NV4110 – NoVoices – 2010
Andrea Gargiulo: pianoforte
Gianfilippo Direnzo: contrabbasso
Saverio Petruzzellis: batteria
Andrea Gargiulo è un giovane pianista di origini napoletane dotato di un tocco semplice, diretto e profondo. Il suo jazz ha il calore di Napoli e la sensibilità espressiva di un musicista mediterraneo che improvvisa tenendo sempre presente la lezione afroamericana. Il suo ultimo disco, … ricomincio da Trio, è un lavoro che ha carattere, progettualità e soprattutto idee. Il jazz suonato è piacevole, moderno ma mai cervellotico. Abbiamo chiesto ad Andrea Gargiulo di parlarci di sé e del suo disco.
Jazz Convention: Andrea Gargiulo, tu nasci come pianista jazz. Come e quando ti sei avvicinato a questa musica?
Andrea Gargiulo: Ho iniziato a studiare a 11 anni pianoforte classico in conservatorio con il pianista Sergio Fiorentino, ma sono rimasto affascinato dal jazz grazie a mio cugino che aveva una passione sfegatata per Louis Armstrong. Mi regalò una cassetta con un live di Satchmo a Parigi. Sentii così in quella registrazione, per la prima volta, un pianista jazz straordinario che mi influenzerà molto, Billy Kyle. Così dissi a me stesso: “Non ho idea di cosa stia suonando…ma voglio suonarlo anch’io”.
JC: Dalla tua biografia viene fuori che sei diplomato al conservatorio e che, oltre naturalmente a suonare, insegni. Raccontaci di questa tua doppia “vita” artistica.
AG: Adoro insegnare anche se non riuscirei a vivere senza suonare. Credo che sia una necessità derivante dal bisogno di comunicare. Infatti, oltre ad insegnare in conservatorio, da luglio ho cominciato, con altri colleghi, “MusicaInGioco”, un progetto didattico sperimentale ispirato a “El Sistema” di Abreu che in Venezuela ha salvato più di 300.000 bambini delle favelas dalla miseria e dall’emarginazione. Abbiamo creato un’orchestra composta da bambini senza alcuna conoscenza musicale a gli abbiamo regalato degli strumenti musicali grazie ad alcuni sponsor generosi. Noi, invece, insegniamo gratuitamente utilizzando una didattica innovativa di tipo reticolare. E’ un’esperienza fantastica che mi riempie di energia positiva e mi dà molte soddisfazioni. I ragazzi in pochi mesi suonano già con grande comunicativa.”.
JC: Tu sei di origini napoletane. Quanto ha influito Napoli sulla tua musica e quali sono i musicisti a cui ti ispiri.
AG: Tantissimo. Napoli è nel mio cuore. Il mio bassista, Gianfilippo Direnzo, mi dice che suono ogni nota con il calore del Vesuvio. Vorrei fosse vero. Di sicuro sento il bisogno di comunicare al di fuori degli schemi formali. Infatti spesso mi sento esuberante, quasi eccessivo, di sicuro non convenzionale. Il mio pianista preferito è senz’altro Marcus Roberts, ex pianista del quintetto di Wynton Marsalis. E’ davvero personale e unico, un Monk moderno e colto ma mai lezioso e scontato.
JC: Il tuo nuovo disco s’intitola … ricomincio da Trio. Chi sono i tuoi partner e perché hai voluto fare un disco in trio?
AG: Per molto tempo ho pensato se fare un disco in trio o no. In effetti per me sarebbe stato più naturale coinvolgere un solista, magari il trombettista Mino Lacirignola, con cui ho un profondo legame musicale e umano. Però sentivo il bisogno di fermare alcune mie idee con una formula più personale e “scoperta” come quella del trio. Dopo che ne ho parlato a Gianfilippo Direnzo e Saverio Petruzzellis ci siamo subito ritrovati a provare i brani del disco senza neanche parlare del progetto. Ho chiamato Saverio perché lo considero il mio alter-ego alla batteria Lui è un gran musicista e “sente” i miei pensieri riportandoli sulla batteria con un’eleganza che io non ho. Così come Gianfilippo è il riferimento in quanto a solidità del trio. Senza di lui il tempo diverrebbe molto difficile da gestire. In sala abbiamo impiegato quattro o cinque ore per registrare il disco, decidendo al momento di sostituire alcuni brani con altri che suonavamo dal vivo.
