Francesca Ajmar & Roberto Bernardini – Gato de Subúrbio

Francesca Ajmar & Roberto Bernardini - Gato de Subúrbio

Koiné – KNE 009 – 2011




Francesca Ajmar: voce

Roberto Bernardini: chitarra

Gabriele Mirabassi: clarinetto

Marco Bianchi: vibrafono

Tito Mangialajo Rantzer: contrabbasso

Gilson Silveira: percussioni

Roberto Giannella: batteria






Perfino troppo vasto, il patrimonio della musica brasiliana, che nella maggior parte dei casi riesce a palesarsi su un doppio livello di fruibilità, insieme popolare e colto, per le sue diffuse e apparentemente familiari caratteristiche potrà suscitare attrattiva o indifferenza, ma perfino i detrattori difficilmente potranno rimanere freddi alla messa in moto della forza di quest’incisione: il brano d’apertura (che a parere di chi scrive vale tutto l’album, ma non è che il seguito sia trascurabile) cattura d’emblée (ma in portoghese si direbbe “imediatamente”) il favore dell’ascolto e, dedicato nel titolo alla figura eclettica (non una rarità, in quei luoghi) dell’umorista e scrittore, (e in questo caso paroliere) Aldir Blanc, i cui testi sono posti in musica, nella selezione offerta, da Guinga, Moacyr Luz e João Bosco, il presente Gato de Subúrbio è convincente riprova delle abilità interpretative delle milanese Francesca Ajmar, che a dispetto delle sue nordicità riesce ancora a calarsi con pertinenza nel colore forte e sensuale del paese della saudade.


La neutra pienezza aliena da impraticabili colorismi, ma certo assai convincente nell’aderenza alla grinta naturale di questa musicalità, manifesta nella timbrica bruna della solista passione autentica e non mestiere di circostanza; di grande intesa ed interscambio con la stratificata eloquenza e il pastoso fraseggio delle sei corde del colto Roberto Bernardini, lanciandosi nell’iniziale e citata Madeira de Sangre, la sequenza prende corpo nella concentrazione asciutta e la religiosità naturale di Corsário (con dei non-inopportuni sentori di flamenco), quindi le ondulazioni incantatrici di Bala com Bala, le vivacizzate crepuscolarità di De Frente pro Crime, il solarizzato, canonico clima danzante de Paris: de Santos Dumont aos Travestis, congedansosi in spirito sereno nella formalmente più convenzionale O Bébado e a Equilibrista.


Operando un’opportuna alternanza nella palette strumentale, l’album si sviluppa con modalità timbricamente asciutte, trovando piacevole sostegno nelle percussioni secche ma mai reticenti e vibranti di Tito Mangialajo Rantzer, e tra i collaboratori giovandosi delle liquide sortite delle lamine vibranti di Marco Bianchi, non omettendo le fioriture “diversamente esotiche” di un sempre più convincente Gabriele Mirabassi, che in quanto a disinvoltura qualcosa pur dovrà alla mirabolante frequentazione dell’ensemble di Abou-Khalil, gran maestro di alchimie di colore e spudoratezza, ma che pur di suo cresce a vista d’occhio e in questa colorita session senza protagonismi ma non certo in minore apporta ricchezza con le agilità e i sentori di legno verde del suo “canto di ebano”.


Nel bilancio dell’operazione potranno gravare alcune appena percettibili gracilità, quali un impianto alla lunga appena ingessato, e quanto alla vocalità un filo (o più propriamente “um pouquinho”) di perfettibile flusso respiratorio, ma alla sua terza prova discografica la talentuosa Ajmar riesce ben convincente in questa prova d’amore e passione, spesi ampiamente sul campo se è vero che la stessa ha trascorso un periodo recente nel Paese delle sue ispirazioni, magari a suggerirci che “la vita è altrove”, ma per chi è rimasto “la musica è qui” e per quanto attiene a quella espressa nell’album, oltre che seriosamente accattivante, essa appare solida e atta a pacificare sia cultori che diversamente orientati spiriti di passaggio.