Daniele Tittarelli – No hay banda

Daniele Tittarelli - No hay banda

Wide Sound – WD173 – 2008




Daniele Tittarelli: sax alto

Pietro Lussu: piano

Vincenzo Florio: contrabbasso

Marco Valeri: batteria






L’autorevolezza della Wide nel contesto della musica italiana, esprime altrettanti autorevoli talenti di una fluente corrente (pseudo) mainstream, in cui prevalgono capacità compositive, di sintesi del linguaggio jazzistico e di espressione coloristica dei valori afroamericani.


L’impressione che si ha, ad esempio ascoltando No hay banda del sassofonista Daniele Tittarelli, è quella di un maturo ensemble trainato dalla veemenza del contraltista romano, sicuramente uno dei più interessanti sulla scena nazionale, forte della presenza di Pietro Lussu, pianista elegante e incisivo, Vincenzo Florio, bassista preciso di profonda cultura strumentale e dell’eclettico batterista Marco Valeri. Non per altro Tittarelli è cresciuto alla corte di Roberto Gatto e ha compiuto esperienze oltreoceaniche, dove ha assorbito il lessico, e perché no, anche l’etica più spirituale del jazz. Si direbbe addirittura smanioso di comunicare all’ascoltatore la serietà del proprio discorso che illustra e sdrammatizza con l’intelligente ironia descritta da Daniele Luttazzi nelle note del Cd e disegnata in copertina con la copulazione delle formiche. I titoli sono un vero spasso, da Policlinico a Sioux, da Uriki umas a Freak. D’accordo che i titoli fondamentalmente sono un optional, come del resto ha insegnato Monk che li delegava quasi tutti ad altri. Tuttavia il meditativo Policlinico merita molta attenzione e, anche se il paragone non piacerà ai quattro, richiama il miglior Coltrane (ma occhieggiate anche all’ultimo Charles Lloyd). Nessuno mi fucilerà per questa dichiarazione di cui sono convinto, perché prima di condannarmi avrà (spero) avuto l’accortezza e il senso di giustizia di ascoltare il Cd. Intendo dire che qui non siamo solo alle prese con studenti di primo pelo che assimilano un determinato linguaggio, per poi riproporlo pedestremente semplificato o fumosamente arricchito di artificiosi fronzoli. Il quartetto di Daniele Tittarelli è davvero notevole, intelligente quanto basta per proporre spezzettature ritmiche, melodie mai banali e talvolta ipnotiche, composizioni di ottima fattura (tutte originali), fraseggi accattivanti sapientemente bluesy, caldamente melodici, sufficientemente swing, se vogliamo furbescamente virtuosi. Mai banali. Merito della cannabis (come si intuisce dalle note) o delle singole capacità dei musicisti?


Nulla di dissacrante in questo No hay banda, come temevo alla lettura delle goliardiche note di copertina, ma ottima e curata musica, composta ed eseguita ad altissimi livelli. E questo, al giorno d’oggi, non è poco. Mi associo al buon Luttazzi: “Attenti al groove!”