Etnomusic 2011

Foto: Fabio Ciminiera





Etnomusic 2011

Pescara, Auditoriu Flaiano – 28.2/18.4.2011


Cinque concerti, cinque racconti in musica. Questa la sintesi estrema del cartellone proposto da Etnomusic per l’edizione 2011. In particolare Eric Bibb e Robyn Hitchcock – per la formula del duo, con chitarra e voce sostenute, rispettivamente, da armonica e violoncello – hanno rappresentato in modo decisamente esemplificativo l’idea di racconto in musica. Gli altri concerti – Officina Zoé, Diarmaid Moynihan Band e Renato Borghetti – hanno comunque messo con forza l’accento sulle rispettive tradizioni di origine e hanno portato sul palco pescarese il racconto tramandato attraverso i secoli e condiviso dalle generazioni, dove la musica si miscela con i gesti e le parole, con gli abbigliamenti e gli strumenti.


Eric Bibb e Grant Dermody hanno aperto il programma con un duo intenso. Il blues, la forza espressiva del suo canone, viene rivisto attraverso la composizione: Bibb evita spesso di rifugiarsi nelle soluzioni facili offerte dalle dodici battute e aprire la sue canzoni a nuove possibilità espressive in cui accogliere esperienze, luoghi, storie ed incontri. Allo stesso modo viene trattato il suono: profondamente radicati nella scia dei maestri della chitarra blues acustica e dell’armonica, Bibb e Dermody disegnano, attraverso l’utilizzo di diversi strumenti, un paesaggio dalle sfaccettature meno scontate.


Con la Diarmaid Moynihan Band l’attenzione si è rivolta ai suoni e alle melodie irlandesi. In questo caso, come nel successivo concerto di Officina Zoé, il discorso della tradizione è stato rivisitato dalle intenzioni personali dei musicisti, nell’ottica di proseguire e rinverdire la storia musicale di provenienza.


Se nel caso della formazione irlandese la composizione di nuovi brani da affiancare al repertorio “storico” è il punto di approdo della ricerca, Officina Zoé aggiunge anche il proprio ruolo nella rinascita della musica e delle tradizioni salentine . Cinzia Marzo, Donatello Pisanello e Lamberto Probo sono stati tra i promotori di un recupero di strumenti e abitudini, culminato nella esplosione vitale e culturale del loro territorio. Un recupero nutrito dal confronto continuo tra tradizione e nuove proposizioni: il salto temporale tra le due stagioni è stato anche il nesso logico per operare in naturale continuità, guardando sia alla filologia di quanto prodotto nei secoli passati e sia allo sviluppo sociale e al senso di appartenenza della propria regione.


Renato Borghetti è un personaggio naturalmente diretto oltre i confini. Si può ascoltare nell’intervista realizzata al termine del concerto con il fisarmonicista brasiliano come nel suo quartetto convergano esperienze e tradizioni, una sintesi frutto di migrazioni e incroci. Un quartetto senza batteria – fisarmonica, anzi organetto diatonico, chitarra, flauto e pianoforte – dalle dinamiche jazzistiche in alcuni passaggi e dal virtuosismo strepitoso guarda alle musiche del Brasile dal versante meridionale. In primo luogo, quindi, si confronta con i suoni della pianura argentina e uruguaiana e raccoglie accenti provenienti da tanghi e milonghe. Nel suo peregrinare si sposta a nord e incontra lo choro e le musiche discendenti dal Nord Est, ascolta, sia pur in sottofondo, il samba e la bossa nova e si apre a tutte le immigrazioni e relativi bagagli musicali – dal mondo colto al ritmo africano alle canzoni popolari europee. Una sintesi estremamente concentrata e viene gestita con disinvoltura grazie alla proprietà di linguaggio e alla grande padronanza espressiva di tutti e quattro i musicisti.


Il concerto di Robyn Hitchcock riporta la canzone al centro, il racconto immediatamente espresso con la parola. La rilettura dei brani originali del chitarrista nella formula scarna voce-chitarra-violoncello rimanda direttamente alle stagioni del folk britannico: la linea più aspra di alcune composizioni si stempera della cifra sospesa e intimista della formazione, le ballate e le poesie in musica di Hitchcock trovano la dimensione più consona. Il bis finale affidato a due cover – The Crystal Ship dei Doors e River Man di Nick Drake – per un’interpretazione sentita e lirica, come d’altronde era stato tutto il concerto, ha riassunto in modo essenziale il percorso sviluppato da Robyn Hitchcock e Jenny Adejayan.