Slideshow. Dario Cecchini

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Dario Cecchini.


Jazz Convention: Una Banda Così è un gran bel disco swingante e funkeggiante: come siete arrivati a questo risultato?


Dario Cecchini: Innanzi tutto grazie. Penso che dipenda dai 12 anni di lavoro insieme. Dalle prove settimanali, dal fatto che avere fatto altri tre dischi insieme ci ha dato affiatamento anche in studio oltre che nel live dove abbiamo fatto quasi 600 concerti. Probabilmente dipende anche dal fatto che stiamo cercando di proseguire il percorso che è iniziato 12 anni fa ma che è sempre in evoluzione e questo ci stimola guardare avanti e a cercare di fare sempre meglio.



JC: Per me è anche un disco fuori dal comune per quanto riguarda il jazz italiano: c’è molto funky, cioè un approccio che nei nostri jazzisti è quasi assente. Condividi questa analisi?


DC: Sì. Sono pochi i musicisti da noi che legano jazz e funk seguendo la propria indole senza preoccuparsi più di tanto. Mi viene in mente fra questi Gegè Telesforo. Però c’è anche da dire che magari molti musicisti non sono realmente attratti dal funk o comunque dal groove… è anche un fatto di gusti. I miei pezzi per i Funk Off hanno sì ritmiche funk o comunque raramente swing, però è limitante catalogare la musica solo in base all’andamento ritmico che ne rappresenta soltanto una componente. Nei brani dei Funk Off le strutture molto spesso sono piuttosto movimentate, a volte ci sono strutture tipiche del jazz, cambi di tempo, successioni armoniche troppo “ricche” per il funk, spazi per l’improvvisazione che sono open.



JC: Come sono nati i Funk Off?


DC: La mia idea era quella di fare un gruppo che non avesse preclusioni di stile e che suonasse veramente con il cuore. Al contempo volevo che il gruppo si muovesse durante l’esecuzione dei brani, le due cose avrebbero dovuto essere portate avanti in maniera parallela. All’inizio suonavamo anche 3 brani non miei, uno dei Brand New Heavies, uno di Fred Wesley e uno di Bob Marley, ma già all’epoca vedevo il progetto basato su mie composizioni.



JC: E chi è – musicalmente parlando – Dario Cecchini?


DC: Sono un musicista che non ha un percorso canonico. Vengo da una famiglia di appassionati di musica jazz. Ho iniziato suonando la batteria, a 14 anni ho iniziato anche a suonare il saxofono nella banda di Vicchio, il mio paese. Di sicuro non sapevo nemmeno io quale dei 2 strumenti mi piacesse di più. Comunque la musica era un divertimento, non pensavo che avrei fatto il musicista. Dopo il liceo mi iscrissi all’università ma già suonavo in vari gruppi. Capii in quel periodo che volevo che la musica facesse parte della mia vita non solo come hobby. Feci quindi il militare e poi mi iscrissi al conservatorio, dove ho conseguito il diploma in saxofono. Ma al di là del conservatorio ho sempre studiato e amato il jazz. Mi piacevano anche il soul, il funk più o meno tutta la black music, ma venendo appunto da una famiglia di appassionati di jazz, non riuscivo ad accettare il fatto che queste musiche, diciamo così meno “intellettuali” e da ballo, mi piacessero! Soltanto dopo ho capito che anche quella era musica, buona, sincera, vera.



JC: Dal liceo a oggi con chi hai lavorato principalmente?


DC: Nella mia carriera ho suonato in un sacco di gruppi jazz e di tante altre musiche tipo salsa, funk, pop, Rythm and Blues. Ho suonato in orchestra classica e ho avuto la fortuna di fare tanta Big Band, da quella della Rai per 5 anni, a quella di Natalie Cole, alla Grande Orchestra Nazionale dei Musicisti di Jazz diretta da Bruno Tommaso. Ho fatto parte di formazioni guidate da grandi musicisti come Kenny Wheeler, Lee Konitz, Maurizio Giammarco nel progetto Megatones. Faccio parte dell’Europa Xpress di Eumir Deodato ed ho inciso una ventina di dischi dei quali sette come leader. Ho fatto tour e dischi con musicisti pop (Eros Ramazzotti, Jovanotti, Biagio Antonacci e altri). Ognuna di queste esperienze è utile per scrivere, suonare, avere feeling ed essere musicalmente duttile.



JC: Mi racconti il primo ricordo che hai della musica?


DC: Casa mia, mio padre che suona il piano ed io e mia sorella che cantiamo Bella Belinda, una canzone di Gianni Morandi degli anni 60. Poi subito dopo la batteria, sempre con mio padre al piano, e sui dischi di Gerry Mulligan. Ho anche un vago ricordo di una sorta di batteria fatta di pentole sul pavimento dell’appartamento in cui vivevamo con la mia famiglia. Battevo sulle pentole e cantavo non ricordo cosa!



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista?


DC: L’amore per la musica. Ho sempre visto la musica come una forma d’arte. Mi piaceva il ritmo, il colore dell’armonia e i timbri dei vari strumenti. E poi mi piaceva suonare! Mi piaceva, e mi piace tutt’ora, studiare lo strumento, l’arrangiamento, la composizione. Ma non sapevo che avrei anche scritto della musica mia… anzi, mi sono avvicinato alla scrittura relativamente tardi, intorno ai 30 anni.



JC: Chi sono i tuoi maestri nel jazz?


