Foto: Fabio Ciminiera
Mahanthappa, Dresser, Hemingway. Mauger.
Pescara, Teatro Massimo. 7.11.2011.
Rudresh Mahanthappa: sassofono
Mark Dresser: contrabbasso
Gerry Hemingway: batteria
Mauger nasce dall’unione estremamente paritaria di tre musicisti come Rudresh Mahanthappa, Mark Dresser e Gerry Hemingway. Improvvisazione radicale e collettiva, visione fortemente melodica, dialogo costante e utilizzo di tutte le possibilità sonore degli strumenti a disposizione.
Il flusso musicale e l’improvvisazione si snodano in maniera libera e trascinante su una serie di griglie – costituite cellule ritmiche, atmosfere timbriche, frasi e spunti melodici – intorno alle quali i tre dispongono gli elementi portati nel vocabolario e nel linguaggio del trio. Innanzitutto il suono. Alle fondamenta si trova il suono di contrabasso profondo e corposo di Dresser: su questo si innestano gli equilibrismi del sassofono, la cui voce viene manipolata e resa sempre diversa da Mahanthappa, in maniera totalmente acustica e senza “macchinari” elettronici, e il lavoro stratificato di Hemingway che unisce batteria, percussioni, elettronica in un continuo e fluido andirivieni tra suoni moderni e ancestrali.
Il ritmo è il secondo elemento. Dalla libertà espressionistica alle scansioni dispari, anche in questo caso il ruolo basilare è assegnato al contrabbasso e all’unione intima e intrinseca di melodia e tempo operata dalle linee di Dresser. Il trio si muove con estrema libertà, accostando passaggi drastici tra ritmi differenti, affrontano aperture totalmente free, dove i musicisti disegnano frasi immaginifiche e si sganciano dalle necessità legate al tempo. Il tutto avviene con totale disinvoltura e convincente coerenza e questo segna la maturità e la forza espressiva del trio.
Altro elemento sono i richiami alle tradizioni e alle espressioni del jazz. Dalla scelta di chiudere la scaletta – prima del bis – con un brano di Monk alle numerose incursioni nello swing passando attraverso le diverse maniere di intendere l’improvvisazione radicale e collettiva – dai disegni visionari totalmente liberi alle scansioni ritmiche più precise e “ossessive”. Il gioco sui suoni e sui riferimenti porta accenti diversi, dalla musica classica indiana alla musica colta europea per arrivare a riflessi della musica folklorica: incontro ulteriormente filtrato dagli incontri e dalle collaborazioni dei tre protagonisti con altri sperimentatori e suscitatori di nuove soluzioni musicali.
In Mauger si ritrovano tre musicisti provenienti da generazioni diverse, ma tutti decisamente rivolti alle implicazioni e all’utilizzo dell’improvvisazione e di una maniera radicale di intendere il jazz. Se Mahanthappa manifesta in maniera evidente il melting pot delle nuove generazioni americane e rappresenta, nello specifico del jazz, uno dei maggiori interpreti delle nuove tensioni emergenti nella scena statunitense, Dresser e Hemingway hanno qualche anno in più e portano con sé l’eredità delle avanguardie degli anni settanta e una lunga frequentazione reciproca che rende la connessione tra batteria e contrabbasso estrema e profonda. Le tre linee si sommano in un flusso continuo, Mahanthappa, Dresser e Hemingway suonano quasi senza soluzione di continuità e suddividono il concerto in lunghi episodi – ciascuno della durata di circa quindici, venti minuti – in cui si alternano strutture, istinto e lirismo e, in ciascun episodio, rientrano tutti i punti stabiliti, evidenziati attraverso nuove combinazioni e diversi accostamenti.