Lee Konitz meets Giovanni Ceccarelli French Trio

Foto: Andrea Buccella





Lee Konitz meets Giovanni Ceccarelli French Trio.

Foggia, Moody Jazz Caf̩ Р20.4.2009

Lee Konitz: sax alto

Giovanni Ceccarelli: pianoforte

Chris Jennings: contrabbasso

Patrick Goraguer: batteria


Incontro e confronto. Il trio di Giovanni Ceccarelli, con il contrabbassista canadese Chris Jennings e il batterista francese Patrick Goraguer, accoglie una leggenda del jazz come Lee Konitz per uno dei concerti di punta della stagione 2008/09 del Moody Jazz Café.


Una conversazione sugli standard e sulle tante possibilità espressive ancora insite in quell’enciclopedia che costituisce la base del linguaggio del jazz. Come potrà ricordare chiunque abbia avuto di ascoltare uno dei concerti che Konitz tiene in duo con Martial Solal, lo standard – anche il più celebrato, il più eseguito – può essere il punto di partenza per una escursione libera e rischiosa perché priva di riferimenti scontati o, semplicemente, stabiliti.


La strada scelta dal trio con Konitz non punta a quel medesimo grado di libertà, vuoi per la costituzione della formazione, vuoi per la differente reciproca confidenza, ma si muove verso una interpretazione aperta, in equilibrio tra il rispetto della tradizione e la possibilità di aggiungere ciascuno la propria voce, il proprio stile, anche se naturalmente c’è un’attitudine un po’ deferente nei confronti del maestro. A favore della soluzione scelta giova senz’altro, la dimensione spesso dilatata delle forme e delle soluzioni ritmiche, una scelta positiva soprattutto perché in grado di modellarsi sulla voce dei solisti. Non si tratta necessariamente di una questione di velocità di metronomo e, anzi, nel concerto sono presenti brani dalla incalzante cifra boppistica: è piuttosto una questione di atteggiamento, alla ricerca di un ambiente sonoro in grado di realizzare l’equilibrio tra le diverse intenzioni espressive dei quattro.


Certo, la presenza di un personaggio del calibro di Lee Konitz non è sicuramente una cosa abituale in un club, soprattutto nell’Italia meridionale. Il sassofonista si pone con fare da burbero, gioca con il suo personaggio ma, alla fine, si concede al pubblico e instaura un dialogo via via più disteso e scherzoso.


Anche sul palco il dialogo si fa più democratico e condiviso con il passare dei brani. La confidenza cresce e va a tutto vantaggio del discorso musicale del quartetto: suonare gli standard senza ricorrere alle routine e a soluzioni comode e già sperimentate. Come un esperto scacchista, Konitz sposta i propri elementi in modo da creare situazioni non previste: il merito del sassofonista è quello di gestire queste situazioni come un banco di prova, difficili magari, ma mai rivolte “contro” i suoi compagni di avventura. Non appena Ceccarelli, Jennings e Goraguer danno al maestro la sicurezza di potersela cavare, si instaura quel dialogo di cui si parlava e, poco a poco, il trio con l’ospite arrivato dalla leggenda del jazz si trasforma in un quartetto.