Marcello Lorrai, William Parker. Conversazioni sul jazz

Foto: Copertina del libro









Marcello Lorrai, William Parker: Conversazioni sul jazz

Con un inserto fotografico di Luciano Rossetti

Editore: Auditorium



Come si comunica il jazz contemporaneo più creativo e meno legato alle mode? Come lo si spiega? Una volta era il free jazz, la new thing, oggi perse le etichette battagliere, un manipolo di musicisti tiene viva la fiamma della creatività radicale nell’ambito di un mainstream jazzistico spesso povero di idee. Lontano dalle classifiche, dai negozi di dischi, dal giro dei festival importanti, dai locali, la musica creativa vive di briciole, di occasioni illuminate, verrebbe da dire che vive d’aria e di miracoli. Come si racconta dunque un linguaggio come quello del contrabbassista, leader, compositore William Parker ce lo mostra il giornalista e critico musicale Marcello Lorrai. Con la pazienza di seguire l’evoluzione umana e artistica di un uomo. Di capire le sue passioni, le sue ragioni. Un giovane di New York che il papà amante di Duke Ellington mette sulle piste del jazz e che quasi per caso incontra la musica di Coltrane, di Coleman. Compra un disco di Cecil Taylor per errore, confondendolo con il bluesman Creed Taylor. E questo è il destino visto che proprio con questo pianista condividerà il palco per più di un decennio. Parker, dopo gli inizi difficili nel ghetto urbano di New York, inizia la sua attività nell’avanguardia ancora fiorente della metropoli atlantica, nei primi anni Settanta, mischia in seguito le carte con la scuola di Chicago e con i solisti europei. Oltre a Cecil Taylor nel 1974, incontra negli anni, Don Cherry, Bill Dixon, Wayne Horvitz, Derek Bailey… Per ognuno di questi importanti nomi offre una illuminante visione, una chiave di lettura originale. Del sassofonista tedesco Peter Brötzmann dice:


E’ come se stesse suonando l’intera storia del sassofono in una volta sola, tutti i sassofonisti insieme! E’ cresciuto durante la seconda guerra mondiale, così c’è una parte di lui che continua a fare i conti con le faccende della Germania, col senso di colpa, con la responsabilità, l’olocausto e la guerra.


… è tutto sul suono, un suono che si muove con impeto, come grandi colpi di pennello che tagliano l’aria, un suono come colore e grosse forme. Un suono che è energia, ma non un’energia spirituale, come Albert Ayler che parlava di spiriti: Brötzmann non parla di spiriti, parla solo del suono, di quello che per lui è il suono della libertà, del volare lontano dalle convenzioni, dalle brutture del mondo.


Di Roscoe Mitchell si legge:


L’idea di lasciare spazio è la maggiore innovazione della musica di Roscoe: nel bebop non c’era spazio, il bebop lo riempiva completamente… invece nella musica di Roscoe c’è senso dello spazio persino quando Roscoe colma il suono.


Protagonista della scena contemporanea, catalizzatore di progetti diversissimi tra loro, uniti nel segno della sperimentazione continua, pur tra mille difficoltà economiche (puntualmente denunciate nel libro) forse il segno distintivo di William Parker va cercato nella sua profonda spiritualità interiore; una caratteristica che avvicina le sue idee sulla musica a quelle del sassofonista Albert Ayler, il cui nome non a caso compare spesso nelle risposte fornite alle precise domande di Lorrai.


Dopo aver parlato con passione e pertinenza dei colleghi e dei modelli del passato rivolge a se stesso il medesimo acume interpretativo:


Mi pare di essere un buon navigatore, in particolare nei mari della musica improvvisata in cui non si usano né temi preordinati né niente…


Se è vero che l’idea base della musica creativa riposa nel poter scegliere liberamente il proprio ruolo, di vivere la libertà nell’individualità, quello preferito da William Parker lo rende simile a un novello Ulisse: navigatore coraggioso e astuto per i mari infidi e insieme sicuramente mosso -come il suo antico precursore greco – dalla molla umanissima e meravigliosa della curiosità.