Foto: Alberto Ferrero
Tullio De Piscopo @ Gru Village
Grugliasco, Gru Village. 8.7.2009
Tullio De Piscopo: batteria
Gianluca Tagliazucchi: pianoforte
Luciano Milanese: contrabbasso
Claudio Capurro: sassofoni, flauto
Stefano Calcagno: trombone
Patrizia Conte: voce
Gru Village a Grugliasco: la parte buona di un luogo di passaggio. Borse della spesa, caldo, traffico e ogni sera un tema diversificato. Mercoledì dedicati al jazz, e due serate a ingresso libero previste all’interno della rassegna.
Sono piacevoli, ma entrambe confezionate per creare un’atmosfera stile one man show, e viene da sorridere perché si tratta di due protagonisti quali Nick The Nightfly e Tullio De Piscopo – ossia due personalità destinate ad attirare un pubblico piuttosto eterogeneo e non chi del jazz si definisce “purista” – e poi il risultato è che a creare davvero il successo del concerto siano gli strumentisti che questi due grandi portano con sé. Penso alla Montecarlo Nights Orchestra, che i torinesi hanno già apprezzato qualche anno fa al Torino International Jazz Festival e in un altro paio di occasioni. Grandi nomi, assoluto interplay, ironia e senso del teatro. Una meraviglia.
Ma la sorpresa resta il quartetto che accompagna Tullio De Piscopo. All’ingresso, tra energumeni, madamine infiorate e un bellissimo gruppo foneticamente campano che avrei abbracciato coralmente per la simpatia e l’energia che sapevano comunicare, il sound check era ancora nel pieno e già qualcuno si guardava stupefatto. “Che serata sarà”, dicevano, e già in quel costrutto abitava un’idea di bossa che poi nel corso del concerto sarebbe diventato un topos, tra le dita di Gianluca Tagliazucchi al piano – elegantissimo per estetica musicale e non – e di Luciano Milanese – gigantesco talento e splendida attitudine vitale – nonché grazie ai fiati con il mai abbastanza valorizzato Claudio Capurro al sax e Stefano Calcagno al trombone. Vibrante e delicato. Armonico.
Sono tutti in platea per Tullio, ma nel dipanarsi delle note ognuno di loro si rende conto che c’è dell’altro. Che serata sarà. Continui cambi di ritmica e accelerazioni; di strumenti, anche, e così compare un flauto. E di stili differenti: Tullio dopo un incipit affidato al pianoforte e al fraseggio particolare e sciolto del sax devia la musica verso quel pubblico tanto identificabile e il terzo pezzo diventa così tutto un “guagliò” in salsa blues, e tutti ci stanno, apprezzano e si divertono. I musicisti fanno proprio quel vezzo e regalano un brivido d’emozione.
Poi De Piscopo di mille frammenti diventa improvvisamente un perfetto divulgatore. Cita Max Roach, e i suoi primi approcci con il mondo del jazz. Suona citazioni e se la cava egregiamente; gigioneggia parecchio ma se c’è da suonare suona. E’ l’espressione del suo viso che fa la differenza: lui partecipa davvero, dà l’idea di uno che crede veramente in quello che fa. Crea una sorta di “conversazione” tra i suoi fantasmi ispiratori e il tempo presente che lo vede su quel palco… Quando si riprende dal momento di trance, va a prendersi sul ciglio del palcoscenico tutto l’applauso adorante del pubblico. Come per ricaricarsi.
Naturalmente il suo percorso vero al jazz è rappresentato da alcuni standard scelti con cura, tra cui spicca l’incantevole Gertrude’s Bounce nella versione di Clifford Brown e Max Roach. Tutti suonano magnificamente, in una tonalità aperta e quasi sorridente. Bel clima. Tagliazucchi anticipa, ritarda, gioca con fraseggi e passaggi. Tullio con le spazzole è incontenibile, velocissimo, lucido. Percussioni improvvisate, tipo una lattina di Cola con riso all’interno, oppure uno strumento dal suono soave e arcano, chiamato Hang Drum, che a noi piace pensare antico ed etnico (anche se non è proprio così): un recipiente metallico che ricorda l’iconografia anni Cinquanta di un U.F.O. , e che a seconda di dove lo percuoti produce la nota, e così puoi creare un tema. Con questo strumento racconta Tullio di essersi recato alla Clinica Mediterranea di Mergellina, dove era ricoverata sua madre, per suonare suoni a quella donna coi capelli “‘mbriacati’e neve”…
E’ la volta di Patrizia Conte, donna di volitive corde vocali e grande cuore. Straordinaria la versione di They Can’t Take That Away From Me da George e Ira Gershwin. Poi Tullio continua, ed è Mendacity – scritta da Max Roach per la sua Abbey Lincoln – e poi Bud Powell, e un assolo da urlo che fa gridare a un signore partenopeo in platea “Tu non sei vero, tu sei bionico!”
Si riserva un finale “pop”. Nel senso di “popolare”, ma l’Andamento Lento di turno in questo contesto e con questi musicisti non può passare inosservato, e così arriva Capurro con uso di free e insieme agli altri “sporca” tutto e lo connota. I musicisti sono prevedibilmente poco compresi nel ruolo di Pop Band, ma anche di jazzisti in realtà, e in questo modo creano brani di costruzione complessa, veloce e intensa, dove tutti sanno esprimersi al meglio in modo corale e sono strepitosi proprio per la spontaneità che comunicano.
Insieme a Patrizia Conte “O Sarracino” diventa imprescindibile. Alla fine tutto il pubblico è a ridosso del palco, una festa di strapaese di grande classe. Troppo smisurato per essere anche affabile, dietro le quinte il Nostro rivela asperità nascoste. Meglio così. Lui non è bionico, è solo grandioso.