Foto: L.Rinaldesi
Slideshow. Andrea Celeste.
Jazz Convention: Mi racconti il primo ricordo che hai della musica?
Andrea Celeste: Mi ricordo che una delle mie sorelle girava per casa con il suo piccolo mangianastri ed era solita registrarsi mentre cantava le canzoni dei Beatles. Io, che all’epoca avrò avuto si e no quattro anni la seguivo per casa imitandola e cantavo brani come Michelle, Let It Be, Yellow Submarine. I Beatles sono stati i miei primi idoli musicali e tutt’oggi la loro musica è una grande fonte d’ispirazione per me.
JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare una cantante?
AC: Inizialmente, quando si scopre di essere portati a fare qualcosa, l’entusiasmo e la voglia di imparare cose nuove sono la tua guida. Con gli anni, ho imparato ad incanalare il mio entusiasmo e i miei sforzi verso lo studio della voce e ho capito di essere innamorata della vocalità come strumento musicale e soprattutto come mezzo espressivo. Oggi posso dire che canto per esplorare il mio sentire e la mia umanità per condividere emozioni sincere ed esperienze di vita.
JC: Chi sono i tuoi maestri nel canto e nella musica in generale?
AC: Avendo avuto un percorso musicalmente molto vario, i miei punti di riferimento sono molti e di diverso genere. Quindi si va da Billie Holiday e Sarah Vaughan a Bill Withers e Aretha Franklin, da Freddy Mercury e George Michael a Maria Callas e Renata Tebaldi! Essendo una grande amante della vocalità, non ho mai fatto grandi distinzioni di genere musicale, ma mi sono sempre lasciata affascinare dalla voce nella sua totalità. In verità credo che i miei maestri più importanti siano stati il mio storico e grandissimo insegnante di canto classico Vittorio Scali, un punto di riferimento umano oltre che musicale, e tutte le persone con cui ho avuto il piacere di lavorare fin dall’inizio, persone che mi hanno aiutata a migliorarmi e a crescere come musicista e soprattutto come essere umano.
JC: Quale resta per te il momento più bello della tua carriera di musicista?
AC: Non saprei scegliere un momento più bello della mia carriera perché ogni canzone, ogni pubblico e ogni disco sono per me importantissimi. Ho imparato inoltre col tempo, che i momenti più belli non sono i momenti di gloria, ma sono i momenti di sacrificio e cambiamento perché sono quelli da cui si impara di più.
JC: Tra i dischi che hai registrato, quale ami di più?
AC: Amo molto sia My Reflection che Enter Eyes. Sicuramente sono molto legata al primo perché è stato l’incoronamento di un sogno e di un percorso umano e musicale durato molti anni e molta fatica. My Reflection ha segnato la fine di un percorso e l’inizio di una lunga strada, quindi un momento emotivamente complesso ma anche liberatorio.
JC: Come definiresti il jazz?
AC: Il Jazz è per me malinconia ed ironia nello stesso istante. È anche un istantanea sui sentimenti di chi lo crea, perché ogni musicista Jazz è libero di interpretare questa musica in maniera diversa a seconda delle proprie emozioni.
JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?
AC: I concetti che mi ispirano di più di questo genere musicale sono soprattutto la libertà e la genuinità. I personaggi della musica Jazz che mi hanno ispirata sono per me soprattutto simboli di coerenza artistica e di continua ricerca creativa.
JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?
AC: Il Jazz si fonda sul concetto dell’improvvisazione, il quale è basato soprattutto sulla voglia di esprimere la propria forza creativa e spirituale. Purtroppo oggi l’atto dell’improvvisazione si avvicina molto ad uno show di tecnica strumentale più che a una necessità espressiva.
JC: Istintivamente, cos’è quindi per te il jazz?
AC: Passione, movimento, vita in evoluzione.
JC: Come vedi, in generale, il presente della musica jazz?
AC: Vedo un presente in cui il Jazz si fonde con diverse esperienze musicali e quindi culturali. Sono dell’idea che si debba conoscere la tradizione, ma anche rispettarla attraverso la creazione di nuovi modi di interpretare questo linguaggio rinnovandolo con la propria esperienza di vita. Non c’è niente di peggio di chi imita la tradizione senza mettere in gioco la propria creatività.
JC: Cosa stai facendo ora a livello musicale?
AC: In questo momento mi sto dedicando alla composizione di nuovi brani e alla preparazione di un nuovo album da solista oltre ad approfondire lo studio del canto e dell’armonia.
JC: Ma che effetto fa essere una donna nel jazz nel mondo odierno?
AC: A volte non è facilissimo, ma ho imparato a circondarmi di persone affidabili con cui amo lavorare in modo da evitare brutte sorprese.
JC: Infine, la bellezza ti ha aiutato nella tua carriera artistica?
AC: Ti ringrazio per il complimento implicito, ma non credo più di tanto. È vero che la nostra è una società basata sull’apparire, ma io ho sempre soprattutto puntato ed investito sulla mia voce e sulle mie capacità artistiche ed umane. Ho imparato negli anni a curare anche l’aspetto estetico per una questione di rispetto verso il mio pubblico e per ovvi motivi professionali, visto che oggi viviamo nella “società dell’immagine” ed ignorare questo aspetto sarebbe del tutto anacronistico.