Slideshow. Patrizia Laquidara

Foto: Luigi De Frenza – Expiria.com










Slideshow. Patrizia Laquidara.


Jazz Convention: Patrizia, dopo concerti e progetti in lingua veneta, ecco finalmente un disco. Vuoi parlarcene?
Patrizia Laquidara: Il canto dell’Anguana èun disco nato dal desiderio e ancor più dalla necessità di “mettere per iscritto” il percorso fatto in dieci anni sulla musica popolare. Una musica che mi ha segnata profondamente e che mi ha fatto da maestra. Soprattutto per lo studio della voce e per le numerose vocalità che mi ha dato modo di conoscere. Nei miei live (soprattutto quelli con gli Hotel Rif che in questo disco hanno suonato) mi è capitato più volte di eseguire canzoni di tradizione rumena, ungherese, portoghese, cecoslovacca, giapponese, cinese, argentina, spagnola (le sevillanas di Garcia Lorca nello spettacolo Creuza de luna) e via dicendo. Ho suonato spesso in contesti dove la musica tradizionale si esegue e si crea…



JC: Qualche esempio?


PL: Ricordo La chiara stella con Ambrogio Sparagna e la sua orchestra popolare italiana, vari festival in Galizia terra di gaite dove ho conosciuto e inciso una mia canzone con Carlos Nunez, la rassegna internazionale “suoni dall’altro mondo” dove ho avuto modo di collaborare a stretto contatto con Ben Mandelson, Guo Yue, Wu fei, Nicola Parov, mi sono occupata spesso di musiche dell’emigrazione italiana e non solo con Emilio Franzina e ricordo una borsa di studio che vinsi dodici anni fa dove per la prima volta mi confrontai con la musica tradizionale veneta e lombarda. Fu una vera e propria scoperta. Li imparai Il canto dei Battipali, ora presente nel cd Il canto dell’Anguana. Dopo questo cammino durato anni e tanti live è chiaro che c’era in me l’esigenza di fissare il tutto, di mettere per iscritto questa mia esperienza. E soprattutto di confrontarmi con me stessa in questo campo.



JC: Quale può essere la sfida al mondo musicale (e discografico) italiano di un album come questo?


PL: La vera sfida è stata voler partire non da cose già esistenti ma fare un disco di musica popolare oggi. Con canzoni inedite. Un disco di musica popolare che parli di tradizione e di futuro. Questo almeno era l’intento e finora posso dirmi soddisfatta del risultato. Di questo disco sono anche la produttrice artistica (insieme a un jazzman come Alfonso Santimone), l’ideatrice, l’art director foto e ho seguito molto degli aspetti più pratici legati alla produzione di un disco. È stato in alcuni momenti molto faticoso seguire tutto e impiegare in un solo progetto tanto tempo e energia . Ora però riconosco quanto mi sia stata preziosa e quanto lo sarà per il mio futuro, questa esperienza in cui ho scoperto nuovi aspetti di me, le mie risorse, le mie forze e debolezze. Alcune cose già le conoscevo, una certa caparbietà e testardaggine a portare avanti un obiettivo seppur nelle difficoltà, la capacità di seguire più cose contemporaneamente, la mia curiosità e la capacità anche di far da traino, di entrare i studio a cantare e il giorno dopo organizzare la sezione fotografica, di andare a lavorare col grafico l’impaginazione e nel contempo di lavorare alla rielaborazione dei testi con Enio.



JC: Troppo?


PL: Credo di sì, troppo. Ma questo disco ne valeva la pena, per il prossimo penso che prenderò un po’ le distanze dalle cose più pratiche e mi concentrerò sulle cose più artistiche. È un desiderio. Anche se coi tempi che corrono l’artista (che vuole lavorare a qualcosa di suo, che sia originale o che gli corrisponda) si ritrova ormai a ricoprire molti, moltissimi ruoli.



JC: Entrando più nei dettagli, sul piano dei contenuti letterari, mi sembra un disco molto favolistico, legato alle tradizioni più arcane, giusto?


PL: Le liriche sono state scritte dal poeta e scrittore Enio Sartori e insieme le abbiamo poi rielaborate per adattarle alle musiche . Da tempo desideravo cantare poesie o testi poetici. La scrittura di Enio è pregna di forza, potenza e profondità. Le sue poesie parlano spesso di soglia, creature liminari, luoghi di confini tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Conoscevo Enio già da alcuni anni ed ho pensato subito a lui come scrittore dei testi. Ho provato a musicare alcuni suoi testi, che già avevo nel cassetto da anni. L’esperimento m’è sembrato subito ben riuscito e da lì, il passo di chiamare Enio e di chiedere una collaborazione più stretta. Il tema: l’acqua. Da qui all’Anguana il passo è stato breve.



JC: Patrizia, cos’è l’anguana?


