Piero Bittolo Bon Jümp the Shark – Ohmlaut

Piero Bittolo Bon Jümp the Shark - Ohmlaut

El Gallo Rojo Records – 314-51 – 2011




Piero Bittolo Bon: sax alto, flauto

Gerhard Gschlßösl: sousaphone, trombone

Pasquale Mirra: vibrafono, glockenspiel

Domenico Caliri: chitarra elettrica e 12 corde

Danilo Gallo: contrabbasso, basso Rickenbacker

Federico Scettri: batteria






Potrà forse non aggradare, ad un giovane autodidatta dei legni jazz, nonché ad un ostinato Peter Pan che ostenta la persistenza beffarda e apparentemente “a margine” nel pur ampio e variegato mondo jazz, l’ampio riconoscimento per la concentrazione esecutiva e il (seppur non facile né fisso) rigore stilistico.


E a poco varranno le ostinate auto-referenze da eterni ragazzacci incorreggibili della label, anche se tornando a scrivere – ed ascoltare – di Gallo Rojo, allacciarsi le cinture non è mai un consiglio da troppo.


A seguire la movimentata esperienza di Sugoi Segai! Gattai!!, si ricostituisce l’organico Jümp the Shark, questa volta senza le tastiere di Santimone, importando invece il “simpatico zio bavarese” Gerhard Gschlßösl e le sue note di profondo ottone (ed entrambi habitués presso l’etichetta), a promettere (o minacciare?) di riprendere il sospeso filo creativo.


Spedito, surreale, graffiante, ma anche di concreta classe, il presente quintetto assume con evidente impegno il mandato esplorativo sulla reviviscenza (l’attualizzazione non sarebbe necessaria) di quel grande jazz di svolta afro-americano, e pur riconoscendo quegli stessi impeti, il tutto appare percorso da venature cis-atlantiche, palesando anche una profonda anima europea.


Lo spirito dei Dolphy, dei Coleman e Ayler, ma certamente la tangenzialità ai Berne, Zorn e più probabilmente Threadgill sospinge l’ispirazione concreta di Bittolo Bon e dei suoi: percorrendo gli eccentrici (e diremmo piuttosto “tarantiniani”) titoli si parte dall’implacabile When will the Bruce Lee per passare alle acide e lievitanti ironie di Die teuflische Quinlan e alle sospensioni thrilling di Heiligesruder; timbriche e passo mutano dunque nel cavernoso intro del destrutturato pseudo-bop di Samantha Fox AKA Kawaii Oppai! Banzai! (sull’incommentabilità dei titoli dicemmo, e sorvoleremo con grazia…) e nei direzionali segni del flauto nel corposo Secret life of the mullet people, giungendo infine al teso clima “fusion” della rabbiosa Kwisatz, Kwisatz, Kwisatz.


L’alito performante dell’eterno ragazzone Bittolo Bon ne conferma l’essenza di grande vecchio dello strumento ricurvo e, qui, guida alla pari dell’ensemble capace di funambolismo accorto e brillante, con orecchie e memoria ben aperte al soffio di “padri” e confratelli, e pronti a cavalcare le onde dell’istantaneità: il “tutti” trova struttura solida nel drumming fitto e scattante di Federico Scettri e nell’apporto di Danilo Gallo, che attivamente infittisce le “bassezze” della band, certamente cadenzate della assertive cupezze del sousaphone e del trombone di Baviera, ed il tutto certamente gemmato dalle sortite speziate e trancianti delle chitarre di Domenico Caliri e dall’armonizzazione attiva del vibrafono di Pasquale Mirra.


Se la cronaca ricorda come Jump the Shark designi il declino dell’audience presso i serial televisivi e affini, l’ascolto dell’esuberante e quasi omonima controparte al contrario ci conforta, ma in realtà poco ci tranquillizza, per la vitalità sempre più eversiva dell’offerta musicale sempre in moto dei Nostri… ed è un bene, diremmo.