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Slideshow. Franca Masu.
Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?
Franca Masu: In autunno è prevista l’uscita di Franca Masu 10 anys. Si tratta di un album live col quale vorrò celebrare dieci anni di concerti con brani soprattutto tratti laddove ho potuto realizzare anche delle buonissime registrazioni. Da Roma a Utrecht passando per Il Festival di Porta Ferrada in Catalogna e poi ancora da Barcellona e dal jazz Festival di Ottawa. Insomma, avevo a casa tanto materiale audio e ho pensato che adesso era il momento giusto per pubblicare un cd tutto rigorosamente dal vivo, perché trovo che dieci anni di musica non siano molti, ma nemmeno pochi, e credo di aver realizzato tante cose importanti e di aver fatto bellissime esperienze ed incontri. Non è l’album dei ricordi, piuttosto è un lavoro ricco e generoso dal quale viene fuori un ritratto a tutto tondo del mio cantare e dello straordinario interplay con musicisti eccezionali.
JC: Ci racconti ora il primo ricordo che hai della musica?
FM: Mi fai andare davvero indietro con la memoria… ma certo!!! Mio nonno materno era un cantore improvvisatore. Si chiamava Francesco ma tutti lo conoscevano come Zellachinu. Era di Orune, uno dei paesi più duri e allo stesso tempo più affascinanti di tutta l’isola di Sardegna. Mi rivedo lì, bambina, in quella maestosa casa costruita con le sue grandi mani… tanti piani e tante stanze… Lui ne aveva una per cantare e aveva un registratore Geloso. Aveva una voce preziosa e ancestrale e cantava, cantava sempre, e registrava. Cantava nelle feste di paese, nelle grandi occasioni, e tutti lo amavano. Era di compagnia, bello, alto e occhi verdi profondi come un lago di montagna. Oggi possediamo un discreto archivio di bellissime sue registrazioni dove canta testi dedicati a tutti i figli, alla moglie Lucia, alla natura, alla vita e alla sua Orune. Una grande anima. Mi piace pensare che questa necessità dell’anima che ho per cantare, me l’abbia trasmessa in qualche modo lui.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinta a diventare una musicista?
FM: Io divento musicista quasi giocando e divertendomi da morire. Soprattutto perché io amo cantare più di ogni altra cosa al mondo. Da sempre, fin da bambina. Verso gli anni Novanta vengo a conoscere dei musicisti della mia Alghero, ci piace stare assieme, loro suonano e una sera mi chiedono di cantare: io lo faccio senza mettermi problemi. Non ci penso molto: metto su un piccolo repertorio misto: italiano, qualche standard, un paio di canzoni napoletane… è fatta. Mi convincono. Dovevo cantare in un hotel sopra una improbabile passerella sospesa nella grande piscina. La gente chic cenava a base di aragosta. Pensavo: non mi ascolterà nessuno!!! Invece andò tutto benissimo e mi pagarono anche! Mi divertì molto tutto questo. Io in quegli anni insegnavo lettere alle Superiori e avevo già un figlio. Mi sembrava quasi impossibile poter conciliare le due cose. Ma intanto non smettevo di ascoltare musica e di esercitarmi e quegli amici musicisti erano dei bravi jazzisti e loro mi insegnarono piano piano ad “entrare”, timidamente, almeno a livello di ascolti e di gusto nelle scelte musicali, nel jazz.
JC: Dunque il jazz…
FM: Così, ho continuato per qualche anno a fare concerti soprattutto nei jazzclub: imparai un repertorio decisamente interessante, penso e discretamente difficile, mi vestivo quasi sempre in abito da sera, amavo preparare il mio personaggio. Mi piaceva tutto di quell’esperienza: il feeling che c’era con i musicisti, poter chiudere gli occhi e sentire la musica dentro me, sentire la mia voce che sperimentavo sempre più e che oggi quando la riascolto mi fa quasi sorridere, tanto era brillante e agile, ma ancora inconsapevole. È stato tutto molto fluido e naturale. Ma l’opera non era ancora compiuta. Fino a quando non è diventato il mio unico lavoro. E questa è un’altra storia.
JC: Che significato riveste per te la parola musica?
