Le attività collaterali di MiFaJazz

Foto: Pino Oliva Adecom









Le attività collaterali del MiFaJazz Big Band Festival.


L’esperienza del MiFaJazz Big Band Festival, tenutosi a Matera all’inizio di settembre, ha proposto diverse attività collaterali oltre al programma dei concerti, rivolte anche e soprattutto ad interessare e incuriosire il pubblico. Ne abbiamo parlato con due degli organizzatori, Dino Plasmati e Sara Sarcuni.



Dino Plasmati. Ho sempre pensato che il jazz deve essere intorno alle persone: bisogna impregnarsi quotidianamente di pillole di jazz. Possiamo ascoltare i dischi, sentire alla radio i nostri miti, guardare DVD di memorabili concerti… questo per chi già ha un minimo di conoscenza per lo meno della parola JAZZ. Per chi non avesse neanche ciò, esiste la curiosità. Questa scatta accostando certe persone ad altre ignare. E’ successo con i bambini del Jazz for Kids: pochi bambini conoscevano qualche canzone famosa del jazz, gli altri per curiosità e per emulazione hanno incominciato a farsi prendere dalla curiosità di conoscere. I mezzi sono stati quelli semplici dell’ascolto, della manipolazione di percussioni, del disegno, tutte tecniche che preludono la comunicazione. Alla stessa maniera il Jazz Today: parlare alla gente, in maniera semplice, invitandoli all’ascolto di brani conosciuti e, contemporaneamente, al dibattito; lo stesso è successo con i video e con le mostre fotografiche.



Jazz Convention. Spesso il problema che si pone è: andare verso il pubblico a scapito della qualità: come avete affrontato questo ragionamento? e, inoltre, pubblico e qualità sono due concetti così distanti?


DP. Questo è un problema annoso, non solo per il jazz, ma anche per le altre arti. Io non sono molto propenso a svendere la mia musica per un pubblico che spesso è disinteressato e cerca solo il momento ludico della musica. Propinare un concerto di free jazz o di musica d’avanguardia in un pub frequentato da adolescenti, non giova né ai musicisti, né al pubblico, che continuerà ad ignorare come pessima musica il jazz. Ma se in quello stesso pub suoniamo qualcosa che abbia un sapore più funkeggiante, sempre jazz ma con assoli non troppo out, credo che il discorso cambierebbe. Credo, in definitiva, che il jazz abbia bisogno di spazi adeguati, lavorando un po’ per volta con il pubblico che non sempre sa quello che vuole. In un contesto del genere, credo che la Big Band, come formazione regina del jazz, possa impressionare un pubblico anche meno giovane.



JC. In effetti i concerti delle big band hanno messo in evidenza che il pubblico quando può entrare in contatto con qualcosa di “divertente” e accattivante si ferma e si interessa. E, a maggior ragione, il lavoro con i bambini fatto attraverso Jazz for Kids. Pensate che il messaggio sia stato compreso? Immagino che continuerete a lavorare su questa stessa linea: quali sono le idee già in campo e come verranno messe in atto in futuro?


DP. Il messaggio è andato a buon fine, ricevo, ancora oggi a un mese dal festival, messaggi di complimenti: anche le persone che si sono fermate in piazza per caso si sono divertite ad ascoltare musica solare e di grande impatto. Stiamo ricevendo tantissime mail di auguri e complimenti che ci spingono a fare sempre meglio. Stiamo già stendendo il programma per l’edizione del prossimo anno. Andremo a potenziare alcuni aspetti come il Jazz Today e il Jazz for Kids; ci saranno delle novità, ma in linea di massima MiFaJazz Big Band si muoverà sulle medesime direttrici di quest’anno. Sicuramente porteremo il festival anche in altri luoghi di Matera, ci sono moltissimi posti suggestivi nei Sassi, con l’ottica di andare incontro alla gente, scegliendo posti dove la gente passa maggiormente, come è stato fatto per i concerti, ma anche posti che hanno bisogno di essere valorizzati per la loro bellezza e la loro storia. In ogni caso siamo rispettosi del nostro territorio che ha risorse incredibili.



