Time in Jazz 2009

Foto: Nico Conversano









Time In Jazz 2009

Berchidda – 9/16.8.2009


E’ stata l’acqua la vera protagonista dell’ultima edizione di Time in Jazz. Acqua che, in tutte le sue forme, ha reso la musica presentata di volta in volta liquida, tumultuosa, leggera, a tratti trasparente; che si è infiltrata tra le idee e le gesta dei musicisti fino in alcuni casi a bagnarli materialmente,condizionando la scelta delle stesse location in cui suonare. Ad aggiungersi, quindi, agli immancabili palcoscenici naturali delle chiese rupestri, sono stati i fiumi, i laghi, le piscine, i torrenti e le fonti nei dintorni di Berchidda a cui idealmente il pubblico è accorso per abbeverarsi di buona musica.


Come ogni anno, turbinoso come un vortice d’acqua (appunto!), il programma presentato ha trascinato tra le sue correnti artisti nazionali ed internazionali, tutti accomunati dall’intento di svuotare i loro otri di creatività all’interno di quell’immenso serbatoio di cultura, senso e vita che è il Time In Jazz.


Iniziato con l’ormai tradizionale traversata marittima tra Civitavecchia e Golfo Aranci, accompagnata dalla folle ed imprevedibile street band francese Ouiche Lorène,che li ha visti sfilare per le strade di Berchidda per tutta la durata della manifestazione, il festival ha avuto parecchi momenti degni di nota. Uno dei più strambi ed originali è stato il progetto Trombonefish di Gianluca Petrella in cui l’eclettico trombonista barese ha dato vita ad una bizzarra creatura anfibia, metà trombone e metà pesce, che ha abitato la piscina comunale di Berchidda per un pomeriggio esprimendosi prevalentemente attraverso un linguaggio fatto di gorgoglii,note affogate, schizzi e standards davanti ad un pubblico incuriosito e bagnato.


Lo stesso Petrella, tornato in abiti più asciutti e consoni alla sua mansione, il giorno seguente, si è unito a Fresu per un riuscito duo in quel di Pattada a base di rumorismi, creatività, brani di Jimi Hendrix, manipolazioni di onde radio e schegge di standards.Ancora in fase di assestamento e rodaggio, ma con notevoli potenzialità tutte ancora da esprimere, è apparsa la sua Cosmic Band sul palco principale di Berchidda, nel tentativo di collocare al posto giusto tasselli di funk, blues, rock, ironia e cosmiche esplorazioni musicali degne di Sun Ra.


I ghiacci del Nord Europa, dunque acqua allo stato solido, hanno portato il loro contributo attraverso un selezionato gruppo di artisti scandinavi come Jan Garbarek, Jan Lundgren, Lars Danielsson e Eivind Aarset.


Il primo, protagonista di uno dei concerti più attesi, si è esibito con il suo quartetto composto da Rainer Bruninghaus alle tastiere, Yuri Daniel al basso e la star del percussionismo, l’indiano Trilok Gurtu.Per più di due ore il leggendario sassofonista norvegese è apparso in gran forma e padrone di un suono divenuto negli anni richiamo, eco e urlo,che come quello del dipinto del conterraneo Munch, si spinge fuori a cercare l’altro che sia musicale o umano. I suoi musicisti e Trilok Gurtu, in particolar modo, rispondono a quel richiamo generando una musica che è incontro di mondi,culture e tradizioni diverse;algida poesia nordica e tradizione ritmica indiana.


