El Gallo Rojo Records – 314-37 – 2010
Danilo Gallo: contrabbasso
Giorgio Pacorig: pianoforte
Daniele D’Agaro: clarinetto, sax tenore
Gerhard Gschlößl: trombone
Johannes Fink: contrabbasso, violoncello
Christian Lillinger: batteria
Label dagli enunciati scanzonati e graffianti, di fatto una realtà più che concreta nell’ambito internazionale, l’italiana El Gallo Rojo continua a mettere a segno nuove tessere nel mosaico del “jazz che osa”, costruendosi una discografia via via più credibile e che ha dal suo canto artisti non di secondo piano tra cui Franco D’Andrea, Stefano Senni e il qui presente Daniele D’Agaro.
Oltre al “presidente & sommo produttore di gravità ritmiche”, il bassista Danilo Gallo Sanchez, e il pianista Giorgio Pacorig la formazione del presente We hope we understand, registrato a Berlino, riunisce una triade italica completata dal possente sassofonista friulano D’Agaro, di regolari e fertili frequentazioni nord-europee, ad una giovane controparte germanica rappresentata dal trombonista Gerhard Gschlößl e, personaggi a noi più noti e di buona rappresentazione discografica, il bassista Johannes Fink e l’enfant terrible della batteria Christian Lillinger. Le scelte strategiche dell’etichetta ma anche le personalità qui coinvolte introducono al programma di un album che, come i suoi protagonisti, svela felicità d’incontri tra l’attenzione verso il segno classico e le urgenze e idiosincrasie del cifrario free.
Energeticamente introdotto dall’insieme arioso e concitato Television world, il sestetto dà prova di versatile cambio d’assetto nella waldroniana Balladyna, qui trattata in forma d’elegia stralunata, pulviscolare e dalle tensioni rarefatte, umori e stilemi condivisi dalla brulicante invenzione collettiva Balladintro, svelando quindi un senso sincopato della progressione orchestrale nel dinoccolato Hinter der Alpen. Si sfocia nel lacerato blues di Strange Feelings (ripreso da Billy Strayhorn), in cui la sintesi classicheggiante apre ansiogene feritoie a più venefiche polveri di strada, concludendosi l’intelligente raccolta in ectoplasmica evocazione citando la lunga suite 245 di Eric Dolphy (qui “rinumerata” in 345) sovrapponendo al piano-fantasma di Pacorig, che si diverte a camuffarsi da incisone archeologica, la fitta scansione dei bassi di Fink e Gallo. Apprezzandone anche le spire serpiginose e l’emissione piena e concentrata di D’Agaro, e la percussione di Lillinger, che tesse in elasticità le sue spiazzanti architetture, siamo in presenza di un altro colpo piazzato di Gallo Rojo, alfiere sensibile e attivo del suono già liberato e tuttora in ebollizione.