Ben Ratliff. Come si ascolta il jazz

Foto: Copertina del libro









Ben Ratliff: Come si ascolta il jazz

Editore: Minimum Fax



Non è facile uscire dai cliché con i quali si è quasi sempre scritto di jazz. Difficilissimo poi farlo tramite la modalità intervista, intralciati da regole formali e scopi contingenti (rapida ed efficace promozione dell’ultimo cd) che non consentono agilità di manovra. Ben Ratliff, critico del New York Times e autore di numerosi libri, tra i quali uno studio dedicato a John Coltrane, ci prova raccogliendo una serie di interviste ai protagonisti del jazz di oggi (con qualche illustre repêchage dal passato, come per le figure immense e sopravissute al tempo di Sonny Rollins o Hank Jones). Questi incontri sono diversi da una semplice intervista e qui risiede l’interesse di questo lavoro poiché sono basati sul presupposto di non parlare autoreferenzialmente della propria musica, ma commentare invece, dopo un ascolto in presa diretta, brani e opere di altri autori. In questo modo Ratliff ottiene lo scopo di snidare i musicisti, anche quelli più refrattari, come l’armolodico Ornette Coleman, ad uscire dal proprio fortino estetico. Effettivamente i più, slegati dagli obblighi e dalle convenzioni commerciali e opportunistiche dovute al parlare dei propri lavori, si producono in osservazioni interessanti. Ci mostrano, come scrive Ratliff, quale è il modo col quale ascoltano la musica che a loro piace. Cosa vi cercano, cosa li emoziona. L’originale idea è venuta a Ratliff intervistando Frank Lowe, un leone reduce dell’avanguardia dei Sessanta che due decenni più tardi era alla prese con una riconversione su un stile sassofonistico mainstream.


Ratliff ricorda che dopo l’intervista i due si misero ad ascoltare musica e Lowe propose alcuni ascolti. Ecco le conclusioni cui giunge Ratliff: se l’intervista si fosse conclusa appena prima di metterci a sentire la musica ne sarebbe risultato un articolo diverso. (…) Lowe sapeva come si ascolta la musica. Osservandolo reagire in tempo reale alla (Abbey) Lincoln, a Henderson, a Marsalis, a certi fraseggi, a certe armonie arrivai a capirlo meglio di quanto non fossi riuscito in tutta la giornata.


Si tratta di un gioco di società: in cui il musicista libero di scegliere la musica che preferisce si sbizzarrisce ed entusiasma. Ovviamente le scelte spaziano in tutti i generi musicali, dal rock, al pop, a tantissima classica. Ma quando fa capolino il jazz allora il discorso si fa davvero pregnante. Escono letture nuove di brani celebri, giudizi di musicisti su altri musicisti. Il pianista Andrew Hill ricorda una affermazione di Charlie Parker che ha poi modellato la propria carriera: io considero la melodia come se fosse ritmo, gli riferì Bird dopo un concerto. Provate ad ascoltare la musica di Hill sulla base di questa semplice considerazione: l’effetto è assicurato! Un precedente al gioco di Ratliff si trova sicuramente nel blindfold test (test a occhi bendati) che Leonard Feather proponeva in una rubrica fissa per la rivista Downbeat. Ma in questo caso non ci si scostava mai dal jazz, ed essendo decisi dal giornalista gli ascolti che poi dovevano essere indovinati dall’intervistato, l’attenzione andava più sulla componente ludica del quiz che sulla quella musicale. Ultima considerazione, Ratliff sceglie con cura gli intervistati: musicisti fondamentali per la storia del jazz post bop ancora attivi come Roy Haynes, Wayne Shorter, Paul Motian a fianco dei nomi importanti di oggi, quelli che piacciano o meno stanno suonando il jazz del presente, come Pat Metheny, Joshua Redman, Brandford Marsalis, Dianne Reeves.