Sara Sarcuni. Jazz for Kids è stato un mini laboratorio per bambini per avvicinarli alla musica ed introdurli al Jazz. L’idea è nata dalla convinzione che, per sviluppare un interesse verso qualcosa, vadano stimolate la curiosità e la voglia di conoscere più da vicino ciò a cui ci si sta approcciando. Le nuove tecnologie hanno modificato profondamente il nostro modo di conoscere ed apprendere. Tutto è più veloce e gli usuali metodi didattici reggono male il confronto con i nuovi media. Non si può pretendere che le nuove generazioni, e soprattutto i bambini, possano sviluppare un interesse verso una materia se viene spiegata in un linguaggio lontano dalla loro realtà o dal modo in cui sono abituate ad assorbire gli input del mondo esterno. E’ da questo divario, creatosi per di più troppo velocemente, che nasce una scarsa propensione alla lettura, ad esempio, o, comunque, a tutte quelle attività che implicano una attenzione prolungata ed una concentrazione maggiore.



JC. Come è stato concepito, prima, e messo in pratica, poi, il laboratorio per i bambini?


SS. Il laboratorio è stato diviso in due appuntamenti pomeridiani, senza fissare alcun limite di età, in modo da permettere l’accesso davvero a tutti. Infatti, si è formato un gruppo eterogeneo che spaziava da qualche cucciolo di 4 anni a bambini di 10 e 11 anni. Dopo aver indagato sul rapporto di ognuno con la musica e su cosa suscitasse, si è passati ad una presentazione multimediale degli strumenti musicali. Grazie a piccoli assaggi musicali di standard, abbiamo introdotto, quasi come una favola, la storia delle origini del Jazz: la cultura nera, le tradizionali work songs, il quartiere di Harlem. Per spiegare ai bambini la tecnica del call and response, tipica del jazz, non c’è stato modo migliore di coinvolgerli fattivamente in un gioco: Marco Lorusso, trombettista della LJP Big Band, ha suonato diversi ritmi che i bambini, di volta in volta, erano chiamati ad imitare con la voce o con tutto il corpo. In tal modo, hanno preso coscienza del loro istinto al ritmo, che è connaturato in noi tutti. Gli occhi ridenti dei bambini sono stati il segno tangibile della gioia di questa scoperta che, seppur indotta, è stata solo frutto delle loro capacità e del loro impegno. Il secondo incontro è stato tutto orientato alla manualità con la costruzione di piccoli strumentini a percussione. È stato lasciato ampio spazio alla creatività di ognuno, con l’unica indicazione che i materiali da usare fossero elementi da riciclare. Da tubi, carta straccia, tappi di bottiglia, riso, scatole di cartone e latta, spago e fili colorati di lana sono nate piccole e grandi creazioni artistiche davvero speciali.



JC. Qual è il bilancio finale di Jazz for Kids e, se vogliamo, quali sono state le cose che avete imparato voi stessi dai bambini?


SS. Per noi di MiFaJazz non c’è modo migliore di imparare che fare esperienza in prima persona. Probabilmente, tra i bambini presenti, pochi avranno la perseveranza di continuare il loro cammino alla scoperta della musica e del suo universo, però, possiamo dirci assolutamente soddisfatti del riscontro positivo di presenze e dai commenti. Il solo fatto che un bimbo di quattro anni oggi abbia un’idea, seppur vaga, di cosa sia il Jazz o che un ragazzino conservi la curiosità di fare esperienza, non solo virtuale, e di conoscere meglio la musica è per noi già un grande traguardo ed un’ottima speranza per il futuro. Il Jazz, genere non autoctono, viene spesso concepito come musica d’élite: in realtà, è esattamente il contrario, in altri termini, si potrebbe definire la musica popolare degli Stati Uniti. È stato proprio per scardinare questo pregiudizio che abbiamo pensato di avvicinare grandi e piccoli alla vera anima del jazz portando la musica in piazza tra la gente o spiegandola ai bambini.