PL: L’anguana, è una figura mitologica dell’alto vicentino (la si ritrova in altre culture popolari del mondo con altri nomi…) che nelle leggende appare spesso lungo i corsi d’acqua, le sorgenti, i pozzi. È, sì, legata alle tradizioni più arcane (le leggende raccontate nei filò avevano spesso lei come protagonista) ma è anche una figura che solleva temi molto attuali.



JC: E come hai attualizzato l’anguana?


PL: Quello che a noi interessava portare in superficie non era tanto l’aspetto favolistico di questa figura ma, soprattutto il quesito arcaico e al contempo assolutamente attuale che questa figura porta con sé: la bellezza indicibile che affascina e seduce anche e ancor più per la proibizione che essa stabilisce. In effetti il tema che la figura dell’anguana continua a porci é quello della inappropriabilità dell’oggetto d’amore che chiede al soggetto di rispettare il mistero del desiderio e la distanza su cui esso si regge per non cadere nell’amore solitario di Narciso o sotto lo sguardo mortificante della Medusa. Si tratta di quella distanza necessaria nella relazione con la bellezza e con l’amore da cui si origina il desiderio, la poesia, l’immaginazione e il canto. L’anguana offre consolazione, potenza, gloria a colui che la rispetta e che ne rispetta il segreto, a colui che non rompe l’incanto. Naturalmente quando parliamo di giusta distanza non ci riferiamo solo alla relazione con una persona, ma anche con l’ambiente in cui viviamo (quando invece tragicamente l’uomo tende a consumarlo e ce lo rivelano sempre più i fatti attuali) con la lingua, le cose…



JC: Quindi è fondamentale la “giusta distanza”?


PL: Io stessa mi accorgo che è “indispensabile” il rispetto della giusta distanza con la musica che eseguo e soprattutto con la mia voce. Questo vuol dire cercare di farsi costantemente mezzo affinché passi qualcosa d’altro che ci attraversa Nel momento invece in cui mi approprio della mia voce nel senso del volerla gestire, comandare, catturare del tutto, ecco che lei mi ricorda che questo non può funzionare. Perché è come rompere un incanto. Come dice la parola stessa, è come rompere il processo del cantare e dell’incantamento..



JC: A livello di forma musicale, mi pare invece che tu abbia attinto, oltre al folclore locale, anche a certo jazz, alla world music, in particolare alle sonorità tzigane…


PL: Sì, infatti, oltre al folklore locale (canti come Il canto dei battipali, Nota d’anguana ecc) ci sono molte altre sonorità e influenze. Quelle che mi hanno accompagnato in tutti questi anni. Non mi è stato difficile introdurli vocalmente in questo album e speravo di aver modo, prima o poi di poter cimentarmi con vocalità diverse cercando però, assiduamente, un modo per tenere unito il tutto. Ho provato a unire canti sussurrati e nenie con canti più poderosi e veri e propri cori di lavoro.



JC: Ma cosa che più di tutto ti ha spinta ad attingere da altre sonorità, anche lontane?


PL: Senza dubbio è stata la consapevolezza che le culture popolari, costituiscono per l’uomo un substrato di affetti, valori, legami con l’ambiente e coi i miti creati in un determinato luogo, che sono patrimonio di immensa importanza per l’umanità. Nonostante questo però le culture popolari sono a rischio di estinzione, minacciate da una cultura di massa che tende a farle morire. L’idea quindi era di far dialogare molte culture popolari musicali diverse attraverso il mito dell’anguana, e attraverso un dialetto alto vicentino . Con l’intento di mischiarle, di farle appunto dialogare tra loro, e, perché no, di meticciarle. Perché ogni lingua, ogni musica porta con se il segno di altre culture e di altri popoli. E cosi deve essere affinché le culture popolari sopravvivano. Non c’ è nessun compiacimento nostalgico in questo disco. Ma la ferma convinzione di voler guardare al futuro, sapendo che l’unico modo per mantenere viva un tradizione è anche assumendosi il rischio di esporla continuamente al divenire, evitando il più possibile che si chiuda in se stessa.



JC: Nelle note di copertina, c’è il nome del jazzman Alfonso Santimone, che hai citato e conosco molto bene e che fa appunto altro da te, artisticamente. Com’è nata la vostra collaborazione e che ruolo ha avuto lui per Il canto dell’Anguana?


PL: Con Alfonso collaboro gi à da un po’ di anni. Lo definisco il direttore musicale dei miei concerti. La cosa curiosa è che lui viene da tutt’altro ambiente. È uno dei protagonisti più attivi nel panorama della musica improvvisata, fa parte dell’etichetta El Gallo rojo, collettivo di giovani improvvisatori nonché etichetta discografica. Lavorare con lui è stata una bellissima esperienza. Abbiamo lavorato insieme a tutte le composizioni musicali. Ci siamo messi al pianoforte e io inventavo melodie e lui mi seguiva e viceversa. Cercavamo di attingere da melodie che avessero un sapore “popolare” che però lasciassero molto spazio alla mia vocalità. Abbiamo studiato la mia tessitura, io ero consapevole di non aver mai inciso su disco una parte di me e della mia vocalità che volevo assolutamente far uscire questa volta. Mi riferisco alle parti più “gridate”, quelle per esempio come in Reina d’ombria, dove io canto come un’invasata, oppure a nota d’anguana dove il ritornello si apre con una voce ampia e quasi da coro bulgaro che si accompagna bene al coro delle Canterine del Feo. Il coro di cinque signore (tutte tra i settanta e gli ottant’anni)da cui mi sono fatta accompagnare nel disco e che sono la ciliegina sulla torta di questo album e che subito dopo il disco sono state premiate col titolo di patrimonio musicale nazionale.



