato la “stupidaggine bop” di una sua composizione, chiamata Ginecology, dall’evocazione dei suffissi tipici del genere… Marsico e Pivec agiscono sui molti registri dello strumento, costruiscono un sound molto particolare e fresco, lo sanno e sono coinvolgenti. Per l’orecchio tutto è molto semplice da dipanare, non esistono codici da utilizzare e questo naturalmente è un gran vantaggio. Molto bravi, hanno comunque una grande classe.


Del secondo set è invece protagonista Sergio Cammariere, che attira al Giacosa un pubblico fatto di aficionados, ma non solo. Cura l’aspetto jazz la presenza di Fabrizio Bosso alla tromba, la quale in modo naturale nobilita i temi sanremesi con volute meravigliose e note che si rincorrono in un soffio. Certo che anche il percussionista Bruno Marcozzi dona al pubblico entusiasta, con la sua performance, uno straordinario momento di jazz. Da risentire, assolutamente. Cammariere a volte ha un atteggiamento eccessivo ma è bravo e si sente che ama la materia. Alcuni passaggi sono belli, certi finali hanno una qualità notevole, un suono arcano, e quando improvvisa lascia che il pubblico partecipi e riesce a divenire davvero travolgente. Bosso e Marcozzi sono da urlo e aiutano il cantautore nell’impresa. My Funny Valentine, senza ritmica, è da brivido e Bosso appare davvero in serata.


Il sabato al Giacosa protagonista è il piano, e con esso un nome topico come Oscar Peterson, in questo caso evocato da Dado Moroni, sempre scintillante e mai eccessivo. Questo primo momento musicale implica il bravissimo Aldo Zunino al contrabbasso e Giuseppe Mirabella alla chitarra. Moroni come sempre lascia precedere i brani da un intervento musicologico e divulgativo – alla sua maniera, niente di accademico e tutto molto appassionato – e sceglie un trio senza batteria per ricordare il trio di Peterson con Ahmad Jamal e Jim Hall. Il tutto è molto stimolante, si va da Scrapple for the Apple a Prelude to a Kiss passando per Like Someone in Love e Dado sorvola anche su una piccola nota polemica con i critici musicali che lo accusano spesso di assomigliare troppo a Peterson (“lo dicono come fosse un difetto…”). Bellissimo concerto, e a seguire il piano (che purtroppo in questa serata non appare perfettamente accordato) è dominio del musicista americano Mike LeDonne ad accompagnare il sassofonista Piero Odorici con John Webber al contrabbasso e Jason Brown che sostituisce alla batteria Joe Farnsworth: veramente ispirato, davvero bravissimo. LeDonne appare un po’ freddino ma è accurato nell’esecuzione e del resto tutto scorre sereno con molto stile e verve. Il sassofono di Odorici è lieve e tranquillo, molto Turrentine Style, ma quando decolla è davvero splendente.


L’ultimo appuntamento della rassegna, organizzato a Colleretto Giacosa, è di quelli che spiazzano sul serio. Protagonista della serata il Marta Raviglia Quartet, apparentemente innocuo gruppo che invece racchiude al proprio interno alcuni notevoli strumentisti dell’area romana e soprattutto la voce e l’arte di Marta: la quale precisa, pulita e senza tanti birignao procede in un repertorio davvero straniante, tra Tim Buckley, U2 e Led Zeppelin, poesie da Wallace Stevens, looper ed effetti vocali di tutti i tipi. Assolutamente travolgente nonostante un atteggiamento apparentemente dimesso e dolce (e molto “jazz” anche solo per questo), l’artista opera un buon lavoro sulla pronuncia, agisce sui campionatori creando bellissime e particolari sonorità, una voce di suoni. E’ davvero una forza e anche quando esegue un brano maggiormente riconducibile a una matrice jazz riesce ad articolarlo, con il risultato di non essere mai banale. Da ricordare le atmosfere un po’ bambine e un po’ inquietanti della sua voce, in brani come Naked o Big Fish.


Mainstream e nel contempo contenuti altamente innovativi: questo è l’Eurojazz Festival di Ivrea, e attenzione all’edizione 2010: sarà quella del trentennale e per questo potremo certamente aspettarci cose grandiose…