Diario Berlinese. Intervista a Massimiliano Coclite

Foto: Fabio Ciminiera










Diario Berlinese. Intervista a Massimiliano Coclite.


Massimiliano Coclite – pianista e cantante, componente insieme a Alessia Martegiani e Bruno Marcozzi dei Trem Azul – ha deciso di trascorrere un periodo da artista residente a Berlino. Lo abbiamo incontrato al ritorno dalla capitale tedesca e abbiamo tracciato con lui il bilancio di questa esperienza.



Jazz Convention: Partirei dall’antefatto… come mai hai scelto di andare in una capitale straniera e come mai hai scelto Berlino?


Massimiliano Coclite: Ho scelto di andare a Berlino perché, a mio avviso, è la New York d’Europa e con questo voglio dire che è una grande città, aperta, tollerante, libera, piena di arte a tutti i livelli, dappertutto… con il vantaggio di essere in Europa. Se fossi andato a Roma o a Milano, sarei stato un italiano in mezzo agli italiani: lì invece ero nuovo e ho colpito nel segno, mi sono fatto conoscere e ho fatto delle buone performance. Inoltre a Berlino conosco Andrea Marcelli e Giacomo Aula, due grandi musicisti che vivono li da tempo, conoscono l’ambiente e mi hanno aiutato molto.



JC: Perché Berlino e non Parigi o un’altra capitale?…


MC: Perché Parigi mi sembra più elitaria come capitale e poi i francesi non so… con i nord europei ho più affinità, li conosco meglio. Certo Parigi è splendida e suonarci rappresenta qualcosa di importante, ma forse non mi sentivo pronto per Parigi. In ogni caso, l’istinto mi diceva Berlino…



JC: Detto questo, quale è stato il panorama jazzistico che hai trovato?


MC: C’è molto fermento, almeno nei locali importanti: il livello medio è alto, anche se, va detto, il livello dei musicisti italiani bravi tiene tranquillamente il loro passo. Ho sentito molto free ma anche molto jazz standard: dipende da chi suona e dove. Ho sentito un paio di pianisti bravissimi… diciamo che, in generale, se sai suonare, c’è più spazio ad alti livelli rispetto all’Italia.



JC: Quindi una scena estremamente varia…


MC: Assolutamente! Trovi davvero di tutto a tutti i livelli: sono avanti anche nella composizione degli organici, da noi formazioni con organici e musica particolari sono più rare.



JC: Facciamo un esempio: quando uno va a vedere jazz a Berlino, come si muove?


MC: C’è un giornale, dedicato al jazz, con piantina, nomi dei locali, indirizzi, fermate metro e bus per arrivare: vedi la programmazione e vai a sentire chi ti piace o semplicemente scegli qualcosa che sembra interessante. Ci sono davvero tante proposte da avere l’imbarazzo della scelta. E poi c’è il giro delle jam: dal lunedi alla domenica, ne trovi una a sera più o meno, ogni volta in un locale diverso.



JC: Come funzionano lì le jam?


MC: A volte c’è il trio che fa l’opening – un set – e poi nella seconda parte della serata suona chi vuole, di norma due o tre pezzi e scendi. Io, ad esempio, ho suonato all’opening del B-Flat in trio: un set completo, il locale strapieno anche di giornalisti e operatori vari. In realtà durante le jam c’è un pò più di confusione rispetto ad un concerto, specie al B-Flat che è molto grande ed è molto frequentato non solo da studenti, musicisti e operatori del settore ma anche da appassionati. All’A-Trane la jam si svolge nella stessa atmosfera di un concerto, ma questo dipende anch dal fatto che è più raccolto. Comunque non è che in Germania ti accolgano tutti a braccia aperte: Berlino è anche fredda e competitiva, insomma alla fine tutto il mondo è paese, anche se c’è più meritocrazia.



JC: Volendo consigliare chi arriva a Berlino, quali sono i locali più rinomati?


MC: Quasimodo, A-Trane, B-Flat, Schlot sono i più importanti. Il Quasimodo fa quasi esclusivamente grandi nomi internazionali, con tanto di biglietto ed è quindi quello più esclusivo: è il club più antico di Berlino ed è stato inventato ed è tuttora gestito da un italiano. L’A-Trane ha in Sedal il boss e direttore artistico: fa personalmente il booking il venerdì dalle 15 alle 17. Ci hanno suonato Marsalis, Mehldau e Joe Lovano ma anche molti gruppi giovani, sempre con dischi ed etichetta importanti alle spalle. Il sabato dopo il concerto a pagamento, dall’una c’è la jam con ingresso libero e con la formula dell’opening trio. Al B-Flat la jam è al mercoledì con il trio che fa un set: è il terzo locale per importanza, nel cartellone hanno anche loro nomi grossi, pur se con minor frequenza, ma anche cose etniche e diverse dal solito.



