Auand meets NYC: Marco Valente e i 10 anni di Auand.

Foto: Manifesto dell’iniziativa





Auand meets NYC: Marco Valente e i 10 anni di Auand.

New York. 1-5.11.2011.

L’Auand di Marco Valente ha compiuto dieci anni nel 2011 e, per festeggiare l’evento, il vulcanico patron ha organizzato una settimana di concerti delle formazioni e dei musicisti dell’etichetta a New York e, in particolare, nei club dove prendono forma le nuove direzioni del jazz e delle musiche creative. Al ritorno da New York, ci siamo fatti raccontare da Marco Valente, in una lunga chiacchierata in chat, un’esperienza importante e dalle varie sfaccettature.



Jazz Convention: Come è nata l’idea e quali sono stati i passi per organizzarla? la scelta dei musicisti e delle formazioni?


Marco Valente: Due anni fa ho iniziato a pensare a quale potesse essere un modo carino per festeggiare i dieci anni di Auand. l’idea di formare un tentetto e di chiamarlo A10A10 (Auand 10th Anniversary 10tet) è stata la prima cosa che mi è venuta in mente. Con l’idea di girare anche in italia in estate con una formazione che, sulla carta, all’inizio comprendeva persino Swallow, Binney, Petrella. La formazione è stata proposta con largo anticipo ovunque, ma non è stato possibile farla girare… probabilmente per il costo. Avevo ricevuto interessamenti dal Belgio, Svizzera, ma una sola richiesta in Italia: per cui alla fine avevamo dovuto rinunciare.



JC: E quindi avete “ripiegato” su New York…


MV: L’idea base era di fare il tentetto e proporre contestualmente un pacchetto di concerti per 2-3 giorni con artisti che avevano registrato con Auand. Poi, parlando con un paio di amici italiani che vivono a New York è venuto fuori che si poteva fare lì. Avevamo il vantaggio di avere gli americani già sul posto e per gli italiani è sempre un piacere attraversare l’oceano e riuscire a suonare in club dove solitamente è difficile entrare.



JC: Da quel momento avete cominciato a stabilire la squadra…


MV: Sì, diciamo che la squadra si è autodelineata, perchè, dovendosi pagare il volo non tutti hanno avuto la possibilità. Il festival è stato totalmente autogestito, senza sponsor e senza aiuti: i ragazzi si sono pagati i voli, siamo andati a dormire a scrocco da qualche amico e il resto delle spese le ho sostenute io di tasca mia senza avere alcun introito.



JC: La fase di contatto con i club come l’hai gestita?


MV: Mi hanno aiutato i due coorganizzatori di base a New York, vale a dire Luca Fadda, fondamentale, ed Enzo Capua per la prima serata e alcuni contatti di stampa.



JC: A parte il fatto di ritrovarsi dei concerti a costo zero è stato complicato far capire ai club quello che volevi fare?


MV: No. I club a New York sono complicati da gestire, ma alla fine loro vogliono solo che porti gente. Quindi, se dimostri di avere una squadra che sta lavorando per l’evento, che c’è una comunicazione, un’investimento e via dicendo, loro sono più che aperti a queste operazioni. Soprattutto se si tratta di artisti di una certa qualità come nel caso di tutti quelli coinvolti nell’evento.



JC: Anche perché poi vedendo i club dove siete andati e i musicisti che hai portato non hai spostato più di tanto la loro direzione artistica. Quali sono state le reazioni in generale?


MV: Mi sembra molto positive, sia della stampa sia del pubblico. Abbiamo avuto Rai International, l’Ansa, NYC Jazz Record, DownBeat.



JC: Quali sono state le formazioni che hanno colpito di più i newyorchesi?


MV: Mi viene difficile rispondere… mi sembra che il feedback sia stato sempre molto positivo.



JC: Invece cosa di questi club ha impressionato voi? cose tangibili e concrete che mancano in italia, oltre all’atmosfera di New York… e che si sono incontrate bene con i suoni delle formazioni.


MV: Non c’è molto che possa impressionare, considerando che alcuni di questi club, nonostante la fama, sono persino sprovvisti di strumentazione o certe volte si tratta di strumentazione di basso livello. La cosa incredibile è l’atmosfera che si crea.



JC: Immagino sia stata anche l’occasione per creare o rinsaldare relazioni o pensare nuovi lavori.


MV: È stata l’occasione per rinsaldare l’idea di Auand Family ovvero di cooperazione tra tutti i musicisti che collaborano con l’etichetta, nonchè l’opportunità di far esordire il tentetto in una formazione molto interessante con ospite Ray Anderson.



JC: Su quale repertorio si muove?


MV: Ho chiesto a tutti i partecipanti di arrangiare un brano del vecchio repertorio Auand. Alcuni non hanno potuto per motivi di tempo, ma siamo arrivati alle prove con sette arrangiamenti.



