Bari in Jazz 2011

Foto: Nathalie Jacquault





Bari in Jazz 2011.

Bari. 28.6/2.7.2011.


È stata tutta incentrata sulla figura artistica di Miles Davis l’edizione 2011 del Bari in Jazz. La sagoma del leggendario trombettista, che campeggiava sulla locandina del festival pugliese, è servita a proiettare l’ombra lunga della sua influenza sui musicisti intervenuti, determinandone percorsi musicali e scelte artistiche. A venti anni esatti dalla sua scomparsa infatti, l’arte del “Divino” Miles ancora attraversa il mondo del jazz e, più in generale, quello della musica di matrice improvvisativa, ergendosi come modello di genialità, lungimiranza musicale, modernità e continua evoluzione.


Ancora una volta il Bari in Jazz ha saputo presentare musica di alta qualità, giunta invariabilmente sia dagli artisti stranieri ospitati che da parte delle realtà musicali locali, arricchendo la sua programmazione con progetti musicali realizzati in esclusiva per la kermesse pugliese.


Una edizione tutta proiettata in avanti dunque, nonostante il direttore artistico Roberto Ottaviano abbia lamentato, nella presentazione del festival, difficoltà organizzative di varia natura a seguito di una, così definita, “riconfigurazione culturale” della amministrazione cittadina e regionale.


È toccato al pianista Gianni Lenoci tagliare il nastro di partenza del festival esibendosi alla testa del suo Hocus Pocus Quartet. Musicista curioso e sperimentatore mai domo, Lenoci ha riempito le antiche volte della chiesa della Vallisa con una musica che si inseriva tra il free e l’avanguardia. Ad affiancarlo sul palco il sassofonista Vittorio Gallo e la sezione ritmica composta dal contrabbassista Pasquale Gadaleta e dal batterista Giacomo Mongelli, alle prese con una musica tesissima, a tratti tenebrosa, dall’alto livello di concentrazione e sovente costruita su reiterazioni ritmico-melodiche.


Uno degli artisti più attesi del festival è stato sicuramente il trombettista polacco Tomasz Stanko. Chiusa la parentesi con il quartetto tutto polacco che aveva segnato il ritorno del musicista alla ECM e contribuito a portargli nuova ispirazione e popolarità, il trombettista si è presentato sul palco del Teatro Piccinni alla guida di un quintetto nuovo di zecca, composto da giovani musicisti.


Il repertorio era incentrato interamente sui brani presenti nel suo ultimo disco ECM, intitolato Dark Eyes, nel quale Stanko ha portato connotazioni più moderne al suono complessivo della sua musica e all’intenzione dietro di essa. Un naturale evoluzione di quella estetica musicale che l’ha reso celebre: un suono che sa essere allo stesso tempo lirico e pensoso, urgente e incisivo.


I temi di Stanko sono spesso fatti da brevi linee melodiche che salgono, si attorcigliano, per poi ridiscendere a tuffarsi come sassi che propagano onde in uno stagno.


Il leader, confermando la sua natura di ottimo talent scout, ha lasciato ampio spazio ai suoi giovani partner che hanno chiuso il cerchio attorno all’intimo sentire musicale del trombettista: gli interventi chitarristici di Jakob Bro, che si è rivelato in un solo lucido e dal piglio bluesy, hanno reso l’insieme musicale coerente e funzionale; il bassista danese Anders Christensen, dotato di uno stile personalissimo, si è prodotto in un paio di solo melodici, ricchi di legati e dall’attitudine decisamente rock; la sezione ritmica tutta finlandese, rappresentata dal pianista Alexi Tuomarila e dal batterista Olavi Louhivuori, è stata prodiga di sfumature armoniche e suggestioni ritmiche.


Una musica dall’afflato decisamente meditativo, di sovente attraversata da sentori del folklore nordico, all’interno del quale i musicisti hanno spesso indugiato in compiaciuta estasi.


Il quartetto del chitarrista pugliese Rino Arbore ha aperto la seconda serata del festival, presentando un set incentrato interamente sulle sue composizioni originali, intitolato Suggestions from Space, nel quale a garantire la connessione con Miles Davis ci ha pensato la presenza del trombettista norvegese Roy Nikolaisen.


La scrittura musicale di Arbore si è mostrata interessante fin da subito: guizzi inaspettati, temi attorcigliati e frequenti break ritmici si sono intervallati a delicate ballad accarezzate dalla calda espressività del flicorno di Nikolaisen.


Tanto la presenza del leader ha a stento contenuto un indomito impeto creativo, manifestatosi nei suoi soli, quanto la quieta determinazione di Nikolaisen, che ha tuttavia ha saputo graffiare nei momenti di più libera improvvisazione, ha diffuso un’aura di elegiaca bellezza tra le mura della Vallisa.


La sezione ritmica formata dal contrabbassista Giorgio Vendola e dal batterista Gianlivio Liberti ha svolto un impeccabile lavoro dalla solida tenuta ritmica, percorso, allo stesso tempo, da fluida duttilità melodica.


Arbore ha dimostrato sapienti capacità di arrangiatore nell’esecuzione di una quasi irriconoscibile “Solar, unico tributo musicale a Davis, scegliendo di celebrare, come lo stesso leader ha dichiarato, non direttamente la musica del trombettista, bensì l’intenzione dietro di essa e quella capacità di impareggiabile organizzazione di suoni per cui è stato celebre.


