I due volti di Rudy Migliardi

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I due volti di Rudy Migliardi.

Rudy Migliardi parla di Double Face

Rudy Migliardi quartet – Double Face

Music Center – BA 305 CD – 2011

Rudy Migliardi: trombone

Roberto Olzer: pianoforte

Marco Mistrangelo: contrabbasso

Marco Castiglioni: batteria


Rudy Migliardi è un veterano del trombone. Un musicista di punta del panorama jazzistico italiano e non solo. Ha all’attivo un numero notevole di collaborazioni con grandi nomi dell’empireo del jazz internazionale e italiano. Alla passione per il jazz alterna quella per la musica classica e in particolare la barocca, di cui ci sono in Double Face, alcuni accenni in chiave jazz. Rudy Migliardi, accompagnato da un cast di ottimi musicisti, ci ha raccontato la genesi del suo primo disco da leader, la scelta dei brani, dei compositori e altro ancora.



Jazz Convention: Come nasce Double Face e il perché del titolo?


Rudy Migliardi: Come si desume dal libretto che accompagna il cd, ho pensato al progetto Double Face per soddisfare un mio desiderio di interpretare brani appartenenti a un’altra sfera musicale rivedendoli in forma “jazzistica”. Lo dico tra virgolette perché se di jazz si tratta lo si vede solo negli inserti improvvisati. Ho sempre avuto una grande predilezione per la musica classica tant’è che sovente faccio concerti di musica barocca con l’accompagnamento dell’organo o concerti per trombone e banda, per cui nell’eseguire questi brani ho cercato di essere il più possibile attento alla precisione sia del suono che dell’intonazione. Vero è che come si ascolta dal cd, in alcuni casi la struttura viene espressa in modo assolutamente filologico. Ne consegue che il titolo Double Face indica semplicemente la caratteristica di questo progetto, ovvero una doppia identità, classica e jazzistica.



JC: Questo è il tuo primo disco da leader?


RM: Questo è il mio primo cd come leader. Mi sono convinto a farlo dopo vari ripensamenti, perché non volevo assolutamente registrare un qualcosa che altri hanno già fatto e anche molto meglio di me.



JC: Come hai scelto i musicisti che ti accompagnano nel disco?


RM: La scelta dei musicisti che hanno collaborato con me in Double Face è stata determinata principalmente dal fatto che suoniamo insieme già da molto tempo e quindi avere sotto una ritmica con la quale c’è assoluto intendimento significa potersi esprimere al massimo di quello che si può dare. Marco Castiglioni (batteria) e Marco Mistrangelo (contrabbasso) sono un perfetto motore ritmico e armonico e Roberto Olzer è un pianista preparatissimo tecnicamente ed armonicamente; tra l’altro è lui l’organista che collabora con me nei concerti classici.



JC: La scelta dei brani: classica (Prelude di Skrjabin, Lied di Schuman, Aria sulla quarta corda di Bach), jazz e Rota.


RM: La scelta dei brani è stata dettata semplicemente dal tipo di suggestione che sanno creare, in particolare le due medley di George Gershwin e di Nino Rota che trovo molto adatte per il mio strumento. Ritengo che il trombone si avvicini parecchio alla voce umana e quindi perfetto per il canto. Per esempio in Porgy and Bess riesce ad adattarsi molto bene alle melodie a volte struggenti e a volte ironiche dei vari interpreti. Ugualmente Nino Rota ci ha fatto dono di composizioni di altissima qualità e per me è stato molto facile riunirne alcune tra le più significative: non c’era che l’imbarazzo della scelta!



JC: La casa discografica?


RM: Il cd è stato prodotto dalla Music Center di Alessio Brocca, una persona fantastica a cui va il merito di avere, in un periodo cosi critico, la volontà ed il coraggio di impegnarsi in queste “avventure”, anche molto onerose, per dare uno spazio a progetti, che in ogni caso, hanno un ritorno finanziario molto incerto.



JC: Ci sarà un seguito a Double Face?


RM: Forse ci sarà un seguito a questo disco, penso sempre con le stesse specifiche caratteristiche: comunque per il momento pensiamo a metabolizzare questo!



JC: Il trombone e il jazz?


RM: Il discorso del trombone inserito nel jazz richiederebbe tempi lunghi. Cercherò di sintetizzare la mia opinione. Per quanto riguarda il periodo fino agli anni quaranta, il trombone veniva visto un po’ come una cenerentola, impegnato in accompagnamenti, mai ritenuto uno strumento solistico, forse anche per la sua struttura che ne limitava molto la tecnica e quindi non si poneva alla pari di altri strumenti come es. la tromba, il sax o il clarinetto. Poi grazie a grandissimi solisti del periodo swing e ancora negli anni successivi con l’arrivo sulla scena di quello che io ritengo il più grande trombonista di sempre, ovvero J.J.Johnson, un genio che ha rivoluzionato proprio il modo di pensare jazz con il trombone utilizzando una tecnica innovativa e tutt’ora imitata da tutti. Da allora fino ai nostri giorni, il Jazz ci ha fatto conoscere dei grandissimi solisti che naturalmente sulla scia di Johnson hanno proseguito un discorso che si è sempre più evoluto mescolandosi anche con altri generi musicali, una pratica che a mio parere produce sempre effetti positivi.



JC: Cosa ne pensi del jazz italiano?


RM: In Italia non siamo certo rimasti a guardare verso l’altra sponda. Oggi il jazz nostrano non ha proprio niente da invidiare agli americani o anche ai musicisti dell’Europa. In questi ultimi anni, penso anche grazie alle moderne tecnologie che permettono di sviluppare oltremodo le capacità musicali, si è formata una generazione di giovani musicisti tutto tondo, ben preparati e con idee innovative di grande livello e che meriterebbero di avere più spazio nei vari jazz festival. Purtroppo pare che quest’ultimi siano in genere appannaggio di una ristretta cerchia elitaria; oltre al fatto che in questo paese, definito un tempo patria della musica, sia diventato così difficile pensare, produrre ed eseguire progetti che meriterebbero invece una grande attenzione per l’altissima qualità espressa! Comunque bisogna essere ottimisti!