Foto: da internet
Mulatu Astatke “Mulatu Steps Ahead”
Roma, Auditorium Parco della Musica. 10.3.2011.
Tra gli appuntamenti più attesi del cartellone di marzo dell’Auditorium di Roma spiccano quelli di due musicisti spesso catalogati sotto la voce world music, più che altro per la loro provenienza geografica: Mulatu Astatke e Gilberto Gil.
Classe 1943 e una storia tutta da raccontare, il vibrafonista etiope si presenta al cospetto del numeroso pubblico presente il 17 accompagnato da un band composta di ben otto elementi. La sua formazione musicale la sviluppò in America e più precisamente tra Boston, dove fu il primo studente africano a frequentare la prestigiosa scuola Berklee, e New York, dove incise, a fine anni sessanta, anche tre dischi; dopodiché si persero le sue tracce complice il suo ritorno in patria e l’isolamento musicale conseguente. Parallelamente però diventò un vero nome di culto per gli appassionati di un genere difficilmente etichettabile, in cui si possono riconoscere elementi jazz contaminati al tempo stesso da ritmi afrocubani e funky passando per i visionari mondi di Sun Ra. Negli ultimi anni ha poi trovato giusta gloria anche tra li grande pubblico, dapprima in Europa nel 1998 grazie all’antologia Ethiopiques dell’etichetta francese Buda dedicata alla musica etiope, con un intero capitolo a lui riservato, e poi nel resto del mondo quando la sua musica fu scelta come colonna sonora del film Broken Flowers nel 2005. Con queste premesse, e con l’aggravante delle precarie condizioni fisiche che lo scorso anno l’hanno costretto ad annullare la tournée in giro per il mondo, è facile immaginare come l’attesa fosse molta e alla fine ben ripagata. Per l’occasione Mulatu, che al vibrafono alterna con disinvoltura percussioni e piano, ha scelto una formazione leggermente ridotta, soprattutto nei fiati, rispetto a quella inglese degli Heliocentrics che negli ultimi anni l’accompagna sia in studio che nelle perfomance dal vivo, attingendo dalla stessa però alcuni elementi, e un repertorio più acustico che si rifà ai suoi primi lavori. L’inizio ha subito un sapore arabeggiante con il brano Yèkèrmo Sèw caratterizzato dai fiati che riprendono lo stile melodico dei cantanti etiopi e la tromba di Bron Wallen in primo piano, sapientemente supportata dalle varie influenze che confluiscono in una musica ipnotica. I ritmi si fanno pian piano più sostenuti già dal brano successivo quando viene ripreso il tema del film Broken Flowers: Mulatu si muove con grande eleganza tessendo raffinati tappeti al vibrafono e dirigendo il tutto con sapienza e garbo; ogni dettaglio è minuziosamente calcolato ma al tempo stesso si ha la sensazione di una grande libertà di movimento lasciata ad ogni musicista. È infatti l’insieme a funzionare a meraviglia in cui comunque spiccano buone individualità, prime tra tutte quelle di John Edwards al contrabbasso che forma, insieme a Malcolm Catto alla batteria, una ritmica di valore. I brani proposti sono quelli racchiusi nelle varie compilation dedicate in questi anni al musicista etiope, prime tra tutte quelle come sempre preziose dell’inglese Strut che gli sono valse diversi conoscimenti internazionali, in cui non può dunque mancare Mulatu’s Mood, la celeberrima Yegelle Tezeta, che troviamo campionata in diversi pezzi di musica elettronica e hip-hop, e la conclusiva Mulatu proposta come bis, per circa due ore di concerto che rafforzano l’idea di essere di fronte ad una delle più importanti e originali figure africane di sempre.