Foto: Stefano Costantino
Reggio Calabria Top Jazz Festival.
Reggio Calabria, Teatro Cilea – 18/22.5.2010
Anche quest’anno “il grande circo” del jazz italiano ha montato le tende al teatro Cilea di Reggio Calabria per la terza edizione del Top Jazz Festival. La rassegna, ideata dall’Associazione Culturale Jonica (direttore artistico Paolo Damiani), ospitava in cartellone il meglio del jazz espresso dal nostro paese a seguito dei risultati del referendum indetto annualmente dalla rivista specializzata Musica Jazz.
Quello di “Tinissima” – il bel progetto di Francesco Bearzatti con Giovanni Falzone, Danilo Gallo e Zeno De Rossi – è stato tra i più applauditi e apprezzati dal pubblico reggino. Alla sua novantunesima performance – coadiuvata dalle foto di Tina Modotti proiettate sullo schermo da Antonio Vanni – Bearzatti e i suoi compagni di viaggio hanno offerto grande e vivacissima musica, altissimi livelli d’improvvisazione ed una sequenza inarrestabile di invenzioni tra le più variegate con momenti che idealmente rimandavano alla proficua esperienza messicana della Modotti negli anni Trenta.
Altro momento “multimediale” del festival è stata la proiezione di Metropolis, film muto di Fritz Lang datato 1927. Qui l’emozionate colonna sonora inventata da Rita Marcotulli e Danilo Rea ha offerto toccanti quadri a scandire le scene dei vari episodi del film (alcuni di essi inediti e aggiunti al nuovo recente restauro). Musica eterea, sognate ma anche drammatica ed emblematica commentava le varie scene della pellicola, resa ancor più affascinante dal “racconto” dei due pianisti splendidamente coordinati per intenti e felici esiti.
Diversamente, la “nuova generazione” del jazz italiano è stata ampliamente rappresentata dalla presenza di talenti oramai consolidati nel panorama internazionale. Innanzitutto con Giovanni Guidi & The Unknown Rebel Band, giovanissima formazione composta da Fulvio Sigurtà e Mirco Rubegni (tromba), Daniele Tittarelli (sax alto), Dan Kinzelman (sax tenore), David Brutti (sax baritono), Mauro Ottolini (trombone), Joe Rehmer (contrabbasso), João Lobo (batteria). Il pianista umbro ha rappresentato sul palco i temi del notevole omonimo lavoro discografico pubblicato nel 2009 dalla CAM. La contagiosa freschezza delle composizioni, il tumultuoso interplay inscenato dall’intero nonetto, la dissacrazione liberatoria delle belle partiture eseguite nel corso dell’applauditissimo live act, hanno contribuito ad abbellire il già interessante e sorprendente programma.
Ottima anche l’esibizione tutta d’un fiato di Tubolibre, l’energica band guidata da Gianluca Petrella completata da Mauro Ottolini (sousaphone), Gabrio Baldacci (chitarra), Cristiano Calcagnile (batteria). Energia pura, momenti hendrixiani e ardite esplorazioni hanno caratterizzato la performance di Petrella, sempre energico e in gran spolvero, generoso leader per gli inserimenti dell’ironico Ottolini, del lisergico Baldacci e della magnifica tensione ritmica esposta da Calcagnile.
Altra sorpresa della manifestazione è stata la presenza di uno strumentista formidabile ovvero Gavino Murgia. Sassofonista soprano dalle straordinarie doti timbriche, velocissimo nell’esecuzione, ottimo compositore dalle belle aperture folkloriche, Murgia (accompagnato da abili “senatori” del calibro di Pietro Iodice, Luciano Biondini, Michel Godard e Frank Tortiller), ha indagato sui molteplici e affascinanti suoni provenienti dalla sua terra d’origine – la Sardegna – offrendo una frizzante musica ricca di quelle amabili ritualità spesso propense alla “danza” e all’arcaico rito modale.
In cartellone l’altro giovane talento italiano che ha riscosso consensi unanimi sia di critica che di pubblico è stato il trombettista beneventano Luca Aquino (con lui Giovanni Francesca, Marco Bardoscia e Gianluca Brugnano). Offrendo un modello evocativo variabile, tra modernità e jazz elettrico anni Settanta, Aquino ha improntato la sua esibizione lungo un vocabolario armonico affascinante ed emblematico dove emergeva non certo un soffocante virtuosismo ma elaborata tensione: austera nella bella punteggiatura dalle timbriche diluite e rarefatte. Il concerto si è chiuso con una guest d’eccezione, quella Maria Pia De Vito la quale tra colta improvvisazione e inusuali effetti elettronici, ha sapientemente offerto un piccolo saggio di raffinatezza e innovazione, tra le poche nel panorama odierno.
Che dire poi del concerto di Paolo Fresu e Bojan Z. (dove la Z sta per Zulfikarpašic).
Un suono vellutato in continua trasformazione ha caratterizzato l’intero programma proposto dai due (i quali collaborano per altro dal lontano 2001). Un proficuo sodalizio decretato per lo più dalle complesse composizioni del poderoso pianista serbo, ora cantabili di temi balcanici, ora diversificati di melodie pensose ed elaborate; territori questi nei quali Fresu da grande musicista quale egli è, rielaborava con calibrate dissonanze, con sogni da arginare, con tessiture pensose spesso policrome, talvolta solari e splendidamente incandescenti.
Hard-Bop propulsivo con un crescendo sempre più energico e motivato si è ascoltato invece nel corso del concerto di apertura di questa Terza Edizione con il quartetto capitanato da Rosario Giuliani. Quartetto All Stars con la presenza dell’impareggiabile Roberto Gatto, di Paolino Dalla Porta (il contrabbassista che fa la differenza) e di Dado Moroni (pianista meritevole di ben altra nomea considerato l’immenso valore stilistico e di contenuti a lui ascrivibili). In programma standard per lo più contenuti all’interno del nuovo disco di Giuliani (“Lennies Pennies” pubblicato dalla Dreyfus Jazz). Estro e dolcezza, impeto e grande padronanza strumentale è il riconoscibilissimo biglietto da vista del quarantatreenne sassofonista di Terracina che ha arginato con grande qualità e vena creativa l’assenza di Enrico Rava, previsto nel programma ma assente per un grave ma già risolto incidente domestico.
Gli “outsider” della rassegna (quelli che col referendum del jazz italiano nulla hanno a che vedere), quest’anno hanno visto la presenza del quartetto di Dhaffer Youssef. Il cantante e suonatore di oud tunisino ha proposto i consueti modelli che contraddistinguono la sua estetica: magie suggestive di sonorità arabiche, gemme di visioni desertiche dove vi è saggezza, colore, miscellanea di voci e cadenze. Ma il punto più esaltante, struggente, realmente “da brivido” è stato quando Maria João – splendida cantante portoghese – sigillando la manifestazione, ha intonato le dolcissime note di Beatriz. La canzone scritta nel 1982 da Edu Lobo e Chico Buarque de Hollanda ha sancito il culmine di un’esibizione dalla sconfinata bellezza. Vera mattatrice tra danze tribali e imperdibili “gestualità fonetiche” la João, affiancata dal compagno di sempre il pianista Mario Laginha, ha varcato confini svincolati da regole e implicazioni portando a termine un concerto costituito da musiche provenienti da variegati mondi espressivi. Ottima la band e fra tutti da segnalare con notevole padronanza strumentale, il giovanissimo sassofonista Desidério Lázaro.