Abeat Records – AB JZ 075 – 2010
Andrea Dulbecco: vibrafono, marimba
Stephane Belmondo: tromba, flicorno
Thomas Bramerie: contrabbasso
Dedé Ceccarelli: batteria
Andrea Dulbecco ha realizzato – in quartetto, con tre musicisti francesi – Canzoni. Un repertori composto di canzoni, appunto, dove si uniscono in un omaggio all’Italia e alla Francia attraverso una forma musicale che accomuna i due paesi. Insieme al vibrafonista milanese, suonano Stephane Belmondo, Thomas Bramerie e Dedé Ceccarelli: la scelta del repertorio porta tra le tracce del disco Estate e Les feuilles mortes, ma anche La canzone di Marinella, Fiore di Maggio e brani di Charles Aznavour. “Più che un lavoro di jazzificazione, i miei strumenti, soprattutto la marimba che uso in alcuni brani del disco, portano un sound diverso dal solito ai brani. Non mi sono troppo preoccupato di ricondurre le tracce dentro schemi jazzistici, se non cambiando qua e la qualche armonia. Naturalmente l’approccio jazzistico viene fuori più chiaramente durante le improvvisazioni. Nei brani di Aznavour non ho dovuto cambiare quasi nulla in quanto, come facevano già molti cantanti della sua epoca, è spesso già abbastanza chiara una matrice jazzistica.”
Il rapporto tra canzoni e standard è uno degli spunti più evidenti del lavoro del vibrafonista. Estate e Les feuilles mortes sono nate come canzoni e sono ormai nel repertorio dei jazzisti di tutto il mono, con centinaia di esecuzioni e differenti arrangiamenti nel corso dei decenni. “In Estate, prosegue Dulbecco, ho aggiunto una breve intro alla marimba che accompagna la tromba suonando gli accordi del tema variati come se fosse un corale. Mi piace ogni tanto inserire nella forma canzone dei momenti musicali che si rifanno alla tradizione colta. Per quanto riguarda Les feuilles mortes invece, essendo un brano celeberrimo, volevo cambiare il più possibile senza alterarne la linea melodica perciò ho riarmonizzato completamente il tema e dilatato la struttura.” Il gioco sulle canzoni porta a ragionare su quali potranno gli standard del futuro e su quelle che devono o possono essere le chiavi per portare altre canzoni a seguire lo stesso percorso. “Avevo inciso in trio un brano di Pino Daniele che mi piace molto ma non ero convinto della resa finale perciò l’ho scartato. Forse non sempre ciò che è concepito per una voce e per un testo può funzionare bene suonato da uno strumento, soprattutto da uno strumento come il vibrafono che, secondo me, ha dei limiti espressivi rispetto agli strumenti a fiato o ad arco. Ormai da molti anni i musicisti di jazz suonano abitualmente le composizioni prese da diversi generi musicali. Non so se molte di queste composizioni potranno diventare degli standards in quanto, per essere tali, dovrebbero entrare nel repertorio abituale di migliaia di musicisti di jazz in tutto il mondo. Forse più spesso capita che un musicista ha una passione per un certo brano estraneo al repertorio jazz, e solo lui o pochi altri trovano qualcosa di particolare in quel pezzo e amano eseguirlo.”
Come si diceva in apertura il trio guidato da Dulbecco vede al suo interno tre jazzisti francesi. “Ho scelto Thomas, Stephane e Andrè innanzi tutto perché sono dei bravissimi musicisti, fra i migliori in Francia e con cui ho avuto la fortuna di collaborare durante il mio soggiorno a Parigi. I brani sono principalmente francesi perché, da italiano, forse volevo fare un omaggio al paese che mi ha ospitato.” Con Belmondo, Bramerie e Ceccarelli si è disegnata anche l’atmosfera – particolare e delicata – del quartetto, in linea con il suono del vibrafono. “In effetti il suono del vibrafono spesso influenza in questo senso i gruppi dove appare: porta un colore cameristico e i musicisti che collaborano con me nel disco hanno avuto la sensibilità e l’intelligenza per coglierne questo aspetto.”
Il vibrafono non è molto utilizzato nel jazz. La conversazione con Dulbecco di chiude proprio riflettendo sulle peculiarità e sulle sonorità dello strumento. “Non siamo in tanti, ma non è un particolare vantaggio, come potrebbe sembrare. Non solo in Italia, ma in tutta la storia del jazz, i band leader che hanno deciso di inserire nei loro gruppi un vibrafonista si contano sulle dita di una mano forse perché è uno strumento che, come dicevo prima, da un taglio timbrico particolare al gruppo. Molti preferiscono sonorità più convenzionali – come il pianoforte o, in alcuni casi, la chitarra. Infatti, anche i grandi vibrafonisti, per fare carriera hanno dovuto creare praticamente da subito dei loro gruppi. In genere il mio strumento piace ai contrabbassisti per ragioni di estensione e di registro. In conclusione, il vantaggio è quello di non avere molta concorrenza e lo svantaggio è nel fatto che sono in pochi a chiamarci.”