JC: E se uno volesse ascoltare i musicisti tedeschi?


MC: Sicuramente il B-Flat fa suonare molti tedeschi, così come lo Schlot, dove la jam si svolge di lunedi ed è frequentata da molti studenti di musica. Poi c’è anche il Maluma, ma ci sono stato solo una volta e c’era una formazione composta da due italiani, Federico Missio al sax e Michelangelo Mazzari al piano, con un inglese e un americano.



JC: Da ascoltatore cosa hai sentito?


MC: Ho sentito molti concerti: John Scofield, al Berliner Festspiele; Rudresh Mahanthappa, un sassofonista indiano, con una clamorosa ritmica newyorchese, Rich Brown al basso, Damion Reid alla batteria e David Gilmore alla chitarra; Till Bronnen, un trombettista tedesco; la Berlin Big Band; il nostro Devil Quartet, con Paolo Fresu e Bebo Ferra, assolutamente bravi. Mi sono perso Robben Ford, ma suonavo in ambasciata e non ho fatto in tempo.



JC: Quanto è stato complicato trovare ingaggi


MC: La maggior parte degli ingaggi mi è stata trovata da quelli che mi hanno invitato a suonare. All’A-Trane io ho fatto solo le jam. In generale, non mi è costato grande fatica: li sono molto disponibili e aperti, ma, ovviamente, anche attenti alle qualità e al percorso artistico. In generale, a Berlino è tutto più semplice più dinamico: poi è chiaro che, magari, dopo un pò, si entra in confidenza, cosa che in Italia succede un pò più di rado, soprattutto per quanto riguarda i grandi club.



JC: Tu sei stato lì “ospite” di Andrea Marcelli e Giacomo Aula… Cosa ti hanno raccontato del loro inserimento?


MC: Beh, loro hanno avuto due approcci diversi. Berlino è una città che da molto, ma è anche molto dura. Bisogna stare sempre in pista: è un ambiente musicale molto fertile e, se uno vuole, si suona anche spesso. Ma, come puoi immaginare, questo è molto soggettivo Andrea sta lì stabilmente da dieci anni, Giacomo fa avanti e dietro praticamente dallo stesso periodo: ormai sono entrambi molto conosciuti e stimati… il B-Flat è, ormai, “casa loro”.



JC: All’interno della tua permanenza in Germania, hai avuto anche un tour in India… Che esperienza è stata e con quale formazione vi siete mossi?


MC: E’ stata un’esperienza bellissima. Siamo andati in trio con Lorenzo Petrocca, un chitarrista italiano che vive a Stoccarda da trentacinque anni, Andrea Marcelli alla batteria e io. Batteria, chitarra, piano e voce e, in molti pezzi, suonavo il basso con un synth: abbiamo portato un repertorio italiano rivisitato in chiave jazz, da autori di origine italiana, conosciuti a livello internazionale, come Henry Mancini o Frank Paparelli l’autore di A night in Tunisia, per passare a Lucio Battisti, Luigi Tenco, Umberto Bindi o Gino Paoli e a nostri brani originali, tre di andrea e uno mio.



JC: In che festival avete suonato?


MC: Abbiamo suonato all’Utsav Jazz Festival, a Kolkata, Mumbay e New Delhi. Avremmo dovuto suonare anche a Pune ma c’era un problema per i trasferimenti. Abbiamo suonato davanti a 1500 persone, prima del quartetto di Wayne Krantz con Anthony Jackson al basso e io suonavo un basso sintetizzato e cantavo: da morire dalla paura… Comunque è andata bene: Andrea è stato colpito da All That Wonder e, poi, nell’estate del 2009 abbiamo suonato tre date e abbiamo capito di essere affini.



JC: Ovviamente l’idea di base era di fare un’esperienza che possa diventare un punto di partenza: qual è il bilancio del viaggio?


MC: Assolutamente positivo. Sono stato cento giorni a Berlino: l’idea era quella di conquistare la fiducia di musicisti e direttori artistici, allargare così il mio raggio di azione. Sinceramente all’inizio pensavo che sarei andato a vivere a Berlino dove, col tempo, potrei avere possibilità che qui in Italia non avrò mai. Però poi mi sono reso conto che la soluzione migliore è quella di avere comunque la base qui in Italia per poi poter essere presente li ogni volta che serve.



JC: Come vedi la tua esperienza musicale passata e futura dopo il passaggio tedesco?


MC: Come la vedo? Più difficile perché c’è più consapevolezza dei miei limiti artistici e manageriali. Però le potenzialità ci sono tutte e, quindi, se mi impegno non posso che migliorare. Speriamo che, prima o poi, con tutti i progetti che sono in piedi qualcosa si muova. Nel frattempo io continuo: Berlino mi ha già portato in India, mi porterà anche altrove.