FM: Musica… è il termine con cui ho imparato a declinare la mia maniera di stare al mondo. Io ascolto sempre musica, se non lo faccio vuol dire che non mi sento molto bene… e poi, c’è da dire che io canto dentro me ininterrottamente. Non canto niente di preciso, sono solo vocalizzi a mezza voce. Quasi un leit-motiv della giornata. Così scandisco il tempo, mi faccio compagnia… e vivo. Non potrei mai concepire una vita senza musica. Io vivo ad Alghero, sul porto, con il mare negli occhi. Anche quella è la mia musica: le onde, il vento di maestrale che sbatte contro le mie finestre, i gabbiani senza pace, i bambini che giocano nelle viuzze del centro storico, le donne che parlano a voce alta: tutto intorno a me è musica. Ma mi accorgo che sono diventata molto esigente in fatto di qualità, gusto, eleganza, fantasia, virtuosismo e soprattutto autenticità quando ascolto musica. Sono piuttosto intollerante e se qualcosa non mi colpisce nell’immediato, faccio fatica ad andare avanti. Spengo e cambio musica. Quando si tratta di produrre la mia musica, amo farmi accompagnare solo da veri jazzisti. Hanno un rapporto speciale con la musica e uno swing che non ho ancora trovato in nessun altro musicista. Cantare con loro mi costringe a entrare a pieno nel gioco delle note… ed io adoro questo gioco.
JC: Torniamo al jazz? Lo conosci tecnicamente? E ha ancora un senso per te oggi l’espressione jazz?
FM: Vorrei dire subito che io non ho studiato musica, nel senso più stretto del termine, io non conosco le note, e non conosco il jazz nei suoi aspetti più tecnici del linguaggio. Insomma sono una autodidatta con una discreta dose di pigrizia nei confronti dello studio. Forse questo non mi fa onore, ma io sono felice così. Diciamo allora che forse il jazz lo ri-conosco.
JC: E come è avvenuta in te questa (ri)-conoscenza?
FM: Ho ascoltato tanti dischi di artisti che hanno fatto la storia del jazz. Era tempo fa, anni novanta. Venivo da ascolti fra i più svariati tra buona musica italiana, soul, funky e pop, ma quando “inciampai” nell’ascolto del jazz ne rimasi assolutamente affascinata e più ascoltavo più cercavo di carpire, di assorbire. Ho avuto l’ardire e la fortuna di potermi esibire con il grande e carismatico Tony Scott e quando mi chiese “facciamo un blues insieme?” pur di non fargli capire che non ne conoscevo bene nemmeno uno, cominciai a improvvisare cercando di carpire il suo fraseggio e rielaborarlo sul momento e devo dire che ci divertimmo talmente tanto che forse da quella sera capii quanto fosse magico lasciarsi andare e seguire l’onda delle vibrazioni.
JC: Dunque, per tornare alla domanda di prima, mi vuoi dire che l’espressione jazz…
FM: Certo che ha ancora senso l’espressione jazz! A mio modestissimo parere restituisce una rara bellezza, una autentica magia e verità alla musica. Quando ascolto certe voci o certi musicisti, sento subito se sono “ingessati” nel loro eseguire, magari tecnicamente impeccabili, ma non spostano mai un accento, non una inflessione, non un momento di incertezza, di creatività, non un cambio di ritmo. Insomma non c’è pathos, non c’è anima, c’è solo una automatica perfetta lettura della parte. Per me la musica fatta così non ha senso. A volte penso che se cadesse lo spartito per terra, si fermerebbe l’esibizione. Sono forse troppo cattiva?
JC: Ma alla fine cos’è per te il jazz?
FM: Il Jazz, per me, è una maniera di stare al mondo, come Fado, come Tango, come Flamenco, insomma lo penso come una scelta di vita. Quindi ha un suo linguaggio, un suo codice, con tutti i suoi segni convenzionali e la sua ampia, amplissima, infinita gamma di sfumature. Oggi più che mai.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ quindi alla musica jazz?
FM: Tutto quello che ho appena detto sopra e molto altro: anima, vita, vibrazioni, sfida, gioco, rispetto dell’altro, controllo e libertà al tempo stesso, abbandono, adrenalina, oscillare sul tempo, swing, risate, voglia di piangere, tutto questo come una danza dentro il cuore.
JC: Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionata?
FM: Sì, sono affezionata al mio secondo cd Alguìmia, perché ha segnato il prima e il dopo nella mia traiettoria musicale. Alguìmia è il disco dell’anima, del recupero delle mie radici, della mia storia di donna e di artista. Nasce in un momento in cui i miei gusti e i miei ascolti musicali cambiarono rotta e si trasferirono su un versante piuttosto compromettente per me, nel senso che dopo il jazz è venuto il Fado e il Tango e lo straordinario mondo andaluso di Martirio; già una nostalgia, quasi un destino. Lì mi sono dovuta fermare un momento per capire cosa stava succedendo dentro me. E molto è successo. Da dieci anni canto in catalano – forse l’unica nota etnica delle mie produzioni – sopra una musica che è fatta di fusione tra musica popolare e gusto moderno ma con una intenzione sicuramente jazz. Da quel cd – sapientemente arrangiato dal contrabbassista Salvatore Maltana in collaborazione con Mauro Palmas – è nata la Franca Masu che oggi sale sul palco e offre tutto di se stessa, perché canta se stessa. Questo passo è stato fondamentale.
