Foto: Fabio Ciminiera
Jazz’n’Fall 2010
Pescara, Auditorium Flaiano – 27/29.10.2010
Pianoforte e personalità sono stati due fili conduttori dell’edizione 2010 di Jazz’n’fall, rassegna tornata a Pescara dopo un anno di pausa. Il cartellone ha presentato l’omaggio ad Oscar Peterson di Dado Moroni e il quintetto Etnodie, nella prima giornata, Idea di Cristina Zavalloni e si è concluso con l’esibizione di Barbara Dennerlein e del Vijay Iyer Trio.
Per quanto riguarda il pianoforte, il festival ha presentato al pubblico pescarese alcuni nomi tra i più interessanti del panorama internazionale: Vijay Iyer e Dado Moroni, la grande forze espressiva di Stefano De Bonis e, sempre per quanto riguarda le tastiere, le evoluzioni all’organo Hammond di Barbara Dennerlein per uno spettro quanto mai vario e significativo.
Iyer si è affermato come personaggio nella scena jazz internazionale negli ultimi anni e si è esibito a Pescara in trio, insieme a Stephan Crump e Marcus Gilmore. La formazione, già impegnata in Historicity, una delle prove discografiche più rilevanti degli scorsi anni, ha riportato nel concerto pescarese il ragionamento musicale del disco e le sue evoluzioni – intrecciate peraltro al successivo lavoro in piano solo di Iyer, con la ripresa della versione di Human Nature. La personalità del trio e la grande coesione permettono a Iyer, Crump e Gilmore di muoversi in totale libertà ed autonomia rispetto al materiale. Il suono estremamente personale del trio – combinazione particolare della gestione della tastiera, dell’utilizzo dell’archetto e del set di percussioni e bacchette – diventa lo strumento per veicolare un discorso ricercato e articolato, in cui l’attenzione alla tradizione del jazz e del piano trio si unisce allo sguardo alle avanguardie e recepisce gli stimoli provenienti da altri mondi musicali.
Il concerto di apertura del festival – vale a dire l’omaggio ad Oscar Peterson proposto da Dado Moroni in trio con il contrabbasso di Aldo Zunino e la chitarra di Giuseppe Mirabella – ha offerto una prova elegante e morbida del pianista genovese: il concerto si svolge all’insegna del dialogo, sia con l’interplay sul palco che introducendo il pubblico al mondo di Peterson attraverso il racconto e le presentazioni dei brani. La conoscenza profonda del repertorio e la capacità di Moroni di risolvere sempre con grande maestria le atmosfere e i punti focali dei brani sono conosciute: il confronto con il mondo di Peterson e con un trio leggero nei suoni e nell’occupazione degli spazi rende ancor più evidenti le qualità di Moroni e la sua capacità di raccontare con il pianoforte e di rileggere in maniera personale la letteratura degli standard.
La prima serata si è completata con l’esibizione del quintetto Etnodie, guidato da Paolo Palopoli e Sergio Forlani. La formazione guarda al punto di incontro tra jazz, musica popolare, influenze etniche e, nel concerto pescarese, ha messo in luce un percorso musicale maturo e ben articolato, completato peraltro da una buona gestione complessiva del materiale.
Se il pianoforte è uno strumento orchestrale, nell’organo Hammond si aggiungono le potenzialità della pedaliera e il fascino di un suono trattato ma ancora “naturale”. Barbara Dennerlein si è esibita in solo e ha percorso le tante anime di uno strumento dall’espressività unica: gospel, blues, funky, latin jazz e standard per una scaletta varia e aperta a suggestioni estremamente diverse. La personalità della Dennerlein diventa la chiave di coerenza a continuità del concerto: un approccio saldo da parte dell’organista, uno stile in cui confluiscono virtuosismo, gestione scenografica e capacità interpretativa.
Cristina Zavalloni e le canzoni di Charles Aznavour, ma anche ironia, conoscenza del repertorio classico, tradizioni ancestrali. Idea nella sua versione in quartetto è una formazione importante nel panorama italiano: la Zavalloni costruisce un mosaico sonoro di grande intensità e spessore nel quale trovano posto tantissimi elementi e lo spettro davvero ampio delle potenzialità espressive di quattro musicisti di grande livello, capaci soprattutto di passare da un ambiente all’altro con disinvoltura ed estrema proprietà. Basta considerare come il quartetto ha affrontato il repertorio di Aznavour: dal beat più spwensieratio alle derive più enfatiche e alle atmosfere intime dell’incontro di voce e pianoforte. In ogni direzione un impatto forte sulle interpretazioni e sul pubblico, tanto da essere richiamati fuori per un terzo bis, in aggiunta al primo e, ormai, canonico ritorno sul palcoscenico.