Camillo Pace & Connie Valentini – Uhuru Wetu

Camillo Pace & Connie Valentini - Uhuru Wetu

Koiné Records – kne012 – 2010




Camillo Pace: contrabbasso

Connie Valentini: canto

Marco Tamburini: tromba, flicorno

Nando Di Modugno: chitarra

Roberto Ottaviano: sax soprano

Pippo Ark D’Ambrosio: batteria, percussioni

Vincenzo Deluci: slide trumpet

Nyamai Anthony Mukoko: voce

Likono Alexander Ashivaka: voce






Un progetto “musica nuda” (copyright d’obbligo) ante-litteram e, c’informano, antecedente alla più nota controparte, ha legato il contrabbassista Camillo Pace e la vocalist Connie Valentini in un repertorio in duo ove esplicare le proprie propensioni al jazz, ma non solo. Grande e antica anche la passione del bassista nei confronti del mondo del grande rasta-man: chi non avesse approfondito, dovrà tenere in conto le intime implicazioni religiose pescanti nelle più arcaiche tradizioni di cui Bob Marley si fece interprete, tenendo in grande conto il riavvicinamento con la madre Africa e la sua liberazione. E’ questa, e semplicemente, una legittimazione del grande giamaicano entro la cultura jazz che non fa di quest’operazione un semplice e velleitario “reimagining” del pop. Ulteriore elemento della personale cultura di Pace è il suo investimento in prima persona verso le infinite problematiche del Continente Nero, nei cui confronti continua ad effettuare opera civile. Civiltà ed impegno dunque, esplicitate nelle tapes incluse, che riportano le voci di grandi umanisti del secolo scorso quali Martin Luther King o Karol Wojtyla le quali, se potranno far arricciare il naso all’ascoltatore purista fungono, riportando le parole di Pace, da “scossone” a una certa consuetudine dell’ascolto. E quest’ultimo, poi, è tutt’altro che documentaristico o risaputo – anzi. Sound che non esiteremmo a definire esplosivo pur nella sua nuda acusticità, talmente strutturata e coinvolgente fin dalle prime battute e che oltre al brillantissimo testa-a-testa tra voce e contrabbasso, si nutre dinamicamente della frizzante chitarra acustica di Di Modugno e delle sferzanti spazzole e bacchette di Pippo Ark D’Ambrosio, tra i primi ad aggregarsi al progetto, e che per freschezza e nervosa agilità conferiscono al soundscape una leggerezza soda-pop. Più che punteggiato dai brillanti, mai banali interventi della tromba e del flicorno di Marco Tamburini, dal sax di Roberto Ottaviano, colorato dalle voci tribali di Nyamai Anthony Mukoko e Likono Alexander Ashivsaka, cantanti kenioti “naturali” ed amici personali e “sul campo” del bassista, l’ascolto procede guidato dall’energica sensualità dell’agile voce di Valentini e dagli altorilievi del contrabbasso di Pace, instancabile “cuore pulsante” della perfomance che, senza rivaleggiare con gli arcinoti modelli non ce li fanno poi rimpiangere in considerazione dell’ipnotico dinamismo con cui vengono riproposti, captandone peraltro con responsabilità lo spirito, e conferendo a passi marleyani come No Woman No Cry (indubitabile patrimonio dell’immaginario pop) ma anche all’Hallelujah di Leonard Cohen il più probabile spirito in nuce di preghiera laica e animista.


Freschezza e strutturazione ariosa sposano impegno, non solo nella riesposizione del modello (che di suo, come i fans marleyani duri e puri attesterebbero, non ha certo bisogno di rivitalizzazione), e la band sorprende di certo nel proporre un sound pressoché privo di cadute d’attenzione lungo un ascolto che, se non innovativo, ci mette del suo nell’invenzione e ci lascia appagati e con grande propensione al replay.