Alberto Varaldo e Luigi Martinale – Radio Waves

Alberto Varaldo e Luigi Martinale - Radio Waves

Music Center – BA 212 – 2008




Alberto Varaldo: armonica cromatica

Luigi Martinale: pianoforte






Le onde radio evocate nel titolo di questo album erano quelle che permettevano, quando ancora non c’erano tutti i mezzi di cui oggi disponiamo, di scoprire e conoscere musiche e sonorità altrimenti difficilmente raggiungibili. In realtà tutt’oggi la radio non ha perso il suo fascino, lasciando intatta la sorpresa e la fantasia dell’ascoltatore e l’imprevedibilità della sua play list che un disco non può vantare. A queste emozioni, che ancora soltanto un ascolto radiofonico riesce a regalare, il duo Martinale & Varaldo ha voluto dedicare questo lavoro registrato nel 2008 e licenziato dalla Music Center, in un connubio che subito rimanda all’Affinity di Bill Evans e Toots Thielemans.


Alberto Varaldo e Luigi Martinale sono entrambi nati pianisti, ma il primo per via di una tendinite ha iniziato a spostare le sue attenzioni sull’armonica cromatica, non abbandonandola nemmeno una volta tornato pienamente abile per il piano, ma diventando anzi – come dice Mark Balwion Harris, il suo ex maestro all’interno del cd – un maestro formidabile della cromatica ed un ottimo improvvisatore.


Il viaggio musicale dei due inizia dal Brasile, con un omaggio a Jobim con una bella rivisitazione di Luisa che non può non rimandare all’incontro felice tra la musica carioca e l’armonica di Toots Thielemans. Il suono melanconico dell’armonica di Varaldo ben si completa con i tasti eleganti ed il tocco delicato di Martinale, bravo sia nell’accompagnamento che nei vari momenti in cui inevitabilmente si viene a trovare in perfetta solitudine nelle improvvisazioni. Il continuo dialogo ovviamente rimane il punto centrale del disco, e i due non faticano a tessere momenti di interesse, in un repertorio che vede ben otto su undici brani originali scritti da entrambi, oltre una bella These Foolish Things e la classicissima Over The Rainbow a chiusura di un album che si mantiene piacevole nonostante l’armonica cromatica non sia di per sé uno strumento tipicamente jazzistico e, abbinata al solo piano, non scongiura del tutto il rischio di risultare alla lunga un po’ monocorde.