Franco D’Andrea Piano Solo

Foto: Andrea Buccella









Franco D’Andrea Piano Solo

Chieti in Jazz 2010. Chieti, 25.9.2010


Ogni concerto in piano solo di Franco D’Andrea andrebbe considerato un piccolo evento musicale e l’esibizione tenutasi sabato scorso all’Auditorium Cianfarani di Chieti non lo è stata da meno. Questo innanzitutto perché il lavoro che il pianista meranese conduce da anni sul suo strumento è di qualità riconosciuta ormai a livello mondiale ma anche perché, a scorrere la sua discografia, ci si accorge che la dimensione solitaria del piano solo è, oltre ad essere tra i contesti esecutivi preferiti dal musicista, quella a cui ha dedicato gran parte del suo tempo, portandolo a quell’approccio così personale nella reinterpretazione della musica afroamericana per cui è unanimamente riconosciuto.


Da anni infatti il repertorio in piano solo di D’Andrea si basa, oltre ai suoi originali, prevalentemente su quei brani che nell’arco di tempo che và dagli anni ’20 ai ’60 hanno fatto la storia della musica jazz, filtrati da quella sua sensibilità artistica così profonda e colta.


L’approccio che D’Andrea ha sul pianoforte è di tipo artigianale; lo stesso che, con tutte le dovute differenze, avrebbe un’abile artigiano sul suo strumento da lavoro: la manualità, l’abilità, il lavoro certosino di cesellatura dei dettagli e di scarto delle parti eccedenti unite ad anni di esperienza e saggezza creativa si traducono in una musica che è il frutto di scelte musicali meditate e illuminanti.


La sua stessa presenza sul palco rivela quell’umiltà di fondo che è alla base del suo carattere e di quel suo approccio musicale così scevro di divismi. Uno scroscio di applausi seguito da un paio dei suoi timidi inchini a labbra serrate lo introducono verso quel pianoforte che sarà il suo mezzo espressivo per la restante ora e mezza. La musica attacca come se venisse da una dimensione altra della sua mente in cui fosse cominciata già qualche secondo prima che le sue dita si posassero sul pianoforte, con quell’urgenza creativa di chi è ormai una cosa sola con la sua arte.


La musica che ne risulta assomiglia a una materia in continua rielaborazione ritmico-melodica, alla ricerca di inusitate rielaborazioni armoniche su brani che non smettono da anni di vestire una nuova pelle. Alcuni palesati in maniera chiara come Round Midnight o Lover Man, altri più nascosti e affioranti solo per breve tempo a galleggiare nel magma musicale che D’Andrea riesce a produrre: Epistrophy, I Got Rhythm, Cherokee o Well, You Needn’t sono standards “naufraghi” nell’immaginario musicale del pianista che sembra procedere per assonanze armoniche e intervallari in un gioco di associazioni di idee che cortocircuitano con la capacità del pubblico nel sapere riconoscere quei temi così celebri eppure in quel momento così profondamente diversi.


Le mani di D’Andrea assecondano le sue digressioni musicali in percorsi totalmente diversi: la frammentazione ritmica dell’accompagnamento della destra spesso si allontana armonicamente dagli anticipi e dai ritardi della linea melodica della sinistra, fino a trovarsi alle estremità opposte.


Alla fine del concerto questo sapiente artigiano della musica si alza e sorride, inchinandosi nello stesso timido modo con cui aveva esordito, e tra gli applausi calorosi del pubblico, forse si è augurato umilmente che anche questa volta la clientela fosse stata soddisfatta dei suoi colpi di cesello.