JC: Mi sembra un buon risultato…


MV: Ottimo direi: oltre un’ora di musica… e che musica! Per me è stato il concerto più entusiasmante, mi sono veramente esaltato! Sentire Virus (la titletrack del secondo disco Auand) arrangiata per tentetto o sentire un brano di Ayassot arrangiato da Ponticelli, davvero niente male.



JC: Quindi anche cose “incrociate”…


MV: Si, ma solo Ponticelli ha accettato la sfida. Inizialmente avevo chiesto ad ognuno di arrangiare qualcosa di un altro. Ma poi evidentemente per loro, con i tempi risicati, era più facile arrangiare un proprio brano.



JC: Invece per quanto riguarda le public relation e l’apertura di canali con altri musicisti, stampa, critici e key-people.


MV: Ho cercato di mettere in gioco tutti i contatti accumulati in questi anni. C’è stata, come dicevo, un’ottima risposta almeno da Italia e USA, meno dal resto d’Europa…



JC: Ci sarà un seguito di Auand Meets NYC?


MV: Intanto ho cercato di documentare tutto, sia in video che in audio. Quindi, appena ho tempo di controllare il materiale, cercherò di fare un documentario video e, se possibile, pubblicare qualcosa di live su CD. Sul fatto invece di ripetere l’esperienza, c’è una piccola possibilità di fare suonare il tentetto in Puglia, tra Natale e Capodanno, devo avere risposta a breve ma pare non ci siano abbastanza soldi… Dal punto di vista economico è troppo difficile ripetere un evento di questa portata.



JC: Però immagino che per alcuni aspetti ne sia valsa la pena.


MV: Di sicuro! Già il solo fatto di aver avuto tutti i ragazzi insieme per alcuni giorni. La cosa assurda è che se vuoi fare una riunione a Canicattì non ci riesci. Poi proponi New York e, magicamente, li hai tutti con te!



JC: Il fascino di New York è sempre il fascino di New York…


MV: Comunque stare tutti insieme è stato davvero bello e anche sentire parlare di Auand in certi contesti. Abbiamo alzato un po’ di polvere e, stando lì, siamo riusciti a fare anche un paio di eventi paralleli. Ad esempio Tossani e Baron hanno suonato un set improvvisato al Blue Note con Brad Shepik per la rassegna “Spontaneous Construction” (organizzata da Search and Restore) e Diodati e Partipilo ne hanno fatto uno all’interno del mitico negozio specializzato Downtown Music Gallery.



JC: Il viaggio a New York ti ha offerto anche l’occasione per ripensare a quanto hai realizzato in questi 10 anni.


MV: Sì e no. Nel senso che sono stato incasinatissimo per l’organizzazione, per cui ho potuto pensare ben poco, però avevo già avuto occasione di soffermarmi sui 10 anni passati, quando mi è capitato di fare delle interviste la scorsa estate. Devo dire che le cose in questi 10 anni sono cambiate moltissimo in tutti i sensi, a livello economico, musicale e delle abitudini della gente. Le vendite come sappiamo tutti sono calate moltissimo, il digitale non ha coperto le perdite del cd, la qualità dei demo è aumentata: sta di fatto che lo scenario è profondamente cambiato e quello che all’inizio poteva essere un gioco e che poi pian piano ha avuto anche prospettive diverse, persino, ad un certo punto, prospettive di guadagno ora si è tramutato in altro. Per me Auand è una specie di scrigno nel quale poter mettere delle cose che secondo me vanno documentate. Senza neanche più pensarlo come un business, ma quasi come un atto dovuto.



JC: A livello artistico quanto si sono affinate le tue “intenzioni” di direttore dell’etichetta?


MV: In nessun modo credo, sono solo cambiati i miei gusti. Nel 2001 avevo più un’idea di jazz acustico moderno che poi pian piano è diventato sempre più rockettaro, ma non so neanche se rockettaro sia il termine giusto. Voglio dire, in senso di energia…



JC: Beh qualche disco diverso dalla linea tracciata c’è stato – ad esempio quello di Andrea Ayassot – e poi ci sono state anche le “attività collaterali” come i dischi usciti con Jazzit e quelli di JErec.


MV: Sì, quello di Ayassot è un disco che va più nella direzione iniziale, infatti le telefonate con Ayassot sono iniziate intorno al 2001-2002. Le uscite JErec invece sono di tutt’altra natura, nascono con un’esigenza diversa, così come la Piano Series dedicata al piano trio.



JC: Lo so, ma ti permettono anche di fare esperimenti che con la linea Auand c’entrano meno…


MV: Si, qualche volta succede anche questo.



JC: Per chiudere, quale disco avresti voluto fare e invece non è nel catalogo di Auand?


MV: Il prossimo disco di Ornette Coleman!