Slideshow. Anna Garano

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Slideshow. Anna Garano.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


Anna Garano: È stato un lungo travaglio, Come il re di un paese piovoso. Dolcissimo e aspro allo stesso tempo. Un lavoro durato un anno e mezzo che mi ha avvicinato molto di più alla poesia in generale e ovviamente alla letteratura poetica francese e alla lingua. il risultato discografico è di buon livello, anche se lo trovo un po’ “ingessato” per il mio temperamento; ho seguito pari pari le esigenze di Anna Garano, autrice delle musiche, che stimo molto come musicista e mi sono trovata ad utilizzare sotto la sua guida, una vocalità così – come dire – traslucida, che quasi non mi riconosco. ma era quella necessaria ai brani. bellissimo l’incontro con un altro fiato, quello della tromba di Davanzo, che ha arricchito notevolmente e sapientemente le liriche.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


AG: Al mattino presto, prima di andare a scuola, avrò avuto sei-sette anni.. mia madre ascoltava la radio e spesso presentavano Chico Buarque de Hollanda e devo dire che insieme a Brahms e Tchaikovsky che ascoltavamo nel pomeriggio mentre facevo i compiti e lei stirava, Genesis, Soft Machine e Janis Joplin sul giradischi delle mie sorelle. le mie giornate avevano qualcosa in più!



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante?


AG: È una natura, quella musicale, dalla quale non si può prescindere. anche se si fa finta di non sentirla, non vederla – fa capolino in ogni parte di sé; ho sempre cantato, da piccolissima in su, studiato canto e – nel frattempo – mi sono diplomata in pianoforte. Ho fatto anche altro, ma l’unico motivo che trovo per cantare è che “sono Io”, riconosco ed esprimo me stessa in ogni sfaccettatura, più che altrove.



JC: E a scegliere il jazz piuttosto che altre musiche?


AG: Forse è difficile considerarmi una cantante jazz: la mia formazione è piuttosto classica e pop. Il linguaggio jazzistico lo adoro e lo studio, ma non l’ho mai scelto veramente.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


AG: Ah, non saprei. credo sia un termine che a fatica trattiene i generi e gli stili che sottintende. Talvolta è ancora jazz, ma sempre più spesso viene usato come slogan.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


AG: Per me, vocalmente, è una palestra multisensoriale – che mi permette continuamente di migliorare le mie capacità, non solo vocali e goderne intimamente; è come se mi dessi il Cubo di Rubik, mai visto prima, dopo un po’ trovo la soluzione – e me lo mangio – perché in realtà è una torta appena sfornata.



JC: E il jazz da ascoltatrice?


AG: Come ascoltatrice invece mi ritrovo col cervello che danza. emisfero destro con emisfero sinistro che volteggiano, alternandosi alla guida.



JC: E cantare jazz?


AG: Qui, lo ammetto, è un bel problema – sono molto passionale e istintiva, ma anche molto riflessiva. Quindi rischio costantemente la paralisi vocale! beh, a parte gli aspetti caratteriali, cantare è un viaggio al centro di se stessi e conseguentemente un riflesso delle varie condizioni dell’essere umano. E come in ogni viaggio ci sono soste mozzafiato, lunghe attese, cambi di direzione, imprevisti, incontri piacevoli e non, e come in ogni specchio puoi soffermarti sui dettagli, se vuoi, e credere e far credere che siano il tutto.



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


AG: No, non sono abbastanza un’addetta ai lavori per dirlo.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella voce, nella musica, nella cultura, nella vita?


AG: Qui scatta l’affettuosa riconoscenza a tutte quelle persone care che mi hanno sostenuto, malgrado il mio carattere sfuggente e apparentemente chiuso e ombroso, sono tante e sono vicine – In ogni caso devo molto a Roland Barthes, Michelle Hendricks, Renato Chicco, Gianfranco Boretti, Cesare Pavese, Manuela Kriscak, Adriano Lincetto, Carmen McRae, Bill Evans, Giorgio Gaber, Aldo Carotenuto, Gianni Rodari, Fabio Vattovani , DiegoTrio, eccetera, eccetera.



JC: Il momento più bello della tua carriera di musicista?


AG: Quando ho “deciso” finalmente di occuparmi esclusivamente di musica! Nonostante fatica e precariato, crisi e sconfitte, quello è il momento che ricordo in ogni dettaglio – come sottofondo avevo Paolo Fresu e David Linx in Here be changes made. L’ho ascoltato in funzione repeat dalle due alle sette del mattino di un capodanno di otto anni fa. Tutti dormivano e io ho apportato le mie modifiche [sorride]…



JC: Quali sono i tipi di musicisti con cui ami collaborare?


AG: Quelli con cui ritrovi qualcosa di tuo ma soprattutto ti suggeriscono strade nuove!



JC: È difficile essere donna nel mondo del jazz?


AG: È difficile “essere”, nel mondo. Donna e jazz, sono due variabili…



JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?


AG: Ti ho nominato, prima, Giorgio Gaber anche perché sto lavorando da un po’ su suoi brani: li rimastico e li rimastico ancora… e poi vediamo che ne esce. Prossimamente ci sarà una ripresa nella musica da camera, ma con un repertorio contemporaneo in duo con il flauto sia come pianista ma anche come cantante e poi c’è un embrione difficilmente esprimibile – ma che mi dà energia per tutto…