Pat Metheny Orchestrion @ Roma

Foto: Jimmy Katz






Pat Metheny Orchestrion Tour @ Roma.

Roma, Auditorium Parco della Musica – 17.3.2010


Pat Metheny: chitarra, orchestrion


Lo scorso 17 marzo ha fatto tappa all’Auditorium Parco della Musica di Roma l’Orchestrion Tour di Pat Metheny, l’ultimo ardito quanto folle progetto messo in piedi dal chitarrista del Missouri, definito dallo stesso la realizzazione del sogno di una vita. L’idea in effetti parte da lontano, quando ancora adolescente veniva rapito dalla magia del piano player custodito a casa del nonno materno, anch’egli musicista. Di quel primo incontro con armonie e melodie riprodotte meccanicamente il chitarrista non se ne dimenticò mai, stuzzicato dall’idea di avere un giorno un intera orchestra meccanica a sua disposizione. A questa trovata Metheny ha iniziato a pensarci seriamente un giorno di quattro anni fa in compagnia del suo liutaio di fiducia, e grazie all’aiuto di alcuni ingegneri, sfruttando soleinoidi e principi della pneumatica, quello che poteva sembrare una fantasticheria ha invece iniziato a prendere forma. Ed eccolo adesso finalmente trasformato in un uomo solo al comando di un intera orchestra fatta di strumenti musicali acustici ed elettrici maccanicamente controllati da una serie di cavi e pistoni collegati alla sua chitarra. Dapprima ne ricavò un disco, Orchestrion, per poi portare l’intera giostra in tour in giro per il mondo.


L’attesa e la curiosità in effetti di vedere il reale funzionamento era molta, facendo registrare il tutto esaurito già parecchi giorni prima di quello che si preannunciava come uno degli eventi della stagione. L’inizio del concerto Metheny se lo riserva tutto per sé, deliziando gli spettatori con la sua chitarra classica in perfetta solitudine, in quel che rimarrà probabilmente il momento meno atteso ma sicuramente più riuscito. Calati i tendoni dietro di sé da un autentico muro fatto di una quantità di strumenti come tastiere e pianoforti, marimba, vibrafono, percussioni, campane e batteria, il buon chitarrista ha messo in moto il suo progetto in tutta la sua fierezza, destando un vero stupore tra il pubblico. In realtà lo spettacolo è davvero strabiliante, reso ancor più suggestivo dai colori e dalle luci che aiutano via via a seguire gli strumenti messi in funzione da bracci meccanici, in un movimento perpetuo e continuo con Metheny al centro della scena a sembrare quasi un “inventore pazzo” davanti la sua creazione. L’originalità vera consiste proprio nel suono acustico riprodotto dai vari strumenti, soprattutto quelli ritmici, con una varietà infinita di combinazioni, ma la sensazione che si ha è che il chitarrista badi più a sincronizzare gli strumenti, cosa comunque già di per sé per niente facile, che al suo fraseggio, che comunque rimane l’unico elemento in cui il fattore umano è determinante. E così si trova il più delle volte a dover rincorrere lui la melodia che si viene a creare in infiniti assoli spesso sovrastati dal suono dell’intera baraonda. Maggior interesse suscita invece quando gli strumenti si mettono automaticamente in moto a seconda della pennata e dell’intensità, in quel che rimarrà forse l’unico momento di improvvisazione pura, in cui non a caso viene anche reso omaggio ad un innovatore vero come Ornette Coleman. La serata si porta così stancamente avanti per circa tre ore in cui Metheny cambia una buona quantità di chitarre e propone tutti i suoi classici in questa nuova veste robotizzata.


Nel presentare al pubblico questa sua immensa macchina, si dice veramente soddisfatto di poter finalmente suonare realmente ciò che ha in testa, in quanto perfettamente a conoscenza della direzione seguita da ogni strumento. A guardarla bene però, ciò che viene a mancare è proprio quella estemporaneità, elemento fondante del jazz, e tutto finisce per apparire già preconfezionato. Per fortuna la sensibilità umana, soprattutto nell’arte, ha ancora la meglio sulla macchina dimostrandosi non così facilmente sostituibile e, ciò che rimane, è sicuramente uno show improntato più sullo spettacolo che sulla sperimentazione, in quella che sarà ricordata più come una provocazione che una vera rivoluzione musicale.