Guido Michelone – Breve storia della musica jazz

Foto: Copertina del libro






Guido Michelone – Breve storia della musica jazz

Zedde editore, 2009.



Guido Michelone, giornalista e docente di Civiltà Musicale Afroamericana presso l’Università Cattolica di Milano, è responsabile di una produzione saggistica imponente per varietà e numero di pubblicazioni; tra queste oltre a fortunate monografie dedicate ai Simpson e ai Beatles, spiccano diversi studi dedicati al jazz.


L’ultima fatica riassume le sue riflessioni intorno al pianeta jazz elaborate nel corso di svariati anni d’attività; qui esposte in forma di guida pratica. Un vero e proprio manualaccio, o jazz-baedeker secondo la definizione fornita dallo stesso Michelone.
Il manuale sul jazz fino a non molti anni fa ha rappresentato una formula editoriale di successo mentre oggi invece pare un genere semi estinto, fagocitato dagli studi specialistici e dalla sempreverde biografia, mentre chi cerca informazioni generiche non passa in libreria ma si connette a Wikipedia…


Un manuale dunque, con le caratteristiche proprie di quel tipo di taglio: agilità, velocità di consultazione, chiarezza espositiva, serietà didattica.
Una delizia per il neo appassionato che non sente il bisogno di avvicinarsi alla musica con opere magari filologicamente complete che al tempo stesso si presentano come rodomonti di almeno cinquecento pagine, atte a scoraggiare i meno tenaci.


In effetti non si capisce il motivo per cui un fan di recente acquisizione dovrebbe immediatamente immergersi in un tomo degno di Pico della Mirandola!


Il pregio di questo volume è all’opposto quello di fornire i punti di riferimento indispensabili, i nomi principali, gli stili, le indicazioni storiche e sociali necessarie all’ascolto consapevole, senza dilungarsi oltre misura.


Con questo non si vuole dire che il libro di Michelone sia godibile solamente dai non esperti; anzi vi sono pagine rivolte espressamente anche agli addetti ai lavori.


Nelle parti terza e quarta Michelone si pone alcune domande stimolanti. Eccone una particolarmente azzeccata: quando e su quali basi si può parlare di jazz post-moderno (o dopo storico, come viene anche definito)?


La risposta si articola in vari punti, tra i quali i seguenti mi sembrano particolarmente significativi:


Alla luce di tutte queste esperienze è possibile individuare, per il jazz postmoderno degli ultimi venti-trent’anni, alcune grandi linee di riferimento strutturale che si connettono a una vastissima produzione musical-discografica (…). Lo spettacolo che, nelle recenti vicende jazzistiche, riguarda dunque il segno multiforme, eclettico, versatilissimo della musica afro, pan, extra americana, si manifesta quindi in almeno cinque distinti indirizzi postmoderni, inerenti non tanto a separate realtà musicali, quanto piuttosto ad attività espressive spesso intercambiabili. Il vintage jazz, il jazzstyle, l’expanded jazz, il global-jazz, il local-jazz…



Una delle chiavi classiche per l’interpretazione del post moderno è certamente nella proliferazione dei significati, ben rappresentati nello specifico dalle sigle che Michelone elelnca e poi pazientemente descrive. Sicuramente è il concetto evolutivo del jazz ad essere entrato in crisi, quello schema per cui ad uno stile ne succede un altro e che dagli anni Ottanta si è incagliato in una Babele nominalistica. Sono finite le grandi narrazioni, potremmo commentare con il filosofo postmodernista Lyotard; mentre Michelone tenta comunque di razionalizzare i frammenti di questa perduta unità del jazz.


Se la strada non è chiara non per questo il domani è già segnato:


Anche nel jazz futuro resteranno fondanti l’arrangiamento, il groove, l’interplay, l’assolo, nel quale il musicista si sposa con il proprio strumento, parafrasando il brano sonoro in maniera del tutto originale e coerente, tutte le volte in modi ineffabili e non replicabili. Anche domani la voce dello strumento – normale, elettrificato, primitivo, oppure in completa solitudine o assieme a combo e orchestre o in sezione ritmica o con gli organici più strampalati – continuerà probabilmente ad assumere un’importanza rilevantissima…



Ma allora cosa dobbiamo augurarci?


Che la previsione-speranza avanzata da Michelone nelle ultime pagine del saggio si riveli fondata e ci regali qualche anno ancora di una musica fresca, coinvolgente e (magari più di oggi) votata all’innovazione.