Foto: Andrea Buccella
Etnomusic 2009.
Pescara, Auditorium Flaiano
Tradizioni e rinnovamento delle tradizioni: questo il punto focale dell’edizione 2009 di Etnomusic. Il programma presentato in cartellone avrebbe dovuto essere aperto e chiuso dalle esibizioni di due “grandi vecchi”, Maurice El-Medioni e Uccio Aloisi, per svilupparsi attraverso le soluzioni musicali di giovani protagonisti della world music attuale. Purtroppo un infortunio occorso al cantante salentino, gli ha impedito di esibirsi all’interno della rassegna pescarese e di chiudere, così, il cerchio “disposto” dal programma.
In questo senso sia l’esibizione di Mor Karbasi che il concerto di Hamilton de Hollanda hanno messo in luce come i musicisti delle nuove generazioni possano – e, forse, siano obbligati – a leggere e ad interpretare il lascito delle tradizioni. Se, da una parte, il percorso seguito da secoli di musica popolare si mantiene in maniera forte e precisa come punto di riferimento e linea guida, dall’altra è impossibile pensare che un trentenne brasiliano o una ragazza di origini israeliane che vive a Londra non siano esposti a influenze di straordinaria varietà, diverse, in modo persino stridente, dal canone e dagli obblighi della tradizione stessa.
E’ così, nessuna posizione precostituita o nessun purismo possono impedire di accettare l’evoluzione dei costumi musicali: soprattutto va preso in considerazione il gusto e l’equilibrio tra gli elementi posti in gioco, la sintesi e gli accostamenti. Equilibrio realizzato attraverso l’amore e il forte radicamento alle esperienze dei grandi maestri, ma, allo stesso tempo, anche attraverso l’utilizzo di forme provenienti dal jazz, dal pop e dalla canzone, dal recupero dell’improvvisazione e dalle nuove ed efficaci possibilità che offre a ciascun musicista. Sintesi, in una parola: la capacità di muoversi in modo equilibrato, come hanno dimostrato sia Hamilton de Hollanda che Mor Karbasi, diventa, se si vuole, l’obiettivo al quale tendere, il segno da tenere presente in un percorso di sintesi musicale.
Incontro di jazz, tradizioni popolari, ritmi e suoni di varia provenienza: in pratica è la lezione di Maurice El-Medioni, ormai consolidata da una lunga carriera. Il pianista, a sua volta, innesta sula radice di partenza della musica popolare arabo-andalusa e del rai i principi improvvisativi del jazz, accenti di ritmi cubani, il riferimento ai tanti pianisti della tradizione di New Orleans. Si riconosce nei testi, nei ritmi e nelle atmosfere l’origine algerina, ma si sente anche la residenza francese, l’ascolto variegato da mille influenze. E il risultato finale evidenzia una singolare coincidenza di risultati con le sonorità del Buena Vista Social Club, altra esperienza felice e aperta alle sintesi.
I Tekameli hanno offerto una prova più vicina al dettato della tradizione, ma anche in questo caso si tratta di sintesi e di incontro tra esperienze diverse che uniscono, da un lato, il mondo dei gitani – a partire dalla visione di Django Reinhardt per arrivare alle espressioni più attuali e conosciute – e, dall’altro, la spiritualità e il lirismo della tradizione religiosa spagnola. Peraltro, dal punto di vista musicale, il mondo sonoro dei gitani è di per sé uno dei terreni più fertili dell’intera storia musicale umana, vera e costante convergenza delle influenze espressive presenti nei tanti territori attraversati dalle famiglie gitane, nel corso della storia.