Slideshow. Marcella Carboni

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Slideshow. Marcella Carboni.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


Marcella Carboni: Sì, questa volta sono tutta sola, o meglio siamo io e la mia arpa. Si chiama Trame, pubblicato dalla Blue Serge. Un disco che cerca di esplorare tutte le potenzialità del mio strumento. Si tratta di un omaggio al jazz italiano contemporaneo, con brani di Bruno Tommaso, Enrico Pieranunzi, Roberto Cipelli, Maria Pia De Vito, Riccardo Zegna, Furio Di Castri, alcuni brani originali miei e per finire, un pezzo di Luigi Tenco.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


MC: Non so se sia il primo, ma sicuramente ero piccolissima quando mia madre mi portava all’opera e io passavo tutto il tempo col naso all’insù verso il soffitto dell’auditorium, incantata a guardare l’ombra del direttore d’orchestra. Mi piaceva vedere quelle ombre cinesi guidare l’intensità della musica. Avrò avuto 4 o 5 anni e andavo sempre volentieri a qualsiasi tipo di concerto o spettacolo teatrale.



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un’arpista jazz?


MC: Una delle più grandi attrattive, ancora oggi, è la libertà. Provengo dalla musica classica dove le possibilità interpretative sono molto limitate. Da sempre ho amato e ascoltato il Jazz, come una passione parallela ai miei studi classici. Poi, nel 1998 a Umbria Jazz ho incontrato un arpista che suonava jazz: era Park Stickney. La svolta è stata immediata.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


MC: Certo che sì, anzi mi sembra evidente che il dibattito intorno al jazz sia sempre più vivo. Personalmente non mi interessa tanto definire i confini del jazz, quanto esplorarne e assaporarne tutti gli aspetti.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


MC: Per me il jazz è incontro. Incontro di personalità diverse che parlano lo stesso linguaggio. È un assimilare continuo di suoni, forme, strutture, contrasti, colori per poi rielaborare il tutto e creare una voce personale, il ‘tuo suono’ e la ‘tua musica’.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


MC: Spesso mi capita di paragonare il jazz alla cucina. Serve molta creatività ma si può improvvisare solo con gli ingredienti di cui si conosce bene il gusto e la reazione insieme agli altri. Ma si provano grandi soddisfazioni negli accostamenti azzardati. Io cucino molto jazz. A parte gli scherzi, una delle cose che mi piace di più è questa sensazione di totale creatività e possibilità di stupire ed essere stupiti continuamente.



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


MC: Domanda difficile. Mi sembra che il jazz dalla sua nascita non sia un genere definito, è sempre stato più un grande contenitore di stili. Ed è così che sta procedendo. Nel jazz di oggi troviamo personalità differenti e meravigliose allo stesso tempo, come per esempio Maria João o Brad Mehldau; possono entrambi considerarsi jazz?



JC: Tra i pochi dischi di arpa-jazz ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?


MC: Sicuramente tutti i dischi di Dorothy Ashby. Meravigliosa arpista degli anni Cinquanta, in particolare Afro Harping.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nell’arpa, nella musica e nella vita?


MC: La prima persona che mi ha fatto veramente capire e amare la musica è stata Anna Bortolato, una arpista e pianista che insegnava in una scuola basata principalmente sulla musica d’insieme, dove tutti suonavano tutto: piano, percussioni, flauto, strumenti didattici. Avevo 6 anni quando ho iniziato con lei e 25 quando ho smesso di insegnare nella sua scuola. Dopo il diploma in conservatorio ho avuto difficoltà a trovare la mia strada e Ester Gattoni, un’arpista piacentina, mi ha fatto provare per la prima volta l’ebbrezza di sprofondare nella musica che stai suonando. Rivedevo Haendel, Rota, Britten e Fauré finalmente libera dalle costrizioni mentali e fisiche che mi portavo dietro dai tempi del Conservatorio. Nel Jazz poi, un mio pilastro d’appoggio è sempre stato Roberto Cipelli, che agli inizi era scettico ma poi ha concimato la mia determinazione.



JC: Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


MC: Se devo scegliere un momento particolare forse penso al concerto con l’Orchestra Jazz della Sardegna con le musiche e la direzione di Bruno Tommaso. Ero una dei cinque solisti, è una bella sensazione essere accompagnati dall’orchestra. Il momento più bello però è ogni volta che sento di aver superato qualche barriera. La prima volta che ho fatto una jam session, oppure quando improvviso e le idee arrivano magicamente alle dita e tutto fluisce. Per come la vedo io, il momento più bello sarà sicuramente domani.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


MC: Amo suonare con i miei vecchi amici, con il Nat Trio (Simone Dionigi Pala ai sax ed Elisabetta Lacorte al basso) o con le Naima (Francesca Corrias alla voce/flauto e sempre Elisabetta Lacorte al basso). Sono stati i miei compagni di viaggio sin dall’inizio. Pazienti sostenitori della mia crescita musicale. Poi c’è la collaborazione con Elisabetta Antonini, una ricerca sonora costante e avvincente, arrangiamenti sempre più estremi e fantasiosi. Ora anche con l’uso dell’elettronica, molto divertente.



JC: È difficile essere donna nel jazz, musica in cui esistono quasi solo femmine vocalist?


MC: Non ho mai provato a essere uomo nel jazz! Scusa la battuta, ma credo che le musiciste, come tante altre professionalità, siano discriminate solo da dinamiche maschili ataviche. Fortunatamente in Italia la maggior parte delle arpiste sono donne, e quindi non è così strano che io, donna, suoni l’arpa, è molto più strano che suoni jazz con l’arpa. Meno male che i jazzisti italiani non sanno che i più grandi arpisti, jazz e non solo, sono uomini! E noi non glielo diremo.



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


MC: Oltre alla promozione del disco Trame, in solo, ci sono in cantiere il nuovo cd del NAT trio e la registrazione del progetto Nuance con Elisabetta Antonini. Posso già anticipare inoltre, la formazione di un nuovo trio a mio nome, con contrabbasso e batteria. È una nuova sfida che voglio affrontare, per ampliare un discorso personale compositivo e stilistico iniziato con Trame.