DC: Venendo da una famiglia di appassionati di jazz ho ascoltato sempre un po’ tutta la tradizione. Diciamo che l’ascolto di mio padre e mio zio si fermava all’hard bop, per cui sono cresciuto con Louis Armstrong, le big band degli anni Quaranta e Cinquanta, per poi passare a Dizzy e Bird, Clifford Brown, Sonny Rollins, Dexter Gordon, J.J.Johnson. Ho trascritto assoli di un sacco di musicisti soprattutto del periodo Bop e Hard Bop e ovviamente tanti baritonisti: Nick Brignola, Gary Smulyan, Gerry Mulligan, Ronnie Cuber, ma il mio preferito è Pepper Adams. Dal punto di vista strumentale è senz’altro lui il musicista che più mi ha influenzato, o almeno diciamo dal quale spero di essere maggiormente influenzato!!



JC: Oltre Adams?


DC: Un altro dei musicisti che seguo con tantissima attenzione e ammirazione è Wayne Shorter, la sua musica non finisce mai di evolversi e di cambiare direzioni e stili. Ma mi piacciono anche molti altri contemporanei: Dave Douglas, Dave Holland, Chris Potter. Solo per segnalarne alcuni.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


DC: Beh… non lo so… veramente… o meglio ci sono diversi momenti più belli se così si può dire… Di sicuro certi concerti particolarmente belli con i Funk Off, oppure i 4 anni di collaborazione con Maurizio Giammarco, o quando Kenny Wheeler mi ha chiamato per la seconda volta a suonare in un suo gruppo. Oppure quando con i Funk Off abbiamo festeggiato i dieci anni insieme… Comunque non c’è un momento più bello, c’è solo il gusto di andare avanti per questo mio percorso musicale e di crescere anche umanamente all’interno di esso. Certo, anche se non è proprio legato alla musica, c’è un momento che ricordo con piacere, quando ad Umbria Jazz un musicista di New Orleans mi ha fatto i complimenti per i Funk Off. Io gli risposto che i suoi complimenti per me valevano doppio perché lui veniva dalla città in cui ci sono le radici del jazz e lui mi ha risposto: “Yes, we are the roots, but you are the branches!”



JC: Tra i dischi che hai registrato, quale ami di più?


DC: Ah ah… io ho due figli… mi chiederesti quale amo di più? A parte gli scherzi, me lo chiede realmente tanta gente, ma per quanto riguarda i dischi a mio nome, non lo so. I dischi per me devono fermare il momento musicale a cui appartengono e quindi ogni momento ha delle caratteristiche diverse dall’altro. Avere un disco preferito vorrebbe dire amare di più le caratteristiche di un periodo e di conseguenza durare fatica a distaccarsene per cercare altri percorsi. Personalmente non ho preferenze nei dischi a mio nome che ho fatto. Ognuno mi sembra che esprima più o meno la musicalità che vivevo al momento in cui l’ho registrato. Nei dischi che ho fatto con altri musicisti quello che preferisco è Punkromatic con Megatones di Maurizio Giammarco.



JC: Come definiresti il jazz?


DC: Jazz è la possibilità di creare, di variare, modificare, sviluppare la musica in tempo reale. Per me jazz significa anche musica di ricerca, proiettata nel futuro e disponibile a contaminarsi con tutto il clima artistico e culturale e a contaminarlo a sua volta. Non dimentichiamo tutti i processi evolutivi di questa musica, che senz’altro non si può pensare si sia fermata ad un periodo storico. Purtroppo a volte c’è una certa tendenza a categorizzarla e ad ingabbiarla, a renderla una musica cattedratica e di maniera. Direi che fa Jazz un musicista che, con un certo tipo di background e preparazione alle spalle, si approccia alla musica con atteggiamento creativo ed esplorativo.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica?


DC: La musica è un linguaggio che può esprimere ogni tipo di sentimento, quindi associo varie sensazioni a seconda del brano… Come ogni linguaggio dobbiamo avere gli strumenti e il lessico per capirla. Oggi, con gli stereotipi culturali e musicali che ci circondano, e con la scarsa valorizzazione del bello, del creativo, dell’originale, tali strumenti vanno ricercati e sviluppati in maniera personale.



JC: Come vedi, in generale, il presente della musica jazz in Italia?


DC: In Italia ci sono veramente dei fantastici musicisti ed una scena jazzistica molto attiva e variegata. Ci sono anche molti festivals, grandi e piccoli, che denotano come anche da noi sia radicato questo genere musicale. Penso quindi che sarebbe auspicabile che nelle programmazioni ci fosse maggiore attenzione alle nuove generazioni, ai nuovi talenti e soprattutto ai progetti di gruppi che cercano un loro sound e un loro percorso. Anche lo stesso pubblico dovrebbe essere più disponibile ed incuriosito ad ascoltare progetti nuovi.



JC: Quali sono i tuoi progetti musicali per il futuro?


DC: La My Favorite, l’etichetta con la quale è uscito Una Banda Così, ha in programma di fare uscire entro l’anno il Cd del mio quintetto Jazzasonic costituito da me, Fabio Morgera, Michele Papadia, Paolo Ghetti e Walter Paoli. Ciò mi fa molto piacere perché in questo disco ci sono 10 mie composizioni originali per quintetto, che è una delle formazioni più “classiche” del jazz. Inoltre con i Funk Off ho già scritto molta musica per il prossimo CD. I musicisti dei Funk Off sono per me la prima verifica, a loro i pezzi piacciono e per me questo vuol dire che il viaggio continua e che stiamo viaggiando nella stessa direzione.