City Record – CR08001/1 – 2008
Ludovic Beier: fisarmonica, accordina
Ted Firth: pianoforte
Paul Gil: contrabbasso
Dave Silliman: batteria
Hilary Kole: voce
Romero Lubambo: chitarra
Joel Frahm: sassofoni
Dominique Farinacci: tromba
Edmar Castaneda: arpa
Ludovic Beier, fisarmonicista francese, riporta in Live @ Jazz Standard il concerto tenuto nel club newyorchese, il 15 maggio del 2007, alla guida del suo New York Quartet. La formazione composta da Ted Firth, Paul Gil e Dave Silliman si amplia con la presenza di ospiti di provenienza varia e, di conseguenza, la musica prende accenti ogni volta differenti. Dall’arpa di Edmar Castaneda, impegnato in Oblivion, alla voce di Hilary Cole, protagonista di una versione molto classica di You must believe in spring, passando per la chitarra brasiliana di Romero Lubambo, le incursioni del sassofono di Joel Frahm, nel latin mood di Panamathan, e della tromba Dominique Farinacci in Swing Street.
Contrariamente al titolo del lavoro, la sola You must believe in spring si può annoverare senza discussioni nel numero degli standard, mentre Oblivion e Bluesette fanno ormai parte del repertorio comune ai jazzisti. Beier propone sette composizioni nelle quali espone, in pratica, le tante possibilità del suo stile, sia alla fisarmonica che all’accordina, la melodica a bottoni.
Il fisarmonicista attraversa le tante stagioni del jazz, ma si rivolge con naturale predisposizione alla sintesi tra jazz e musiche di altra provenienza, come il tango, la bossa nova, il mondo europeo con Bluesette. Si sente l’influsso dei grandi maestri del jazz francese, Petrucciani e Galliano su tutti, e il loro puntare e riuscire a trovare soluzioni in grado di mettere d’accordo personalità, tradizione del jazz e influenze del proprio background.
Beier interpreta nel quartetto il ruolo del solista, lasciando quasi del tutto la gestione armonica al pianoforte di Ted Firth. Questo permette una maggiore fluidità al suono della ritmica, evitando le sovrapposizioni con la fisarmonica, e un dialogo più libero con le voci degli ospiti. In particolare, si segnala la grande intesa di Beier e Romero Lubambo nei tre brani presenti nel disco, che arriva fino al dialogo serrato in duo che chiude Bluesette. Firth, Gil e Silliman sono un appoggio costante e sempre efficace alle evoluzioni dei solisti: non sono chiamati spesso alla ribalta dell’assolo, ma si fanno trovare pronti quando necessario.
L’utilizzo di linguaggi diversi, pur restando ben all’interno del mondo del jazz di oggi, rende vario il disco: Beier amplia in questo modo il discorso già avviato in Swinging in solo, realizzato nel 2006, dove si confrontava con standard del jazz, canzoni della tradizione francese e alcuni dei brani più celebri del repertorio di Django. I confini del jazz sono certamente più labili oggi che nel 1959: Beier si pone tra coloro aperti, per necessità e virtù, alle sintesi sempre possibili tra i vari linguaggi.