JC: …ricomincio da Trio è composto da dieci brani. Cinque sono a tuo nome, tra i quali due sono dedicati a Zorro. Cosa rappresenta Zorro nel tuo immaginario?
AG: I due brani dedicati a Zorro sono ispirati al libro di Margaret Mazzantini, Zorro, un eremita da marciapiede. Il protagonista è un uomo qualunque che dopo aver ucciso, incolpevolmente, un bambino in un incidente, abbandona la sua “normalità” e conduce un’esistenza ai margini della società recuperando così l’essenza del proprio essere uomo. E’ un libro bellissimo. Mi ha molto colpito.
JC: Ticket to ride, perché questo omaggio ai Beatles?
AG: Negli ultimi anni ho riscoperto musicisti che non avevo apprezzato da ragazzo – forse inizio davvero ad invecchiare. Fino a qualche anno fa adoravo il rock duro, i Deep Purple e i Led Zeppelin, mentre i Beatles mi annoiavano: forse sto espiando i miei errori giovanili.
JC: E poi le cover di La canzone di Marinella, Il pescatore e Bocca di rosa. De Andrè in jazz.
AG: Vale la risposta di prima. Nella mia esuberanza giovanile consideravo il grande Faber un poeta straordinario ma non mi ero mai soffermato sulla bellezza della sua musica. Essa è diretta e meravigliosa, non ha fronzoli ed arriva dritta al cuore. Ne La canzone di Marinella siamo tutti “nudi”, strumentalmente parlando. Ho cercato di evitare che il tecnicismo potesse allontanarmi dalla bellezza melodica e comunicativa del brano, perché troppo spesso, invece di suonare ciò che vorrei, rischio di fare sfoggio di esercizi di tecnica in pubblico. Mi auguro di riuscire ad essere sempre diretto e comunicativo come in questo brano!
JC: Quando di Pino Daniele è un omaggio alla tua terra o implica qualcosa d’altro?
AG: E’ un omaggio alla mia terra e ai grandi uomini che ha visto nascere e morire. In questo caso Pino Daniele e Massimo Troisi, un vero mago della comunicativa che ci ha lasciati davvero troppo presto.
JC: Il disco, dopo il mainstream di Ubriachezza molesta e la sentita ballad di The End of Dream si chiude con Palestina, un pezzo di circa ventidue minuti. Ce lo commenti?
AG: Il brano è un improvvisazione estemporanea nata dalla mia collaborazione e amicizia con Teresa Ludovico. Il pezzo è stato registrato durante il concerto Jazz for Amnesty, tenutosi al Teatro Piccinni di Bari lo scorso gennaio e finalizzato alla raccolta fondi per Amnesty International. Io e Teresa abbiamo sperimentato questa formula durante un concerto per raccogliere fondi destinati all’asilo del campo profughi palestinese di Shatila. Mentre lei leggeva le forti parole dello scrittore Tahar Ben Jelloun, le note e i suoni del mio pianoforte giungevano spontanee urlando al mondo l’ingiustizia che il popolo palestinese vive nel totale disinteresse del mondo. Tanti bambini non hanno più un futuro e tanti non riescono neanche più a sperare di averlo…
JC: Cosa hai in cantiere per il prossimo futuro?
AG: Solo di cambiare il mondo…, almeno quello sotto casa mia. Credo molto nel potere educativo della musica e con il progetto “MusicaInGioco” di cui parlavo prima, stiamo tentando di combattere la tendenza alla spettacolarizzazione della vita ed a combattere una società educativamente narcotizzata che induce i nostri figli a rifugiarsi nei mondi virtuali dei videogame, del grande fratello o di X Factor, dove “uno su mille ce la fa”. Beh noi pensiamo agli altri 999 rimasti! Comunque, al di là delle mie idee socio/musicali, nel mio prossimo disco tenterò di far confluire tute le “facce” del mio essere musicista, e cioè, coro, orchestra jazz, sonorizzazioni di film ed esecuzioni in trio/quartetto e quintetto jazz. Mi rendo conto che è un progetto ambizioso ma credo che riuscirò a realizzarlo. Il nome c’è già: “… usate lo swing!”.