Gli svedesi Jan Lundgren e Lars Danielsson sono stati coinvolti in diversi progetti separatamente,come nel suggestivo piano solo di Lundgren tenutosi alle Fonti di Rinaggiu a cui sono bastati gli 88 tasti del suo pianoforte per tirare fuori poetiche rivisitazioni di Round Midnight, Country di Jarrett o il tema deIl Postino di Bacalov,o assieme, come nel concerto nella suggestiva basilica rupestre di Sant’Antioco di Bisarcio, dove i due musicisti svedesi hanno presentato il loro progetto Magnum Mysterium, uscito su disco omonimo per la tedesca ACT, in cui musica sacra rinascimentale e improvvisazione jazz hanno cercato un punto d’incontro. Stesso discorso per il chitarrista norvegese Eivind Aarset che si è cimentato in due set diversi: sul palco principale con il suo power trio Sonic Codex, a metà tra certo jazz elettrico e roboanti riff rock,e il più quieto, meditativo e inedito duo con un altro chitarrista: l’italiano Roberto Cecchetto,che all’ombra dell’olivastro millenario di Luras, hanno improvvisato su strutture e progressioni accordali semplici offrendo la giusta colonna sonora per il contesto naturalistico circostante. Altro evento di rilievo,o almeno definito tale per l’interesse mediatico generatosi attorno e per la folta presenza di pubblico, è stato il concerto-tributo a De Andrè tenutosi a L’Agnata, sua residenza sarda immersa nella campagna di Tempio Pausania e trasformatasi in struttura ricettiva dopo la sua scomparsa. Più di 2000 persone, tra cui curiosi, fedeli del verbo di Faber e seguaci del Time in Jazz, hanno gremito il grande prato alle spalle della tenuta per assistere a questa sorta di rito pubblico,benedetto da Dori Ghezzi e officiato dal gran cerimoniere Morgan. Come annunciato da programma il concerto avrebbe dovuto essere una rivisitazione di uno degli album più noti di De André: Non al denaro, non all’amore, né al cielo ispirato dal libro Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Ma qualcosa non deve essere andata per il verso giusto, perché alla fine i brani di De Andrè sono stati solo un paio: Suonatore Jones e La Canzone dell’amore perduto, Morgan ha poi eseguito alcuni dei suoi brani più celebri e riempito gli spazi con misurati interventi elettronici,istrionismi e improvvisazioni simil-jazzistiche,che si sono concretizzate in un finale di concerto con Paolo Fresu ad accompagnarlo per il brano Preghiera in Gennaio.


Ancora l’acqua. L’acqua che evapora per le alte temperature,l’acqua che manca e a cui non hanno accesso un miliardo e mezzo di persone nel mondo;soprattutto in Africa. Ed è per questo che al continente nero è stata dedicata una delle giornate del festival ospitando artisti africani come i Terakaft e Angelique Kidjo. I Terakaft, gruppo di musicisti tuareg originari del Mali,si sono esibiti sul palco principale di Berchidda bardati nei loro abiti tradizionali e imbracciando moderne chitarre elettriche.La musica che ne è scaturita fuori ha la semplicità strutturale di molta musica folk basata su pochi accordi ma trasmutata da strumenti più moderni in qualcosa di piacevolmente originale che incorpora in sé elementi rock e reggae. Nel set successivo, si è rivelata una vera forza della natura, Angelique Kidjo, cantante proveniente dal Benin che, proponendo il suo gradevole afro-pop, ha rivoltato palco e piazza principale innescando pacifiche rivolte tra il pubblico, in lotta per un centimetro di spazio in più su cui ballare.


Instancabile ed onnipresente, al punto tale da far supporre in lui il possesso di qualche dono dell’ubiquità, il direttore artistico e deus ex-machina del Time In Jazz, Paolo Fresu ha presentato e spesso suonato in tutti i concerti visti, a fare da ideale ciliegina sulla torta del già invitante programma musicale proposto. Serata in gran spolvero anche per lui in occasione del concerto con Richard Galliano e Jan Lundgren in cui hanno presentato i brani dal loro disco Mare Nostrum che, dato il titolo non poteva mancare e che, dato l’elevato livello artistico dei musicisti in gioco, non poteva che regalare grande musica. Il fisarmonicista transalpino ha rincarato la dose, il giorno seguente in una impeccabile e deliziosa performance solitaria all’ombra dei sugheri denudati nei pressi della Chiesa delle Grazie di Calangianus. Una vera e propria cascata d’acqua, ideata per l’occasione, è quella che si è riversata sul palco nella serata di ferragosto che ha visto scambi d’energia tra i protagonisti del palco:il duo francese dei Cosmik Connection prima e la Street Band dei Ouiche Lorène poi, e il pubblico mai pago di musica suonata. A chiudere il Festival, o il rubinetto che dir si voglia, almeno per quanto riguarda la parte berchiddese del festival, che avrebbe avuto una coda di tre giorni a Sassari e dintorni,non poteva che essere Paolo Fresu che ha intrecciato un mistico dialogo con il batterista francese Philippe Garcia sulle sponde del Rio Silvani.


Da sottolineare la presenza del ricco apparato di mostre,installazioni e proiezioni video che hanno fatto da cornice al festival, ampliando ad altri canali mediatici il tema dell’acqua, toccandone problematiche sociali e morali legate al suo cattivo utilizzo e inquinamento o semplicemente inteso come fonte di ispirazione per estemporanee creazioni artistiche.Grazie anche al tema trattato e alle numerose iniziative ecologiche intraprese, l’edizione di quest’anno del Time in Jazz si è avvalsa dell’importante patrocinio dell’Unesco sancendone un’importanza di livello internazionale per quel che riguarda il suo impatto culturale, educativo ed artistico.