Danilo Rea. Piano Solo @ Teatro F.Or.Ma.

Foto: Andrea Feliziani










Danilo Rea: Piano Solo @ Teatro F.Or.Ma.

Bari, Teatro F.Or.Ma. – 19.3.2011

Danilo Rea: pianoforte


La performance solitaria rappresenta con sufficiente chiarezza la più profonda identità di un musicista. E‘ in questo contesto che l’arte, la conoscenza e l’anima dell’artista coinvolto si rivelano in tutta la loro nuda sincerità.


Nello specifico, un piano solo è il momento in cui il musicista si ritrova a dover affrontare il proprio strumento con il solo supporto della propria immaginazione e di ottantotto suoni; una porzione di tempo in cui si rinnova il rapporto con il pianoforte, e in cui le note provenienti da ebano ed avorio dei tasti si tramutano in materia viva e pulsante, a rispecchiare il più fedelmente possibile lo spirito del musicista e il proprio passato artistico, dando nel contempo forma al suo immediato presente.


A tutto questo e molto di più si è assistito durante l’ultima esibizione solitaria di Danilo Rea. Il piccolo ma accogliente Teatro F.Or.Ma di Bari ha visto il pianista romano in ottima forma, teso nell’atto di mostrare le varie sfaccettature della propria arte.


Molto del materiale presentato veniva dall’ultima uscita discografica del pianista: un disco incentrato sulla rielaborazione musicale delle canzoni di Fabrizio De Andrè. Una operazione di per sé non semplice, tenendo conto che i brani del cantautore genovese, nati soprattutto sulla base di testi poetici ed affabulatori, sono dotati di una qualità narrativa prevalente sull’aspetto musicale.


Ma è proprio questa la sfida che deve aver stimolato il pianista romano: la possibilità di riproporre alcuni classici di De Andrè, spogliati del testo originario ma arricchiti, di contro, da nuove vesti armoniche e ritmiche, sorprendenti per l’inaspettata ed insita qualità reinterpretativa celata tra le maglie delle loro melodie.


Il pescatore o La ballata dell’amore cieco si mostrano sotto una nuova ed inusitata luce tra le mani di Rea, che rende mute le storie ed i personaggi di De Andrè, concentrandosi sulla possibilità di farli danzare sulle note delle proprie variazioni.


La musica di Faber non è però l’unica protagonista della serata. Dopo una breve pausa, il pianista riprende il suo set riservandoci preziosi frammenti di sincopato vigore nella sua versione della gershwiniana I Got Rhythm o di sghemba bellezza monkiana in Well, You Needn’t.


Una delle prerogative più spiccate del pianista romano rimane quella di ricondurre il tutto ad una dimensione di urgente cantabilità, che si palesa sul finale, quando Rea mette in gioco la sua passata esperienza di fine accompagnatore delle più belle voci della musica leggera italiana.


Il padre di tutte loro, Domenico Modugno, rivive in un medley composto da Nel Blu Dipinto di Blu e Un Uomo in Frack; Senza Fine è un tributo a Gino Paoli e Anema e Core strizza l’occhio a Mina.


A chiudere il cerchio di una esibizione cominciata con i brani di Faber, ci pensa Bocca di Rosa, in una versione a tempo sostenuto con cui il pianista ammalia definitivamente la platea, affascinandola con la stessa abilità che avrebbe esibito la protagonista del brano di De Andrè.


Una soluzione musicale organica e convincente, quella presentata da Rea, condita da ispirato lirismo italiano e pulsante swing jazzistico, che ha arricchito i cuori e le menti del pubblico presente.