JC: Quali sono stati i suoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?
FM: Ho ascoltato fino allo spasimo Billie Holiday, Ella Fitzgerald, passando inevitabilmente per Mina e Amàlia Rodrigues. Ma sono tanti i nomi che mi dovrei dilungare troppo. Decisi di iscrivermi al Seminario Jazz di Nuoro nel 1996 e fu una grande esperienza con Maria Pia De Vito. Quando finalmente ho lasciato la lingua inglese e ho scelto il catalano di Alghero per esprimermi artisticamente, ho capito che mi stavo seriamente compromettendo in un cammino arduo e difficilissimo. Credo sia stata la mia scommessa più grande. E invece, oggi posso dire che è stata una scelta vincente. Volevo diventare “la voce catalana di Sardegna” nel mondo e lo sono diventata. Ho un mio spazio, riconoscibile, nella infinita offerta musicale internazionale. “Descrivi il tuo villaggio e diventerai universale”: questa illuminante frase di Franziscu Masala, scrittore sardo, sintetizza tutto il mio cammino, la mia scelta, la mia arte. Concludo dicendo che mio marito è stato determinante perché io sia ciò che sono. Lui mi ha convinta a cantare. Un bel giorno mi disse: “Adesso basta cantare per me. Devi cantare per il mondo”.
JC: Accetti per te la definizione di world music? o di ethnic music?
FM: Ahimè, la devo accettare: devo pur scegliere uno scaffale nel quale sistemarmi, no? Scherzo, pur se le definizioni non sono mai piacevoli, mi rassegno a riceverne ormai tra le più disparate – “la Dulce Pontes italiana”, la “nuova Ute Lemper” (mah!), la Gran Dama del Mediterraneo: sono addirittura riusciti a definirmi con un geniale “La Regina del Fado sardo”. E invece, in questa stagione della mia vita, adesso più che mai, se mi riascolto mi chiedo: “Franca, ma che musica è la tua?”. C’è dentro di tutto, c’è la mia Sardegna, il mare, ma anche tanti richiami, tante suggestioni, eppure sopra ogni cosa credo ci sia la verità di cantare la propria vita. Io scrivo molti testi, e lì, inevitabilmente mi rivelo al pubblico. Vada per world music.
JC: Quali sono i tipi di musicisti con cui ami collaborare?
FM: Come ho già detto prediligo i jazzisti, coloro che sanno improvvisare ma con il cuore, non solo facendo meravigliose scale che alla mia musica non farebbero del bene, anzi risulterebbero stucchevoli se finalizzate solo all’esibizionismo solistico. Amo collaborare con musicisti capaci di emozionarsi insieme a me e che sappiano respirare con me. Perciò la mia scelta guarda sempre a quei musicisti che amano suonare il jazz ma che sono versatili anche su altre musiche, quelle popolari, che io prediligo. Insomma devono amare il Tango, il Fado e il Flamenco, ma anche la Morna e la musica sudamericana. Mi piace cantare le canzoni cubane, i boleros, mi piace “tirare indietro”, mi diverto aspettando i loro giochi sul ritmo per rispondere col mio. Ho imparato a stare sui tempi dispari, dentro la buleria e il suo compàs, con la voce che vibra e sa aspettare, mi prendo le pause del Fado, e gioco con piccoli flamequitos… tutto questo io amo e lo desidero anche da coloro che mi accompagnano.
JC: Ci puoi fare qualche nome?
FM: Ho la fortuna e l’onore di cantare accompagnata da uno straordinario Fausto Beccalossi all’accordéon, da un impeccabile e puntuale Salvatore Maltana al contrabbasso, dal sensibilissimo Alessandro Girotto alla chitarra e da un giovane ruggente percussionista spagnolo Roger Soler. Quando canto il tango è un grande onore farlo con un grande del pianoforte come Oscar del Barba. E quando Mark Harris è disponibile, il palco prende fuoco! Insomma, vigore e sentimento, energia e liricità: questi sono gli elementi fondamentali per darmi gioia nel canto. Attendo il giorno di poter incontrare Martirio e cantare con lei. Sarà un momento indimenticabile.
JC: Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?
FM: Ho già in mente il mio nuovo cd. Vorrei cantare con un ensemble essenziale, al massimo un trio. E vorrei sentirmi comoda in ogni tema, in ogni nota. Voglio che la voce salga dalle viscere, autentica e passionale, ma elegante e precisa. Voglio cantare questa stagione della mia maturità e scegliere le parole che più mi faranno emozionare. Cantare storie di vita, legate a quell’imprescindibile senso marino che mi avvolge, cantare la poesia e la bellezza del vivere, poter invitare chi lo ascolterà a sognare e ad emozionarsi.