JC: Alla fine come giudichi la collaborazione con il jazman Santimone?


PL: Insomma il lavoro con Alfonso è stato prezioso perché lui s’è messo a disposizione della mia voce e anche delle mie idee, arrangiando per un mese un pezzo che avevo scritto interamente io (Livergon) Proponendo una ninna nanna scritta interamente da lui (Dormi putin). Suoi sono la quasi totalità degli arrangiamenti (a cui hanno contribuito in qualche pezzo anche gli Hotel Rif). È stata una sfida anche questa. Ma ero sicura, quando ho chiesto ad Alfonso di collaborare a questo disco, che la sua sensibilità, la consapevolezza e la sua conoscenza musicale erano grandi al punto da superare eventuali lontananze stilistiche tra i suo e il mio mondo.



JC: E di Hotel Rif che cosa ci vuoi dire? Anche loro risultano importantissimi, oltre che bravi!


PL: Degli Hotel Rif è il suono di questo disco. Pensato sui loro strumenti e sulla loro maniera di suonare. Loro hanno contribuito anche agli arrangiamenti e due delle composizioni dell’album sono loro (Ah, jente de la me tera di Mirco Maistro e mia, La fumana di Lorenzo Pignattari e Alfonso Santimone). La parte musicale è stata suonata in quattro giorni, questo ti fa capire la compattezza e la bravura del gruppo.



JC: C’è qualche messaggio particolare che vuoi lanciare con il tuo album?


PL: Non sono una cantante che ama lanciare messaggi e non credo di essere la persona più adatta a farli. Ma dalla nostra intervista risulta evidente che i temi di questo disco sono attuali, li abbiamo già affrontati: il tema del desiderio, il tema dell’interculturalità. È un disco che si sta facendo strada pian piano, a dispetto di chi non scommetteva nulla su di esso. È un disco in cui ho creduto molto e cosi anche Alfonso, Enio, Giancarlo Trenti dell’etichetta Slang Music, che ha investito tempo e denaro per portarlo avanti. Luigi de Frenza che ha fatto le foto e che ha creduto e assecondato la mia pazzia di voler scattare le mie foto in una grotta a una temperatura di meno 10 gradi in gennaio Vestita di un abito leggero fatto di ferro e nylon creato la mattina stessa. Per questo e altro questo disco è stato desiderato, mi ha dato gioia e anche qualche sofferenza (sto parlando come di un figlio!!!) e ora è bello lasciarlo andare e vedere che si fa strada da solo, ottenendo riconoscimenti e il gusto della gente che forse può intuire tutto questo e anche le verità e l’onestà con cui abbiamo cercato di lavorare.



JC: Cosa farai ora nell’immediato futuro?


PL: Mi dedicherò a portar in giro il live de Il canto dell’Anguana, che è cominciato a inizio giugno. Credo poi che in autunno riprenderò ad andare all’estero. È uno dei miei obiettivi principali. Dato che amo da sempre viaggiare mischiare paesi e gente nuove con la mia musica e la mia attività. Non nego che ho anche tanta voglia di lavorare a qualcosa di nuovo. Continuo a fare collaborazioni (le ultime coi minatori di Santa Flora, con Nicolo Agliardi e con Davide Van Der Sfross (dove ho scritto e cantato in siciliano un ritornello del suo prossimo singolo).



JC: In parallelo, Patrizia, tu ti cimenti anche nella letteratura, vero?


PL: Sto anche scrivendo molto. Piccole storie, filastrocche, fiabe per adulti che tengo li nel cassetto e faccio leggere agli amici più cari. Cosi come mi dedico allo studio del pianoforte, della mia voce e per una persona come me, che di regole ne ha sempre avute poche, questa della disciplina e della dedizione allo studio è un’esperienza ormai vitale e assolutamente necessaria . Che mi arricchisce e mi da molto, tanto, se non più che fare i concerti. Voglio dire con questo che canto da molti anni. Ho cantato di fronte al pubblico più disparato. Dal Festival di Sanremo a un teatro d’opera a Rio de Janeiro, a un palco prestigioso come l’Auditorium di Roma al circolo sociale, a un convegno in Giappone a sopra un barcone che naviga nel Po. Ora l’esperienza di concentrarmi su me stessa, sulla musica, chiusa nella mia stanza è davvero rivoluzionaria e preziosa.