Slideshow. Daniele D’Agaro.

Foto: Fabio Ciminiera










Slideshow. Daniele D’Agaro.


Jazz Convention: Così, a bruciapelo puoi parlarci del tuo nuovo lavoro discografico?


Daniele D’Agaro: Al momento sto lavorando per l’uscita del terzo cd live della mia Adriatics Orchestra, registrazione fatta al nostro festival “I Suoni della Montagna 2010” a Comeglians nelle Alpi Orientali,Friuli. A settembre, se i lavori di taglio del bosco della mia baita me lo permettono, inizierò a lavorare sulla musica di Pee Wee Russell, un musicista originalissimo, che ho sempre ammirato.



JC: Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?


DDA: Avevo cinque-sei anni, nella fumosa e chiassosa osteria di paese di mia prozia dove sono nato, entrò d’improvviso un omone soffiando fortissimo dentro un’enorme, terrificante cosa, un tuba. Era un pittoresco personaggio che suonava nella banda; fu uno shock da cui non mi sono mai più ripreso!



JC: Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?


DDA: Avevo quindici anni ed ero molto timido, sentii nel giradischi di un amico (noi, a casa non ce l’avevamo) un LP di Carlos Santana, Live at Monterey, con uno che suonava il sax tenore, era Bennie Maupin. Fui folgorato. Acquistai questo meraviglioso tubo dorato con i soldi presi lavorando durante le vacanze scolastiche. Il problema fu capire come si suonasse, era uno strumento dei marziani.



JC: Ha ancora un significato oggi la parola jazz?


DDA: La parola può significare tante cose, è nella natura del verbo. Poi,tutti vogliono suonare il jazz, come nella canzone degli Aristogatti, chi più ne ha, più ne metta, è anche il nome di un automobile. Per me significa principalmente una straordinaria fonte a cui puoi attingere Musica. Per la disciplina dell’improvvisazione, il jazz è uno dei trampolini di lancio per lo spazio tra i più potenti. Poi devi cavartela da solo e sbattere le ali (o le orecchie? come Dumbo!) e mai smettere di essere curioso, appunto.



JC: Ma cos’è per te il jazz?


DDA: Si provi solo ad immaginare cosa sia stato sentire dal vivo Louis Armstrong tra il 1925 e il 1930 a Chicago.



JC: Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?


DDA: La libertà di espressione, la celebrazione delle differenze, la solidarietà, l’amore, un’energia positiva che viaggia nel cosmo.



JC: Come pensi che si evolverà il jazz del presente e il jazz del futuro?


DDA: Non ne ho la più pallida idea. Spero solo che la tecnologia ci lasci suonare dal vivo e in acustico, ovvero soffiare, percuotere, sollecitare strumenti antichi e moderni: questa è la magia della musica.



JC: Tra i molti dischi che hai fatto ce n’è uno a cui sei particolarmente affezionato?


DDA: Forse Exotica Domestica con l’Adriatics Orchestra ma spero di più con tutti i prossimi a venire.



JC: Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?


DDA: Tanti e molti colleghi, ma ricordo il mio primo insegnante, Adelino Antoniazzi, muratore con la passione per il jazz, musicista completo e straordinario, un gentiluomo, aveva una pazienza certosina, io gli portavo i dischi dell’ultimo John Coltrane o di Ornette Coleman (non capivo cosa e come facessero) e lui mi diceva che prima bisogna imparare il clarinetto alla Benny Goodman… sono venuto fuori una specie di Frankenstein del jazz.



JC: Qual è stato per te il momento più bello della tua carriera di musicista?


DDA: Quando ho suonato dopo che è nato il mio primo figlio.



JC: Quali sono i musicisti con cui ami collaborare?


DDA: Tutti quelli con cui posso condividere sincerità, conoscenza, curiosità e tanta, tantissima musica.