Federica Zammarchi – Jazz Oddity

Federica Zammarchi - Jazz Oddity

CNI – La Frontiera – LFDL 24772 – 2011




Federica Zammarchi: voce

Marco Siniscalco: basso elettrico

Antonio Jasevoli: chitarre

Enrico Zanisi: pianoforte

Emanuele Smimmo: batteria






L’opera seconda della fusion-singer tosco-romana Federica Zammarchi, sostenuta da una privata quanto avveduta promozione mediatica, palesa le continuità strategiche del suo percorso creativo dopo l’apprezzato e già caratterizzato Fires’n Pyres (Dodicilune, 2008), devolvendosi non senza dichiarata ambizione, e in via monotematica, al totemico David Bowie, tra i padri putativi di un certo, riattualizzato pop “di svolta” fondato sulle ambiguità di genere – magari superate dalle forme e dagli avanzamenti di limite ulteriori – ma nient’affatto decaduto, anzi tuttora carismatico “faro di puntamento” stilistico delle aperture ibride dell’àmbito.


Opera che si sviluppa con più che ampia diversificazione stilistica lungo le undici lunghezze dell’album, che privilegia del Duca Bianco i capisaldi delle più classiche hit post-beat (ossia precedente l’euro-centrica fase avant-garde), nei fatti riprende nello spirito ma anche nella forma l’ampia versatilità di genere che avrebbe caratterizzato la lunga e sfaccettata traiettoria di un discusso e tuttora vitale padre del pop.


Concepito, arrangiato, rodato in prima persona dall’iperattiva Fede-Z, che si conferma magistrale nel controllo a tutto campo della sua creatura, e che per l’occasione si contorna da un quartetto di amici-solisti che sarebbe riduttivo liquidare come “sidemen di prim’ordine” (non fosse per l’incalzante scorrazzare tra scena e sala d’incisone, come più volte testimoniato anche su queste pagine), in Jazz Oddity chi avesse in mente le originarie hit così radicate nella memoria comune, ne ritroverà un’ampia rivitalizzazione nella palette d’arrangiamento, che osa rivolgimenti strutturali (Life on Mars?), irradia stranite eco siderali (Space Oddity), sospinge controllate sensualità (Aladdin Sane), lanciandosi poi nella libera corsa del progressive e del proto-hard (ma certo non soltanto), contemporanei al modello ma tuttora vitali, e che sanciscono il (fortunatamente) libero distacco e superamento dell’archetipo trainante.


Con fermezze di solido cristallo ed un’ostinata declamazione in potenza (scelta tecnica molto approfondita nell’istruttiva intervista), la solista (che incarna l’identità insieme esplorante e sospesa del “major Tom”, già mitologia a sé) svela rodato mestiere ed appronta attenzioni in un non banale lavoro anche di sillabazione, con ampia partecipazione fisica ed un canto che, dal concentrato recitativo, progredisce verso pieni volumi, rinunciando però stilisticamente a liberarsi entro le più acuminate soluzioni jazz e ad addentrarsi in più rischiosi salti emozionali verso i più labirintici e spregiudicati ardimenti del più vasto pop.


Graziata dall’intesa delle tonica e compatta band, sostenuta dagli spessori ritmico-armonici del bassista Marco “ground control” Siniscalco e la circolare pienezza percussiva di Emanuele “spaceship” Smimmo, graziandosi dei compatti clangori della fluente chitarra avant-garde di Antonio “alien” Iasevoli, con un appunto appena a favore del quasi co-protagonista, enfant prodige del piano, Enrico “spider from Mars” Zanisi, cadetto per fascia anagrafica ma già precoce certezza non soltanto entro gli ambiti del suo strumento, è questa un’operazione che ci conferma l’attitudine ed il valido standard dell’agguerrita solista, il cui “autarchico talento” appare positiva conferma della “voglia di osare” dei nostri, da tempo non più marginali, creativi, e cui auguriamo la più ampia diffusione presso orecchie curiose e partecipanti.