Foto: Fabio Ciminiera
In studio con Franco Piana.
Grottaferrata, Forward Studio. 28.10.2011.
Dino Piana è una delle figure di spicco della storia del jazz italiano. Dal sodalizio con Gianni Basso e Oscar Valdambrini agli incontri con i più importanti musicisti internazionali, il trombonista ha messo in luce una visione classica e briosa del jazz, solida e lirica, e ha dato vita ad esperienze e lavori sempre coerenti e attenti all’espressione personale, a uno stile identificabile. Negli ultimi decenni, il sodalizio stabile con il figlio trombettista Franco ha portato di nuovo l’attenzione sulla dimensione orchestrale del percorso di Dino Piana. Formazioni ampie – dal sestetto fino alla big band – per dare una continuità a un lavoro che sin dalle prime esperienze ha visto il trombonista in ensemble dove la scrittura, l’arrangiamento e il lavoro fianco a fianco con gli altri solisti e l’idea di sezione sono una parte fondamentale del concetto musicale. Un tributo a questo aspetto del mondo musicale dei Piana è il disco che hanno appena registrato con una vera e propria all-star formata da Fabrizio Bosso, Max Ionata, Enrico Pieranunzi, Luca Mannutza, Giuseppe Bassi e Roberto Gatto, con Enrico Rava ospite in un brano. Abbiamo incontrato Franco Piana e Fabrizio Salvatore di Alfa Music nei Forward Studio, alle prese con il missaggio dei brani. «Il missaggio è sempre difficile. Si mettono in evidenza alcune cose, se ne possono trascurare altre. Lavorare con Fabrizio e Alessandro (Fabrizio Salvatore e Alessandro Guardia di AlfaMusic – n.d.r.) mi fa sentire in buone mani.»
«Ho scritto i brani, prosegue Piana, e avevo in mente di realizzarli con un gruppo di quattro fiati più la ritmica. Poi ho sentito Roberto Gatto e abbiamo deciso la formazione: grandi musicisti di livello internazionale. Ci conoscevamo già e con molti avevamo già suonato insieme. Subito dalla prima prova ci siamo trovati bene. Con quattro fiati e con la mia abitudine a scrivere per big band, il discorso è diventato quasi subito e necessariamente orchestrale. Certamente ho cercato di variare la scrittura, usando i quattro fiati in contrappunto.»
«Normalmente questo è uno studio dove si registrano produzioni pop, interviene Salvatore. Oltre alla qualità delle attrezzature e all’ampiezza delle sale, c’è proprio un’idea complessiva di star bene legata a un periodo di lavoro più lungo rispetto alle produzioni jazz.» La necessità di registrare un ensemble così ampio, con tutti i musicisti in sala ha costituito l’occasione per dare vita all’incontro tra due realtà geograficamente vicine. «È capitato al momento giusto in maniera naturale e non programmata. Con Massimo c’era da tempo l’idea di fare qualcosa insieme per unire le nostre competenze, da una parte la nostra presenza e le nostre relazioni nel mondo del jazz, dall’altra la loro struttura, con il posto, le macchine e il loro supporto tecnico.»
«Altre volte avevamo realizzato delle cose più ampie, oltre il quartetto per intenderci, prosegue Salvatore. Siamo andati in un teatro nei pressi di Cinecittà, vicino i nostri studi. Certo è complicato: dobbiamo smontare delle cose nello studio, affitarne altre… Questo lavoro può diventare anche un biglietto da visita per il connubio che siamo riusciti a realizzare con la Forward: tutto è nato da una telefonata di Roberto Gatto, che ci proponeva appunto il settetto di Dino e Franco Piana. Ci siamo incontrati e abbiamo messo in piedi il lavoro: non avevamo mai avuto l’onore di collaborare con Dino e Franco Piana, ma avevamo già collaborato con altri esponenti di quella generazione, come Nicola Arigliano, Franco Cerri, Enrico Intra. Il progetto ci è piaciuto molto e l’esigenza di aver bisogno di uno studio grande per la formazione ha creato l’occasione: speriamo che questo disco segni l’inizio di due collaborazioni durature con i Piana e con lo studio. Tra l’altro con questo lavoro torniamo anche in parte all’analogico in tutta la fase della produzione, lavorando con un banco analogico e riversando il tutto sui nastri da mezzo pollice, sia per una questione di suoni sia con l’intenzione di stampare il vinile.»
Il disco è in maniera naturale anche un riconoscimento al percorso di Dino Piana, come viene messo in luce da tutta una serie di fattori: la scelta della formazione, la dimensione orchestrale e l’importanza dello studio. «Ho composto un brano veloce, swingante, adatto a lui, alla sua freschezza. Si chiamerà Eighty and one, vale a dire la sua età, ed è naturalmente una dedica a mio padre. Tutti i musicisti sono venuti a suonare con noi con grande entusiasmo. Appena li abbiamo chiamati ci hanno dato la loro disponibilità: non è stato facile trovare i giorni in cui tutti potessero essere liberi.» L’omaggio prosegue in un ritorno al passato, con la formazione che si è sottoposta al lavoro delle prove, con i musicisti tutti insieme in studio e con la presenza di una suite di quasi venti minuti suonata dal vivo, in studio. «La suite è abbastanza complessa nella sua costruzione. Abbiamo provato bene – perchè comunque ci sono parti scritte – per registrare, quasi necessariamente alla prima take. Ho cercato di integrare parti scritte e spazio per i solisti. La suite si chiamerà Open dialogues, proprio perché ci sono dialoghi tra i vari musicisti, tra i fiati e la ritmica: ho fatto in modo di creare lo spazio per l’interplay e gli assolo di tutti gli interpreti.»