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Slideshow. Paolo Baltaro.
Jazz Convention: Ci racconti il primo ricordo che hai della musica?
Paolo Baltaro: Scavando nella memoria la prima cosa che forse mi colpì fu la bellezza del giro di Do (in particolare in prossimità del Re minore) eseguito per mano della mia prima insegnante di chitarra (suor Elisa) quando frequentavo gli ultimi anni di asilo ma forse prima ancora l’ascolto di alcuni dischi che mia madre metteva per farmi addormentare come Only Sixteen di Sam Cooke, Innocenti Evasioni di Lucio Battisti o Take Five di Dave Brubeck.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista?
PB: Volevo farmi un sacco di soldi e comprarmi una compagnia aerea. Una volta volevo anche la Emi stessa con tanto di Abbey Road Studios ma coi tempi che corrono pare che forse sia meglio lasciarla dov’è… Fatto sta che non ho mai deciso di diventare musicista, ma ho sempre saputo cosa non avrei voluto diventare.
JC: Ci riassumi in breve la tua carriera artistica?
PB: Ho pubblicato alcuni dischi rock e jazz che in ordine cronologico sono nel rock Normality Of Perversion (Arcansiel, 1994), Che Fine Ha Fatto Baby Love (Roulette Cinese, 2003), Swimming In The Sand (Arcansiel, 2004), Maltempo (Sorella Maldestra, 2009) e sempre nel 2009 Low Fare Flight To The Earth (mio disco solista) e nel jazz Holzvege (Società Anonima Decostruzionismi Organici, 2007), Do Not Disturb (Mhmm, 2008), Imprescindibile Momento di Cultura Italiana (Società Anonima Decostruzionismi Organici, 2009) e Weather Underground (S.A.D.O., 2010). Queste sono le cose più significative, oltre a diverse collaborazioni sia creative che professionali.
JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua attività di musicista?
PB: Direi senza dubbio ieri. pomeriggio, al termine del missaggio un po’ sofferto di un brano del nuovo disco dei SADO. Domani però la risposta potrebbe cambiare.
JC: Chi sono i tuoi maestri nel mondo dell’arte, della musica, della cultura?
PB: Più che maestri ho avuto veri e propri amori sviscerati. Inizialmente si trattava solo di musica. Cito primi fra tutti i Beatles (e ovviamente George Martin). La lista, fosse completa, potrebbe durare molto a lungo ma sintetizzo: Peter Tchaikovsky, John Coltrane, i Pink Floyd, Frank Zappa, i Doors, i Sigur Ros, i Sex Pistols, i King Crimson, gli Oliver Onions… Vincent Van Gogh invece fu il primo a farmi scoprire che non esiste solo la musica. Poi Alan Parker, Leni Riefenstahl e J.T Leroy (per me rispettivamente l’Immagine, l’imponenza del rigore e la dolcezza). Walt Whitman. Shakespeare, Oscar Wilde e Patrick McGoohan. Wittgenstein, Derrida e Schopenhauer. E, perché no, Goffredo Mameli, ottimo per imparare come non si dovrebbe mai scrivere un inno nazionale, nel caso un giorno mi trovassi nella necessità…
JC: Tra i dischi che hai registrato e prodotto, quale ami di più?
PB: Quello che sto ultimando questi giorni con i SADO che uscirà a breve. E’ un concept ispirato alla vicenda dei Weather Underground, con un noto scrittore vercellese e la collaborazione di Franz Krauspenhaar. Mi ritengo fortunato a sentire sempre l’ultima cosa fatta come la mia preferita, è stato così da quando ho cominciato, spero che duri.
JC: Come definiresti la tua musica?
PB: E’ per me semplicemente qualcosa che amo, che mi rappresenta e che vorrei condividere con persone in grado di capirla e di capirmi (me stesso in primis). Un mezzo di comunicazione necessario.
JC: Quali idee, concetti o sentimenti associ a un suono?
PB: Penso di avere meccanismi istintivi, il mio approccio al suono è per scelta non tecnico. Riservo l’analisi a momenti ben delimitati. Quando ascolto cerco di lasciare che la chimica endocrina vada per proprio conto. Quando il suono però diviene brano, nasce in me l’esigenza di sapere tutto riguardo a chi lo ha generato. E’ un elemento fondamentale per potermene innamorare veramente. I suoni da soli mi dicono ben poco se sganciati dall’umanità di chi li produce. La musica per me è sempre un mezzo, mai un fine. Nulla da dimostrare, non amo il circo, amo opere di persone che si raccontano con la musica, un pò meno i record sportivi dei musicisti (anche se mi rendo conto della loro importanza per l’evoluzione del linguaggio).
JC: Cosa stai facendo ora a livello musicale?
PB: In generale divido come sempre il tempo fra il lavoro in studio di registrazione per conto terzi (come fonico o produttore) e le attività con i miei gruppi e con i miei progetti personali. In particolare, come ho già detto, sto per pubblicare con i S.A.D.O. il nuovo disco e ne sto per iniziare uno nuovo di tutt’altro genere a Londra di cui però al momento non vorrei anticipare nulla.