Procedendo nella serata, si è tornati ancora al Piccinni che, oltre ad aver avuto la funzione di ospitare alcuni degli eventi più importanti, ha fatto da sfondo alle produzioni originali del festival. La prima delle due in programma è stata presentata dal contrabbassista Mauro Gargano, musicista di origini baresi, ma residente da tempo a Parigi, che ha trattato la relazione tra jazz e boxe. Uno sport che lo stesso Miles ha avuto modo di praticare e celebrare nel suo tributo musicale al pugile di colore Jack Johnson, pubblicato nel 1970. Una passione in comune con Gargano, pugile amatoriale a sua volta che si è innamorato della storia di Battling Siki, primo pugile di colore a conquistare il titolo di campione dei pesi massimi, e ha voluto costruire attorno alla sua storia un corposo progetto musicale. La lunga composizione, intitolata DO DO Boxe: Suite for battling Siki and Miles Davis, è stata composta da sei parti, più una di chiusura, tanti quanti sono stati i round che condussero Siki a conquistare il titolo di campione europeo dei pesi massimi contro Georges Carpentier. Saint Louis, Marsiglia, Amsterdam, Parigi, Dublino, New York e poi il ritorno a Saint Louis: queste le città che hanno segnato il percorso di vita del pugile franco-senegalese messa in musica dall’abile lavoro di Gargano, il quale ha inserito tra un brano e l’altro, gli immaginari dialoghi, scritti di suo pugno, tra Battling Siki e il suo coach, rendendo il ritratto storico ancora più vivido.


Una formazione tutta francese ha accompagnato il contrabbassista in questo progetto musicale che ha visto sul palco alcuni dei migliori esempi del panorama jazzistico transalpino, tra i quali il pianista Bojan Z e il chitarrista Manu Codja. Il primo, divisosi tra pianoforte e tastiere elettroniche, si è rivelato dotato di un solismo prezioso, che ha saputo mescolare sapientemente le tendenze più moderne del suo strumento alle tradizioni slave delle sue origini; il secondo, è stato interprete di una eloquenza musicale sfaccettata e virtuosistica, sfociata in soli di volta in volta lirici, evocativi, impetuosi e struggenti.


A comporre l’ampio puzzle musicale: tasselli di moderno mainstream jazzistico, funky, inserti di elettronica e rock, tenuti insieme dal pulsante groove di Gargano, costante timone di guida lungo tutta la suite.


La seconda produzione originale del festival è stata quella presentata dalla Apulian Orchestra, diretta da Roberto Ottaviano, con ospite il trombettista americano Ralph Alessi. L’Orchestra, che annovera tra le sue fila i migliori esponenti della scena jazz pugliese, è nata questo autunno in occasione di un progetto musicale costruito attorno alla presenza di Paolo Fresu. L’occasione presentata dal Bari in Jazz è stata dunque propizia alla riunione dell’ensemble, che ha offerto un corale tributo a Davis, toccando una delle fasi musicali più discusse ed influenti del trombettista: quel celebre periodo “elettrico” che va da In A Silent Way fino a Big Fun, passando per Bitches Brew e On The Corner. Le numerose sfaccettature di cui è stata infarcita questa rilettura hanno imbevuto il magma sonoro sprigionato dall’esteso ensemble, valorizzato dalla sapiente conduction di Roberto Ottaviano e dalle singole individualità dei suoi componenti. In un continuo divenire musicale i membri dell’orchestra hanno pagato il doveroso tributo che, ciascun musicista a suo modo, ha nei confronti di una figura musicale imprescindibile e imponente come quella di Davis.


L’Apulian Orchestra ha saputo offrire una musica dal forte accento africano, manifestatasi in una serie di call e response dall’intento quasi rituale, in cui a spiccare sono stati gli acidi interventi del chitarrista Pino Mazzarano, le rarefatte sonorità del Rhodes di Mirko Signorile e le percussioni tribali di Maurizio Lampugnani, ascoltate sul finale.


Protagonista della penultima serata del festival, il trio composto da Michael Blake, Ben Allison e Hamid Drake. Tre leader che, riuniti in una formazione dalla vita relativamente breve, hanno condiviso tutta la gioia di ritrovarsi sul palco e poter offrire la propria arte al pubblico. Sprovvisti di materiale originale, ma attestati su un repertorio composto da una manciata di selezionatissimi standards, tra i quali brani di Don Cherry, Rahsaan Roland Kirk e Count Basie, i tre hanno suonato con tale maestria e personalità da farli propri.


La comunione di intenti, la capacità di dialogo e l’interplay dimostrati dai tre musicisti sono stati esemplari e pochi eguali hanno avuto durante il festival. La semplicità strutturale dei brani scelti non è stata indicativa di una ricerca della leggibilità, quanto piuttosto rivelatoria di una volontà di mostrare quanto non sia la complessità o il numero delle note suonate a determinare il successo di un concerto, bensì la qualità: l’espressività del soffiato che contraddistingue il suono di Blake, l’alto magistero ritmico di Drake e l’enfasi che Allison sa porre in ogni nota che suona, sono i reali fattori che hanno determinato la riuscita del concerto. Il jazz, il blues, il reggae sono state le tavolozze di base sul quale i tre musicisti hanno compiuto un lavoro d’improvvisazione ricco di inventiva, voglia di suonare e sottile ironia.


Finale di festival sfortunato per i concerti del giovane sassofonista salentino Raffaele Casarano e della Cosmic band di Gianluca Petrella, previsti nel grande palco allestito in Piazza Ferrarese, annullati per via di un violento acquazzone riversatosi sul capoluogo pugliese.


Ciò non ha comunque compromesso il positivo bilancio di una edizione del Bari in Jazz, che ancora una volta ha saputo attirare attorno a sé la giusta attenzione, numerosa la rappresentativa estera della stampa, e generare le giuste sinergie affinchè la musica, e il jazz in particolar modo, si confermasse come momento di incontro e scambio tra estro ed individualità.